martedì 11 gennaio 2022

Cosa bolle in pentola per la salute? - Marco Caldiroli*

 

La “sanità” è caratterizzata da strutture e ambiti definiti “politicamente” come altri aspetti del welfare (“produzione” di salute collettiva e individuale) e agisce (o non agisce), direttamente o indirettamente, sulla ampia gamma dei determinanti della salute (condizioni lavorative, di vita, ambientali). Le “pentole” in ebollizione sono diverse per contenuti e “livelli” ma anche per le direzioni.

Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza vi è una dichiarata “sterzata” verso il potenziamento della medicina territoriale (case di comunità, ospedali di comunità, medicina di “prossimità”), un richiamo alla impostazione della riforma sanitaria del 1978 e dello strumento della Unità Socio Sanitaria Locale ove il sociale è integrato al sanitario, l’aspetto locale è fondativo (in contrapposizione  con il modello di aziendalizzazione successivo e del conseguente ospedalocentrismo più o meno accentuato a seconda della regione).

La pentola del PNRR sobbolle su questo tema e i prossimi mesi saranno decisivi per individuare quale sia il “paradigma” sotteso alle dichiarazioni fatte per ottenere i finanziamenti (la gran parte prestiti) europei. Per questo alcune anticipazioni Agenas sulle linee guida relative alle case di comunità sono preoccupanti: si chiede ai medici di medicina generale (il fulcro delle case di comunità) di dedicare 2 ore alla settimana a tale attività, palesemente inadeguata sia in termini di servizio che di concretezza; e non risponde certo alle tante vertenze territoriali sul tema.

Nel PNRR, per sua nascita, non vi è la voce “operatori”, che questi siano fondamentali appare ovvio ma non risolto. Molto bolle in pentola da questo lato, lavoratori/lavoratrici hanno fatto sentire la loro voce ma permane il peso della zavorra dell’ “obbligo fiduciario” che mette il dipendente in balia del datore di lavoro non permettendogli di segnalare criticità pena la perdita del lavoro, per non dire della sempre più estesa precarietà e la esternalizzazione di tutti i servizi possibili.

Il tema della autonomia differenziata è parallelo e foriero di ulteriori sfracelli smontando anche quel che rimane dei Livelli Essenziali di Assistenza che hanno fatto da “cerotto”, ora sempre meno, a 21 sistemi diversi l’uno dall’altro (in Lombardia anche singole aziende sanitarie si possono organizzare diversamente).

Una pentola regionale da tenere d’occhio particolarmente è quella della Lombardia, apripista delle peggiori e più incisive iniziative di smontaggio e distruzione del servizio sanitario pubblico a favore del privato. La legge Moratti approvata il 30 novembre rilancia il modello precedente, costruito con solerzia e impegno dal 1997. Per ottenere i 1,2 miliardi di spettanza dal PNRR la legge contiene formalmente le strutture di medicina territoriale ma subito dopo le definisce “equivalenti” (in precedenza si parlava di “parità”) con il privato, apre alla gestione delle stesse da parte di quest’ultimo e inserisce nel “sistema” le mutue, le assicurazioni e il “welfare aziendale”. Un vero e proprio passo del gambero che ci porta a prima del 1978 ma soprattutto accentua le discriminazioni all’accesso alle cure (già oggi in Lombardia la stessa struttura privata accreditata/convenzionata tratta il “cliente” in almeno quattro modi diversi : utente del servizio sanitario, in fondo alla lista d’attesa; con una aggiunta di pagamento si accorcia l’attesa; con una mutua/assicurazione si accede alle corrispondenti prestazioni a seconda della “ricchezza” del “prodotto” riducendo l’attesa; pienamente pagante: prestazioni immediate e scelta del medico).

Tale impostazione non è in contrasto con il PNRR che non fa scelte o chiare distinzioni tra pubblico e privato rischiando, ancora una volta, di dare pietanze pubbliche in abbondanza a chi ha come obiettivo principale della attività in campo sanitario il profitto e non la salute pubblica. Eppure dovrebbe essere chiaro che i cittadini/e non sono clienti ma portatori del diritto alla salute.

A fronte di quanto è stato deciso o si approssima a decisioni del genere vi è fortunatamente un soggetto che ha acquisito una maggiore forza anche “grazie” all’emergenza e la sfida che la pandemia ha determinato.

È un vaccino antiprivatizzazioni costituito dalle associazioni e dalle realtà sociali che sono tornate a parlarsi anche oltre gli ambiti e le vertenze locali e può produrre numerosi “anticorpi popolari”.

Senza sminuire altre iniziative penso che la principale, in termini di possibili sviluppi futuri e di ampiezza di “presa in carico” di temi, è quella che ha avuto una prima tappa a Bologna il 6-7 novembre scorso: “Come si esce dalla sindemia”.  I quattro tavoli di lavoro (“sistema sanitario”, “cos’è la salute?”, “pandemia: a che punto è la notte?”, “mobilitazione: che fare?”) hanno condiviso alcuni concetti di base sul tema, confrontando esperienze distribuite in Italia e hanno proposto un percorso comune. Il tavolo sulle mobilitazioni ha avuto infatti un esito che merita di essere riportato ampiamente a partire dalla condivisione di essere contro la mercificazione e la privatizzazione della salute come la necessità di lottare  localmente e in connessione con “le battaglie ecologiste, femministe, per il diritto alla casa, al reddito, per l’abolizione del carcere, insomma di tutte le lotte che sono, in fin dei conti, la lotta comune per il diritto alla salute” (…) Concludendo con le seguenti proposte operative:

1.      Urge una piattaforma comunicativa. Non solo serve una piattaforma “centralizzata” capace di assorbire per poi diffondere le informazioni (vertenze, scadenze, lotte, interviste, azioni, ecc.) che provengono da tutti i territori, ma serve soprattutto una piattaforma “rizomatica” in cui le varie realtà abbiano la possibilità di connettersi le une con le altre in maniera autonoma, secondo le proprie libere iniziative.

2.      Serve uno slogan comune, capace di essere elemento universale amalgamante di realtà così tanto diverse. Per questo è stata proposta la frase «la salute non è una merce», ma anche l’idea di un manifesto con poche rivendicazioni universali comuni e quella di una bandiera che, da nord a sud, possa essere sempre riconoscibile.

3.      Infine, è stata sentita la necessità di aprire nuovi percorsi comuni. Percorsi che secondo molti del tavolo dovrebbero portare verso una data durante la quale poter iniziare a sperimentare pratiche di lotta comune e capillare sui territori, ma che secondo altri compagni invece non dovrebbero ridursi ad una semplice data di mobilitazione, per provare a essere invece qualcosa di più profondo, capace di costruire relazionalità più intense ed efficaci nel tempo. Nel medio, lungo e lunghissimo termine.”

Tra le tante pentole, alcune indigeste, almeno una che propone una dieta salutare.

 

*(Presidente di Medicina Democratica)

 

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 48 di Gennaio-febbraio 2022: “Cosa bolle in pentola?

 

da qui

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