lunedì 10 gennaio 2022

Il sistema alimentare globale: uno spreco di energia – GRAIN

  

Tratto da:
Revista Soberanía Alimentaria. Biodiversidad y culturas
"Ruralismo frente a capitalismo energético"
N°41, Verano 2021 - 56 pp.



La diffusione delle energie rinnovabili è accompagnata da una narrativa che la pone come la formula per raggiungere le emissioni zero, come il meglio che possiamo fare per fermare la crisi climatica. Se non affrontiamo il rapporto tra i combustibili fossili e l'attuale modo di mangiare, quello che ci stanno presentando è un miraggio.
 

Dal sole al petrolio

Secondo la FAO, circa il 30% di tutta l'energia utilizzata nel mondo è usata per sostenere il sistema alimentare globale e quasi tutta quell'energia proviene da combustibili fossili. Chi di noi pensava che l'agricoltura consistesse semplicemente nel convertire l'energia del sole in cibo si chiederà: come è possibile? È possibile perché negli ultimi 50 anni, in molte parti del mondo il sistema alimentare si è industrializzato, guidato dalle gigantesche corporazioni alimentari e agrochimiche.

Per sfruttare appieno la terra e forzare i cicli naturali, il petrolio è fondamentale. Se ci mettiamo a pensare senza andare troppo in profondità, vediamo che con macchinari alimentati a petrolio - e costruiti su base di petrolio – si deforestano i boschi per installare monocolture e lavorare in seguito quella terra. Molti pesticidi e fertilizzanti inorganici sono derivati del petrolio e gli stessi alimenti confezionati con petrolio trasformati in plastica vengono esportati via terra, mare e aria, in mezzi di trasporto completamente dipendenti dai combustibili derivati dal petrolio. Sembrerebbe tutto standardizzato, ma senza tutto questo la rivoluzione verde e la globalizzazione del sistema alimentare non sarebbero state possibili.

E così anche nel caso dei contadini che producono per il consumo domestico o per la vendita nei mercati locali, l'agricoltura rimane in gran parte dipendente solo dall'energia sostenibile e infinita del sole e, naturalmente, dall'energia derivata dal loro lavoro.
 

Si può mangiare senza petrolio?

Uno dei dati più eclatanti è che il 70% dell'energia utilizzata nel sistema alimentare globale viene consumata dopo che il cibo ha lasciato l'azienda agricola. Lo si comprende meglio se si guarda al Paese in cui forse questo processo di trasformazione si è evoluto nel modo più estremo: gli Stati Uniti. Il grafico seguente mostra come il consumo energetico del sistema alimentare americano è distribuito nelle sue diverse fasi.

 

L'agricoltura stessa è responsabile di poco più di un quinto dell'energia utilizzata, il 21%. La maggior parte proviene dall'energia necessaria per produrre fertilizzanti chimici e pesticidi (40% dell'energia utilizzata in azienda) e dall'utilizzo del gasolio richiesto dalle macchine agricole (25% dell'energia utilizzata in azienda).

Quando il cibo è stato raccolto è quando viene consumato il restante 79% dell'energia. Il trasporto è un grande divoratore di energia, con il 14% della torta, principalmente petrolio. Questo dato non sorprende, poiché, ad esempio, il 90% di tutte le verdure fresche consumate negli Stati Uniti proviene dallo stato della California.

Potrebbero essere distribuiti da camion elettrici e quindi ridurre l'uso di combustibili fossili? Forse in questo caso sì, in quanto si tratta di una distribuzione interna al Paese; ma sarebbe aneddotico, dal momento che il cibo globalizzato è in realtà un andirivieni di importazioni ed esportazioni di cibo in container, via nave o aereo, che richiedono enormi quantità di petrolio.

È importante sottolineare l'enorme quantità di energia utilizzata nel processo industriale di preparazione e confezionamento degli alimenti, il 23%. È qui che le grandi aziende alimentari come Nestlé, Unilever e Pepsi realizzano la maggior parte dei loro profitti, vendendoci confezioni di alimenti altamente trasformati che non solo richiedono enormi quantità di energia per la loro produzione o di plastica derivata dal petrolio per il suo confezionamento, ma creano anche cumuli di rifiuti difficili da riciclare.

In Spagna, l'11% in peso degli alimenti è costituito da imballaggi usa e getta. Alimenti e bevande generano l'80-90% dei rifiuti di imballaggio, solo il 26% viene riciclato. Questi materiali e processi possono essere sostituiti con altri? Possiamo fare a meno di tutto questo?

La situazione in Europa e in Spagna non è molto diversa. Uno studio del Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea (meglio noto come JRC, per le sue sigle in inglese) ha stimato che il sistema alimentare dell'Unione Europea ha rappresentato il 26% di tutto il consumo di energia dell'Unione nel 2013. L'Universidad Pablo de Olavide, a Siviglia, ha calcolato per la Spagna il 30%. Come negli Stati Uniti, gran parte di essa proviene dal trasporto, dalla lavorazione e dalla produzione di fertilizzanti e prodotti agrochimici. Che Murcia e l'Andalusia producano la maggior parte delle verdure per il resto d'Europa in inverno dice tutto. Un altro esempio che mostra che ogni anno la Spagna importa 80.000 tonnellate di patate dal Regno Unito mentre ne esporta 26.000 nello stesso paese nello stesso anno, forse lo spiega ancora meglio.

Alimenti industriali a base di rinnovabili

Che si può fare a tal proposito? Le aziende agroalimentari stanno rapidamente indirizzando i loro sforzi per produrre macchinari più efficienti nei loro impianti di produzione, iniziare a utilizzare veicoli e strumenti elettrici e passare all'energia rinnovabile. Anche la digitalizzazione in agricoltura, dicono, vuole contribuire alla lotta alla crisi climatica. Ma, come abbiamo visto in precedenza, ci sono almeno due barriere che appaiono insormontabili per l'alimentazione globalizzata.


Bilanci energetici

Un livello più elevato di complessità tecnica non è sempre associato a una maggiore efficacia nell'uso dell'energia degli ecosistemi. La mancanza di efficienza che comporta il progresso ha fatto salire alle stelle la domanda energetica pro capite a livello globale dal 1860 fino ad oggi, la quale si è moltiplicata per 20. Se andiamo ancora più indietro nel tempo e confrontiamo l'energia necessaria pro capite nelle economie industrializzate con quelle dei sistemi di sussistenza cacciatori-raccoglitori, la domanda della prima è 125 volte quella della seconda. Il bilancio del consumo energetico nel settore agricolo mostra che il numero di calorie necessarie per ottenere una caloria dal cibo è triplicato con l'industrializzazione rispetto ai sistemi tradizionali [...]. Nel 1970 il bilancio aveva bisogno di 8 calorie di carburante per ottenere una caloria di cibo. [...] L'energia necessaria per produrre una caloria di cibo è triplicata dal 1970 al 2000. In termini di efficienza energetica, preoccupa il fatto che sia necessario investire 30 calorie nel processo per ottenere una caloria di cibo.

Fonte: M.ª Luisa Roqueta Buj, Analisi input-output energetico dei diversi sistemi energetici alimentari.

Disponibile su https://aries.aibr.org/storage/pdfs/2058/2018.AR0025010.pdf


Da un lato, l'utilizzo di macchinari pesanti nell'odierna agricoltura e allevamento intensivo è, dal punto di vista fisico, impossibile da elettrificare e continuerà a richiedere il diesel, così come non si può fare a meno, nei suoli impoveriti, dell'uso di fertilizzanti e prodotti agrochimici che richiedono petrolio. In secondo luogo, l'uso di macchinari è solo una parte minore del consumo energetico nel sistema alimentare industriale. Il vero problema risiede nell'energia necessaria per spostare in massa i prodotti in giro per il mondo, la lavorazione industriale e il confezionamento alimentare.

Per uscire dall'attuale crisi climatica, sembra chiaro che dobbiamo allargare la prospettiva. L'elettricità rappresenta solo il 20-25% dell'attuale consumo energetico e, come abbiamo visto nel caso del settore alimentare, dell'energia residua solo una piccola parte può essere elettrificata. E, nonostante sia possibile la chimera di usare motoseghe elettriche per continuare a deforestare, trattori elettrici per spargere fertilizzanti o aerei elettrici per continuare a irrorare i prodotti agrochimici, domandiamoci se vogliamo mantenere questo modello.

È chiaro che, se vogliamo un modello più sostenibile, il sistema alimentare mondiale deve compiere un'inversione totale. Dobbiamo muoverci verso metodi di produzione agroecologici che utilizzino pochi fattori esterni e mettano fine al cibo spazzatura altamente trasformato e divoratore di energia. Dobbiamo smettere di spostare materie prime e cibo nel mondo come se il sistema alimentare fosse un'agenzia di viaggi globale e passare alla produzione e al consumo localizzati.
 

* Traduzione di Giorgio Tinelli per Ecor.Network

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