Tratto da:
Revista Soberanía Alimentaria. Biodiversidad y culturas
"Ruralismo frente a capitalismo energético"
N°41, Verano 2021 - 56 pp.
La
diffusione delle energie rinnovabili è accompagnata da una narrativa che la
pone come la formula per raggiungere le emissioni zero, come il meglio che possiamo
fare per fermare la crisi climatica. Se non affrontiamo il rapporto tra i
combustibili fossili e l'attuale modo di mangiare, quello che ci stanno
presentando è un miraggio.
Dal sole al
petrolio
Secondo la
FAO, circa il 30% di tutta l'energia utilizzata nel mondo è usata per sostenere
il sistema alimentare globale e quasi tutta quell'energia proviene da
combustibili fossili. Chi di noi pensava che l'agricoltura consistesse
semplicemente nel convertire l'energia del sole in cibo si chiederà: come è
possibile? È possibile perché negli ultimi 50 anni, in molte parti del mondo il
sistema alimentare si è industrializzato, guidato dalle gigantesche
corporazioni alimentari e agrochimiche.
Per
sfruttare appieno la terra e forzare i cicli naturali, il petrolio è
fondamentale. Se ci mettiamo a pensare senza andare troppo in profondità,
vediamo che con macchinari alimentati a petrolio - e costruiti su base di
petrolio – si deforestano i boschi per installare monocolture e lavorare in
seguito quella terra. Molti pesticidi e fertilizzanti inorganici sono derivati
del petrolio e gli stessi alimenti confezionati con petrolio trasformati in
plastica vengono esportati via terra, mare e aria, in mezzi di trasporto
completamente dipendenti dai combustibili derivati dal petrolio. Sembrerebbe
tutto standardizzato, ma senza tutto questo la rivoluzione verde e la
globalizzazione del sistema alimentare non sarebbero state possibili.
E così anche
nel caso dei contadini che producono per il consumo domestico o per la vendita nei
mercati locali, l'agricoltura rimane in gran parte dipendente solo dall'energia
sostenibile e infinita del sole e, naturalmente, dall'energia derivata dal loro
lavoro.
Si può
mangiare senza petrolio?
Uno dei dati
più eclatanti è che il 70% dell'energia utilizzata nel sistema alimentare
globale viene consumata dopo che il cibo ha lasciato l'azienda agricola. Lo si
comprende meglio se si guarda al Paese in cui forse questo processo di
trasformazione si è evoluto nel modo più estremo: gli Stati Uniti. Il grafico
seguente mostra come il consumo energetico del sistema alimentare americano è
distribuito nelle sue diverse fasi.
L'agricoltura
stessa è responsabile di poco più di un quinto dell'energia utilizzata, il 21%.
La maggior parte proviene dall'energia necessaria per produrre fertilizzanti
chimici e pesticidi (40% dell'energia utilizzata in azienda) e dall'utilizzo
del gasolio richiesto dalle macchine agricole (25% dell'energia utilizzata in
azienda).
Quando il
cibo è stato raccolto è quando viene consumato il restante 79% dell'energia. Il
trasporto è un grande divoratore di energia, con il 14% della torta,
principalmente petrolio. Questo dato non sorprende, poiché, ad esempio, il 90%
di tutte le verdure fresche consumate negli Stati Uniti proviene dallo stato
della California.
Potrebbero
essere distribuiti da camion elettrici e quindi ridurre l'uso di combustibili
fossili? Forse in questo caso sì, in quanto si tratta di una distribuzione
interna al Paese; ma sarebbe aneddotico, dal momento che il cibo globalizzato è
in realtà un andirivieni di importazioni ed esportazioni di cibo in container,
via nave o aereo, che richiedono enormi quantità di petrolio.
È importante
sottolineare l'enorme quantità di energia utilizzata nel processo industriale
di preparazione e confezionamento degli alimenti, il 23%. È qui che le grandi
aziende alimentari come Nestlé, Unilever e Pepsi realizzano la maggior parte
dei loro profitti, vendendoci confezioni di alimenti altamente trasformati che
non solo richiedono enormi quantità di energia per la loro produzione o di
plastica derivata dal petrolio per il suo confezionamento, ma creano anche
cumuli di rifiuti difficili da riciclare.
In Spagna,
l'11% in peso degli alimenti è costituito da imballaggi usa e getta. Alimenti e
bevande generano l'80-90% dei rifiuti di imballaggio, solo il 26% viene
riciclato. Questi materiali e processi possono essere sostituiti con altri?
Possiamo fare a meno di tutto questo?
La
situazione in Europa e in Spagna non è molto diversa. Uno studio del Centro
Comune di Ricerca della Commissione Europea (meglio noto come JRC, per le sue
sigle in inglese) ha stimato che il sistema alimentare dell'Unione Europea ha
rappresentato il 26% di tutto il consumo di energia dell'Unione nel 2013.
L'Universidad Pablo de Olavide, a Siviglia, ha calcolato per la Spagna il 30%.
Come negli Stati Uniti, gran parte di essa proviene dal trasporto, dalla
lavorazione e dalla produzione di fertilizzanti e prodotti agrochimici. Che
Murcia e l'Andalusia producano la maggior parte delle verdure per il resto
d'Europa in inverno dice tutto. Un altro esempio che mostra che ogni anno la
Spagna importa 80.000 tonnellate di patate dal Regno Unito mentre ne esporta
26.000 nello stesso paese nello stesso anno, forse lo spiega ancora meglio.
Alimenti
industriali a base di rinnovabili
Che si può
fare a tal proposito? Le aziende agroalimentari stanno rapidamente indirizzando
i loro sforzi per produrre macchinari più efficienti nei loro impianti di
produzione, iniziare a utilizzare veicoli e strumenti elettrici e passare
all'energia rinnovabile. Anche la digitalizzazione in agricoltura, dicono,
vuole contribuire alla lotta alla crisi climatica. Ma, come abbiamo visto in
precedenza, ci sono almeno due barriere che appaiono insormontabili per l'alimentazione
globalizzata.
Bilanci
energetici
Un livello
più elevato di complessità tecnica non è sempre associato a una maggiore
efficacia nell'uso dell'energia degli ecosistemi. La mancanza di
efficienza che comporta il progresso ha fatto salire alle stelle la domanda
energetica pro capite a livello globale dal 1860 fino ad oggi, la quale si
è moltiplicata per 20. Se andiamo ancora più indietro nel tempo e confrontiamo
l'energia necessaria pro capite nelle economie industrializzate con quelle dei
sistemi di sussistenza cacciatori-raccoglitori, la domanda della prima è 125
volte quella della seconda. Il bilancio del consumo energetico nel settore
agricolo mostra che il numero di calorie necessarie per ottenere una caloria
dal cibo è triplicato con l'industrializzazione rispetto ai sistemi
tradizionali [...]. Nel 1970 il bilancio aveva bisogno di 8 calorie di
carburante per ottenere una caloria di cibo. [...] L'energia necessaria per
produrre una caloria di cibo è triplicata dal 1970 al 2000. In termini di
efficienza energetica, preoccupa il fatto che sia necessario investire 30
calorie nel processo per ottenere una caloria di cibo.
Fonte: M.ª
Luisa Roqueta Buj, Analisi input-output energetico dei diversi sistemi
energetici alimentari.
Disponibile
su https://aries.aibr.org/storage/pdfs/2058/2018.AR0025010.pdf
Da un lato,
l'utilizzo di macchinari pesanti nell'odierna agricoltura e allevamento
intensivo è, dal punto di vista fisico, impossibile da elettrificare e
continuerà a richiedere il diesel, così come non si può fare a meno, nei suoli
impoveriti, dell'uso di fertilizzanti e prodotti agrochimici che richiedono
petrolio. In secondo luogo, l'uso di macchinari è solo una parte minore del
consumo energetico nel sistema alimentare industriale. Il vero problema risiede
nell'energia necessaria per spostare in massa i prodotti in giro per il
mondo, la lavorazione industriale e il confezionamento alimentare.
Per uscire
dall'attuale crisi climatica, sembra chiaro che dobbiamo allargare la
prospettiva. L'elettricità rappresenta solo il 20-25% dell'attuale consumo
energetico e, come abbiamo visto nel caso del settore alimentare, dell'energia
residua solo una piccola parte può essere elettrificata. E, nonostante sia
possibile la chimera di usare motoseghe elettriche per continuare a
deforestare, trattori elettrici per spargere fertilizzanti o aerei elettrici
per continuare a irrorare i prodotti agrochimici, domandiamoci se vogliamo
mantenere questo modello.
È chiaro
che, se vogliamo un modello più sostenibile, il sistema alimentare mondiale
deve compiere un'inversione totale. Dobbiamo muoverci verso metodi di
produzione agroecologici che utilizzino pochi fattori esterni e mettano fine al
cibo spazzatura altamente trasformato e divoratore di energia. Dobbiamo
smettere di spostare materie prime e cibo nel mondo come se il sistema
alimentare fosse un'agenzia di viaggi globale e passare alla produzione e al
consumo localizzati.
* Traduzione
di Giorgio Tinelli per Ecor.Network
Nessun commento:
Posta un commento