Una vera dittatura sanitaria è in atto ma non ci interessa: è quella della tubercolosi (TB). Il 14 ottobre di quest’anno l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha pubblicato il report globale annuale sull’evoluzione epidemiologica dell’infezione e tracciato un quadro sulle risposte fornite da 197 Paesi. “Per la prima volta in oltre 10 anni –ha denunciato Medici Senza Frontiere, nel silenzio generale– il numero di decessi da TB è aumentato da 1,4 milioni del 2019 a 1,5 milioni avvenuti nel 2020, soprattutto a causa dell’impatto devastante della pandemia di Covid-19 che ha limitato la somministrazione di cure per la TB, ivi inclusi i servizi diagnostici”.
I nuovi casi
di TB diagnosticati e riportati al sistema di sorveglianza nazionale dei
diversi Paesi sono scesi infatti da 7,1 milioni nel 2019 a 5,8 milioni nel
2020. “Questa allarmante riduzione nell’individuazione e segnalazione dei nuovi
casi riflette un’interruzione sia per quanto riguarda le forniture mediche sia
la richiesta di servizi diagnostici”, osserva MSF. Chi ha in mano il pallino
dei servizi diagnostici è l’azienda statunitense Cepheid, fornitrice del test
GeneXpert, che in 10 anni ha beneficiato di qualcosa come oltre 250 milioni di
dollari di investimenti pubblici per sviluppare e lanciare la tecnologia.
Il ritorno
per la collettività è stato naturalmente minimo: i test diagnostici costano
tantissimo, specie per i Paesi a basso reddito, e la multinazionale si è
addirittura “rifiutata di fornire informazioni trasparenti su costi di
produzione e margini di profitto per i test diagnostici utilizzati, tra le
altre infezioni, anche per TB e Covid-19”. Non solo: Cepheid ha da poco
bloccato la commercializzazione della nuova tecnologia GeneXpert -“un sistema
portatile ben strutturato chiamato Omni che si ricarica a batteria”, come
ricorda MSF-, messa a punto per supplire alle carenze del test già esistente.
Lo ha fatto senza dare una spiegazione o predisporre contromisure per attutire
il colpo.
Stijn
Deborggraeve, consulente per la diagnostica della campagna per l’accesso ai
farmaci di MSF, ha speso parole nette: “È inaccettabile che molte delle persone
colpite da questa malattia non abbiano accesso a test diagnostici di cui hanno
urgentemente bisogno solo perché aziende come Cepheid antepongono gli interessi
economici alle vite umane”. Un modo di comportarsi “semplicemente scandaloso”
che rappresenta “l’esempio emblematico dell’azienda farmaceutica che pone il
profitto e l’interesse dei propri azionisti al di sopra delle vite delle
persone”. In gioco è anche l’accesso alle cure per i minori affetti da
tubercolosi resistente ai farmaci. MSF chiede da tempo che nei Paesi con un
alto tasso di TB sia garantito l’accesso alle “formulazioni pediatriche della
bedaquilina (prodotta da Johnson&Johnson, ndr) e del delamanid
(prodotto da Otsuka e dal suo partner Viatris, ndr)”.
Sono
“regimi” per via orale che semplificherebbero il trattamento nei minori,
“eliminando l’utilizzo di farmaci a somministrazione parenterale che possono
causare sordità, e rendendo il regime terapeutico più breve, meno nocivo e più
efficace”. Anche qui Big Pharma detta legge. “Il prezzo
elevato del delamanid, pari a 1.700 dollari per ogni ciclo di trattamento, ha
limitato in modo significativo l’accesso al farmaco in molti Paesi -ha spiegato
Mabel Morales, coordinatrice medica di MSF in India-. A Nuova Delhi i negoziati
con Otsuka e Viatris non hanno condotto a risultati e i produttori si sono
rifiutati di abbassare il prezzo di 942 dollari, a cui attualmente Viatris
vende il farmaco in Sudafrica. Anche il prezzo delle formulazioni pediatriche
di bedaquilina rimane troppo elevato”. Altro che gratuità delle cure che dalle
nostre parti qualche “schiavo che si rimira con gli occhi del padrone” -per
citare Eduardo Galeano, a 50 anni dalla prima edizione de “Le vene aperte
dell’America Latina”- si permette il lusso di disprezzare. MSF propone di
“abbattere lo status quo”: le case farmaceutiche Johnson&Johnson e Otsuka
devono “permettere il rifornimento di farmaci generici e abbassare i prezzi”.
Perché questa sì che è una “dittatura”.
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