(intervista di Andrea De Lotto)
Da anni si parla dell’importanza del tornare alla campagna,
del ridare vita a luoghi che rischiano l’abbandono, del ritrovare qualità
nell’esistenza, a partire da ciò che consumiamo. Ho la possibilità di
intervistare il giovane Andrea Livini, da poco 24 anni, che da due anni ha
fatto questa scelta, con grande coraggio e determinazione.
Raccontaci come sei arrivato nella piccola frazione montana
di Pietra Gavina (nei pressi di Varzi, provincia di Pavia)
La casa dove sono venuto a vivere è la casa dove è nata mia
nonna, è il posto dove trascorrevamo le vacanze. Io con la mia famiglia ho
vissuto a Mantova, Londra, Milano, Pavia. Ho sempre provato questa passione per
l’agricoltura, quando ero bimbo andavo sul seggiolino della bici di mio nonno a
visitare le aziende agricole locali.
Quando avevo 12 anni mio padre comprò il primo campo, che
in realtà era un bosco. Disboscammo e piantammo alberi da frutta,
sperimentavamo, io ero entusiasta, mi emozionavo. Finito il liceo mi sono
iscritto ad agraria a Milano, ma proprio in quel periodo mio padre è stato
licenziato, sono stati 3 anni difficili. Forse anche da questo però è nata
l’idea di venire qui e provare a lavorare più seriamente la terra. Ora mio
padre lavora a Genova, ma io con mia madre, mio fratello e i miei nonni
abitiamo qui, nella vecchia casa. Dell’azienda mi occupo di fatto solo io, non
è facile, ci sono alti e bassi, ma per ora ce la faccio.
Cosa ricordi di Londra?
Lì ho fatto i primi anni di elementari, all’International
School, avevo compagni di mezzo mondo, ho dei bei ricordi e con diversi di
loro sono rimasto in contatto. Londra è davvero speciale, ci sono tornato più
volte. Milano mi manca molto meno.
Quando hai aperto la tua azienda agricola?
Di fatto due anni e mezzo fa. Faccio tutto da solo, ogni
tanto mi aiutano mia mamma o mio nonno, a sbucciare i fagioli… Mio fratello ha
altri interessi. Il problema è che sono partito con pochissima terra, ho
iniziato con due ettari e mezzo e la prima problematica è stata proprio quella,
con poca terra non riesci, a livello di burocrazia, ad aprire un’azienda
agricola.
Coltivo patate, zafferano, mele e poi l’anno scorso ho
iniziato con le api. Vendo attraverso i social e passa parola. Vengono qua
oppure consegno.
La mia speranza è dare un contributo alla ripartenza di
Pietra Gavina e dell’Oltrepò Pavese. Ho imparato tutto da solo, guardando dal
vivo, ma molto anche su internet. La facoltà di agraria mi ha aiutato, ma lì la
pratica è ridottissima.
Quante ore lavori in media al giorno?
Certo cambia molto a seconda dei periodi, ma potrei dirti
una media di 6-7 o forse 8 ore al giorno. Su otto ore di lavoro sei sono fuori
e due in casa.
Sei riuscito ad ottenere finanziamenti, agevolazioni,
sostegni all’imprenditoria giovanile?
Sto ricevendo dei finanziamenti come giovane imprenditore,
nel frattempo cerco di prendere altri terreni in affitto, piano piano…
Ti senti una mosca bianca o parte di un “movimento”, di
qualcosa che sta crescendo tra i giovani?
Non lo so, al di là di quello che si dice tanto, io non
vedo molti giovani che intraprendono questa strada, non vedo questo grande
ritorno all’agricoltura. Vedo che le nuove generazioni che ci provano fanno
fatica e vedo aziende che chiudono perché non c’è ricambio generazionale.
Ti sei sentito “accolto” dalla comunità locale?
Non è facile, gli attaccamenti alle tradizioni sono forti e
anche solo ottenere dei nuovi campi in affitto non è stato facile, molti
addirittura preferiscono vederli incolti che farli lavorare a qualcuno.
Parlandone con altri giovani, pare che questo problema ci sia un po’ in tutta
Italia, il ricambio generazionale fatica ad avvenire. Da un po’ ho aperto un
canale YouTube dove racconto la mia storia, da lì ho conosciuto altri che
cercano di avventurarsi in questa impresa. Ho conosciuto un paio di loro
quest’estate in Sardegna, è stato molto bello e interessante. Mi raccontavano
che da loro, come altrove in Sud Italia, hanno temperature così miti che
riescono a fare due raccolti all’anno di patate.
So che coltivi una varietà particolare di patate…
Ho avuto un’altra fortuna, collaborando con l’Università di
Pavia, ho avuto in “custodia” dei semi di una varietà antica di patate, della
zona, unica al mondo. È una qualità che veniva proprio coltivata qui in montagna
e recentemente ho scoperto che la coltivava un mio trisnonno! Mi diedero una
decina di queste patate e io piano piano sto riuscendo a moltiplicarle. Ho
avuto la certificazione di “prodotto di montagna”, con alcuni accorgimenti
particolari: i terreni non vengono irrigati, non sono sfruttati, sono patate
completamente diverse da quelli che trovi in commercio.
A quanto le vendi?
A due euro al chilo. Prima facevo tutto a mano, un anno fa
ho comperato una macchina che si attacca al trattore, per seminarle in modo
automatico. Le vendo sia ad agriturismi e ristoranti che a privati. Non riesco
a soddisfare tutte le richieste. Ho anche avviato il percorso perché sia
riconosciuta come biologica la mia produzione.
Per quanto riguarda le mele, invece, il fatto che lavori
con piante “antiche” comporta che queste sono in gran parte più resistenti di
quelle commerciali. Le mele che produco sono le antiche “pomelle genovesi”,
chiamate così perché venivano portate a Genova tramite l’antica via del sale,
che parte proprio da Varzi.
Con gli studi all’Università come sei messo?
Sto finendo la triennale a Milano, sono un po’ in ritardo,
unire il tutto non è stato facile. A Milano vado solo per gli esami.
L’Università mi è servita comunque: per esempio, sto facendo una semina di
“copertura” che qui non faceva nessuno. Vuol dire che in inverno non lascio i
campi arati, nudi, ma vi semino un miscuglio di varie leguminose che servono
solo ad arricchire il terreno con potassio, azoto, fosforo. In fondo, in
natura, un terreno non è mai nudo, arato, pulito, come di solito si lascia in
agricoltura. Una terra scoperta in montagna rischia di essere erosa dalle
piogge. Inoltre, il terreno fa in fretta a degradarsi, ma ci vuole molto tempo
per riformarsi. Sto facendo questa sperimentazione, tutto a mie spese. Questa
“copertura” verrà lavorata e integrata nel terreno prima della vera e propria
semina.
Come va con tutta la parte burocratica dell’attività?
Non è stato affatto facile, ho avuto dei momenti di vera
crisi. Non ci capivo proprio niente e c’è da dire che a scuola non si impara
nulla di tutto ciò. Né al liceo né all’Università nessuno ti spiega che cosa è
l’IVA, come funzionano le tasse, come pagarle, eccetera. Inoltre, c’è da dire
che in Inghilterra, se vuoi avviare un’impresa, nel giro di un’ora e spendendo
50 euro hai fatto tutto, qui no. Meno male che mi hanno aiutato due ragazzi che
lavorano alla sede di Confagricoltura, sono stati fondamentali.
Raccontaci dello zafferano…
Lo chiamano l’oro rosso, in effetti un grammo vale tanto.
Anche qui, trovi di tutto. Io lo vendo in vasetti di vetro sigillati, così si
mantiene davvero. Se lo compri in polvere non sai che cosa c’è dentro, oltre al
fatto che grandi ditte lo fanno arrivare da lontano. Sta di fatto che lo puoi
trovare a prezzi relativamente bassi, ma dubito che sia buono davvero. Io non
lo vendo certo in polvere, ma in stimmi, cioè la parte finale del fiore, quello
che è considerato lo zafferano vero e proprio, per esempio la parte basale che
vira al giallo e al bianco, va tolta, per una questione di qualità della
spezia. Anche il venderlo “in nero” danneggia gli altri, come qualsiasi vendita
in nero. In sostanza, per rientrare dalle spese, dall’acquisto dei bulbi fino
al confezionamento nei vasetti, il prezzo equo e giusto va dai 40 agli 80 euro
al grammo, in base alla sua qualità. Io ho iniziato a venderlo a 30, perché
stavo cominciando.
Ho intenzione, l’anno prossimo, di farlo analizzare per
capire se sto coltivando nel modo giusto e per un’ulteriore garanzia al
consumatore.
In generale credo che dobbiamo essere disposti a spendere
qualcosa in più per avere del cibo di qualità, riuscire così a sostenere
aziende che producono in modo etico e sostenibile, che effettivamente ha dei
costi maggiori. I consumatori devono avere coscienza di quello che comprano e
consumano, avere pazienza e voglia di informarsi, di capire.
Sei orgoglioso di quello che sei riuscito a fare?
Diciamo che sono contento, altre persone a me care (mia
madre, la mia fidanzata…) sono orgogliose. Io non ancora. Non posso fermarmi,
devo andare avanti. C’è molto da fare, sia in questa mia azienda appena nata,
che nel territorio in generale. Pietra Gavina è una delle tante frazioni, tra
l’altro piuttosto distanti ed isolate, del comune di Varzi. Diciamo che le
amministrazioni si occupano soprattutto di Varzi, rischiando di trascurare
questi luoghi decentrati, senza favorirne il ripopolamento e la ripartenza.
Sei forse troppo giovane per dire qualcosa sui “cambiamenti
climatici”?
Posso dire che questa estate è stata secchissima, in tutto
il nord Italia, qui da noi da maggio a settembre non è caduta una goccia
d’acqua. Venendo tutte le estati fin da bimbo, non ricordo nulla di simile. I
cambiamenti climatici ci sono eccome, comunque. Nella zona di Casteggio stanno
piantando ulivi, è una novità assoluta.
Che consigli ti senti di dare dopo questi tuoi due anni di
esperienza?
Credo che sia importante per i giovani fare anche diversi
tipi di esperienze, lavori, tutto poi ti può venire utile. Ho fatto il bagnino
per esempio. Una cosa di cui mi rendo conto sempre più è che è importante saper
parlare con le persone, e invece la mia generazione lo sa fare sempre meno,
sempre connessa, abile col telefonino e i social e poi fatica ad alzare gli
occhi e a relazionarsi di persona. Vedo inoltre che durante gli studi non si va
a vedere “il mondo del lavoro”, questo rimane troppo distante.
In questi mesi, compatibilmente col covid, ho accolto
alcuni gruppi di ragazzini di una colonia: siamo andati a raccogliere lo
zafferano, a vedere le api, ma era davvero difficile coinvolgerli, distrarli
dal cellulare al quale sembravano aggrappati e disinteressati al resto.
Sembravano soprattutto pronti a criticare o a prendere in giro. Credo che su
questo ci sia molto da lavorare, tutti e tutte.
Ti sembra in conclusione di avere “attecchito”?
Non è stato facile e non lo è, io sono tendenzialmente una
persona positiva, ma momenti di crisi ne ho avuti diversi, momenti in cui
dicevo: “Ma chi te lo fa fare?” C’è da dire che da ognuno di questi momenti ho
imparato, aggiustando il tiro, modificando qualcosa, imparando. Si va avanti,
nulla è scontato, ma sono fiducioso.
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