Se escludiamo gli animali filtratori, gli esseri umani sono le uniche creature che possono sopravvivere stando sedute tutto il giorno. Come specie, abbiamo avuto un discreto successo nel trovare modi di alimentarci e di intrattenerci, e perfino avere un partner, senza praticamente muovere un dito. È effettivamente una prova di quanto siamo intelligenti e versatili. Tuttavia la sedentarietà ha un costo enorme, non solo sui nostri corpi, ma anche sulle nostre menti. La diminuzione del quoziente intellettivo e l’aumento dei disturbi mentali sono stati collegati alla mancanza di movimento fisico.
Il legame tra movimento e cervello è più profondo di quanto potremmo
pensare. Un nuovo e rivoluzionario approccio a questa relazione ha rivelato che
pensieri ed emozioni non avvengono solo nelle nostre teste, e che il modo in
cui ci muoviamo influenza profondamente i nostri processi mentali. Si apre così
la possibilità di usare i nostri corpi come strumenti per cambiare i nostri
modi di pensare e sentire.
Il punto non è semplicemente fare più esercizio. Nel mio libro Move! The new science of body over mind (Muoviti!
La nuova scienza del potere del corpo sulla mente) esploro le nuove ricerche in
materia di biologia evolutiva, fisiologia, neuroscienze e biologia cellulare
per scoprire quali movimenti del corpo influenzano la mente e perché. Non
importa cosa volete dalla vostra mente, se più creatività, più elasticità o più
autostima: i risultati di alcuni studi mostrano che esiste un modo di muovere
il corpo che può servire a ottenerla. Ecco una selezione di movimenti utili a
mantenere una mente più sana e che funziona meglio.
Alzatevi in piedi
Non è esattamente una novità che camminare e correre aiuta a schiarirsi le
idee. Ma le ricerche in questo campo suggeriscono che a diverse velocità
corrispondono diversi benefici mentali. Correndo o camminando a un ritmo facile
da sostenere la mente è libera di vagare perché si riduce l’attività nelle
regioni prefrontali del cervello. Queste aree favoriscono i pensieri razionali
e lineari, e alcuni studi suggeriscono che ridurre la loro attività permette il
fluire di idee più ampie e creative.
Gli effetti continuano per almeno quindici minuti dopo aver smesso di
camminare, hanno stimato i ricercatori dell’università di Stanford, in
California. Secondo loro fare una passeggiata prima di un incontro dove si
discuteranno nuove idee potrebbe essere benefico. Ma attenzione: i camminatori
danno prestazioni leggermente peggiori rispetto a chi è rimasto seduto quando i
problemi da risolvere sono più lineari.
È interessante anche il fatto che fare una pressione leggera sui piedi
quando si cammina lentamente ha effetti sul flusso sanguigno che arriva al
cervello. Gli studi di Dick Greene e dei suoi colleghi dell’università New
Mexico Highlands di Las Vegas suggeriscono che quando il nostro piede tocca
terra le arterie vengono compresse. Questo crea una turbolenza nel flusso
sanguigno che aumenta di circa il 15 per cento la spinta verso il cervello.
Se si aumenta il ritmo della camminata fino a quello della marcia, le cose
diventano ancora più interessanti. Negli esperimenti di Greene il principale
aumento del flusso sanguigno coincide con il momento in cui i battiti del cuore
e il ritmo dei passi si sincronizzano – 120 battiti e 120 passi al minuto, il
che sembra suggerire l’esistenza di uno sweet spot, un
punto magico. Non è chiaro che effetti abbia questo afflusso supplementare di
sangue al cervello, ma sappiamo che l’esercizio in generale aumenta la materia
grigia nell’ippocampo, che è fondamentale per la memoria e la consapevolezza
spaziale.
Tutto questo appare logico se si pensa che gli esseri umani sono fatti per
camminare molto, correre un po’ e usare i loro grandi cervelli per cacciare e
raccogliere. L’antropologo David Raichlen dell’università della Southern
California sostiene che ci siamo evoluti per diventare “atleti di resistenza e
attivi a livello cognitivo”, e quindi non dovrebbe sorprenderci che i nostri
corpi siano costruiti in modo tale che muoversi e pensare siano attività
interconnesse.
Rafforzatevi
Se siete dei millennial, forse non dovreste litigare con
vostro padre. Secondo uno studio condotto nel 2016 negli Stati Uniti, i maschi
di oggi sono più deboli di quelli degli anni ottanta se si misura la forza
prensile massima, un indicatore della potenza muscolare complessiva. Ogni
generazione, a quanto pare, è più debole della precedente. Uno studio del
2019 ha mostrato che, nel 2014, i bambini di dieci anni in Inghilterra
erano del 20 per cento più deboli e avevano il 30 per cento in meno di
resistenza muscolare rispetto a quelli che avevano dieci anni nel 1998.
La colpa è quasi sicuramente dello stile di vita sedentario, che ha
conseguenze sulla salute mentale e fisica. Le persone di mezz’età che sono più
forti hanno più materia grigia e una memoria migliore dieci anni dopo. Una
delle spiegazioni potrebbe essere un ormone chiamato osteocalcina, sprigionata dalle ossa quando ci
muoviamo contro la forza di gravità in qualsiasi tipo di esercizio che preveda
il sollevamento di pesi. Negli studi effettuati sui roditori, è stato
individuato un legame tra il rilascio di questa sostanza e la connettività
dell’ippocampo. Gli studi sugli esseri umani sono ancora in corso, ma sembra
che una mancanza di osteocalcina possa essere legata al declino cognitivo e
all’insorgere di malattie neurodegenerative.
I benefici della forza fisica non si fermano qui. Sappiamo da anni che la
forza fisica è legata a una maggiore autostima e a un maggiore senso di
sicurezza in vari aspetti della vita. Una spiegazione del perché ci fornisce
anche una resistenza mentale è che il nostro senso del sé – e, fatto più
importante, il nostro senso di cosa possiamo ottenere nel mondo – è costruito
sulle nostre sensazioni corporee. Il neuroscienziato e filosofo Antonio Damasio
dell’università della Southern California sostiene che, oltre a tenere d’occhio
battito cardiaco, pressione sanguigna e livelli di glicemia, il nostro corpo
possiede, a livello inconscio, un senso della salute e dello stato dei nostri
muscoli e delle nostre ossa. Questa “divisione muscoloscheletrica” invia
costantemente messaggi relativi alla forza e all’agilità dell’apparato
locomotore, cioè muscoli, ossa, tendini e legamenti che ci permettono di
muoverci.
Questo alimenta il nostro senso implicito di cosa possiamo sopportare. Se
effettivamente fossero confermati, il calo della forza fisica nella società
contemporanea sarebbe preoccupante. È facile pensare che questo declino abbia
un ruolo anche nell’epidemia di ansia e disturbi mentali che colpiscono le
persone di tutte le età. Viene da pensare che il messaggio inviato dalle
divisioni muscoloscheletriche dei nostri corpi non sia per niente rassicurante.
La buona notizia è che possiamo aggiornare in ogni momento questa
conversazione tra corpo e mente. Il rafforzamento fisico sta diventando una
potente arma per contrastare depressione e ansia, anche quando non rientra in
un programma più ampio d’allenamento. Per rafforzarsi non è necessario andare
in palestra o comprarsi dei pesi: basta usare il peso del vostro corpo.
Trascorrere più tempo seduti sul pavimento, per esempio, è un buon modo per irrobustire
i muscoli delle gambe, perché a un certo punto dovrete alzarvi. Gambe forti
rafforzano l’equilibrio e la coordinazione, due aspetti che risentono
negativamente dei nostri stili di vita sedentari.
Ballate
Il potere della danza di avvicinare le persone è così forte che alcuni governi
e gruppi religiosi hanno cercato in passato di proibirla. Ma è una strategia
inutile. Come specie, siamo nati per ballare. Studi basati sulle immagini del
cervello dei neonati mostrano che questi si accorgono se una musica ritmica
salta inaspettatamente un battito. A cinque mesi di età, questa capacità si
collega anche al movimento. Dalle ricerche emerge che i bambini di quest’età
possono muovere il corpo a tempo con la musica, e che più sono in grado di
muoversi a ritmo più sorridono. Anche in tenera età muoversi a ritmo sembra
farci stare bene.
Secondo gli studi condotti da Morten Kringlebach all’università di Oxford,
la sensazione di benessere deriva dal fatto che i nostri cervelli funzionano
come macchine predittive, che provano costantemente a indovinare cosa
succederà. Secondo Kringlebach un ritmo regolare crea soddisfazione perché
facilita la previsione di cosa succederà. Ogni volta che abbiamo ragione,
otteniamo una piccola dose di dopamina, un neurotrasmettitore che partecipa
alla sensazione di piacere.
Tenere il ritmo con il corpo fornisce una seconda dose di dopamina, e
potrebbe anche creare l’illusione che siano proprio i nostri movimenti a dare
quel ritmo, dice la psicologa e musicologa Edith Van Dyck dell’università di
Gand, cosa che ci fa sentire forti e con la situazione sotto controllo.
Muoversi a ritmo di musica quando siamo soli può renderci lo stesso felici.
Farlo in una stanza con altre persone porta la soddisfazione a un livello
superiore, perché aggiunge il piacere dei legami sociali. Alcuni esperimenti
condotti sui bambini hanno mostrato che ci sono maggiori probabilità che questi
aiutino gli adulti, per esempio a raccogliere un oggetto caduto per terra, dopo
che hanno saltellato a tempo di musica. Se invece perdono il ritmo, sono meno
disposti a collaborare. Qualcosa di simile succede anche agli adulti: muoversi
in sincrono con altre persone aumenta la possibilità che ci interessiamo a loro
e che condividiamo le nostre esperienze.
Per spiegare la cosa, un’ipotesi è che solitamente basiamo il nostro senso
del sé sulla percezione che abbiamo dei movimenti del nostro corpo. Quando ci
sincronizziamo con altri, questa propriocezione si fonde con informazioni sui
movimenti altrui che arrivano attraverso i nostri altri sensi, il che confonde
momentaneamente i confini tra il sé e gli altri. Il risultato è uno stato di
vicinanza e comprensione, oltre che un desiderio di aiutare gli altri: cioè
quello di cui il mondo avrebbe davvero bisogno oggi.
Respirate
È il più piccolo dei movimenti, e non richiede grande allenamento. Ma
controllare i muscoli del torace e del diaframma può cambiare in maniera
decisiva il modo di pensare e sentire. Incredibilmente, quando regolate il
vostro respiro, vi state in realtà prendendo carico delle vostre onde
cerebrali, collegandole al ritmo con cui l’aria entra ed esce dal naso.
Il legame si forma attraverso i neuroni sensoriali nella parte alta del
naso, che s’accendono quando l’aria scorre su di essi. Dal momento che
quest’aria contiene informazioni sul mondo esterno, è logico che l’attività
nelle regioni del cervello legate all’odore cominci a sincronizzarsi con il
ritmo di respirazione, permettendo all’informazione di essere trattata a mano a
mano che arriva. Studi recenti, tuttavia, hanno mostrato che la
sincronizzazione non si ferma qui. Si diffonde in aree che hanno il compito di
dare significato alle informazioni, come la memoria, e quelle incaricate di
pianificare e prendere decisioni.
Un’attività ritmica e coordinata tra diverse regioni permette al cervello
di condividere con più facilità le informazioni. Alcuni ricercatori ritengono
che la capacità del cervello di sincronizzarsi con il respiro possa essere una
caratteristica fondamentale del modo in cui tratta le informazioni.
Il modo più facile di mettere in pratica la cosa è chiudere la bocca e
respirare al ritmo di sei respiri al minuto: inspirando per cinque secondi e
poi espirando per altri cinque. È stato mostrato che respirare a questo ritmo è
il modo più efficiente per riempire d’aria i polmoni e lasciare che l’ossigeno
si diffonda nel sangue. Questo ritmo può aumentare la saturazione d’ossigeno
dell’1 o 2 per cento circa, abbastanza per migliorare, anche se di poco,
le funzioni cerebrali.
È stato dimostrato anche che inspirare ed espirare sei volte al minuto
stimola il nervo vago, che fa parte del sistema nervoso parasimpatico, il quale
riporta il corpo a uno stato di calma dopo lo stress. Fatto interessante: gli
studi dedicati alle preghiere e agli inni religiosi hanno scoperto che queste
attività tendono a rallentare la respirazione, portandola a sei respiri al
minuto.
A tre respiri al minuto, succede qualcosa di totalmente diverso. In uno
studio del 2018, coordinato da Andrea Zaccaro dell’università di Pisa, ad
alcuni volontari è stata soffiata dell’aria nel naso, per simulare un respiro
al ritmo di tre inalazioni al minuto. Dallo studio è emerso che le onde
cerebrali si sincronizzavano nelle onde cerebrali delta e theta a bassa
frequenza, soprattutto nelle regioni che processano le emozioni. Le onde theta
sono collegate a un profondo rilassamento e a uno stato di “essere” piuttosto
che di “pensare”, una condizione provata da molti volontari. La cosa è
risultata così rilassante che alcuni partecipanti si sono addormentati. Ma per
chi è riuscito a rimanere sveglio abbastanza a lungo, la respirazione lenta è
un lasciapassare gratuito per raggiungere stati alterati di coscienza, senza
bisogno di sostanze chimiche.
State dritti
Secondo gli studi di psicologia, una postura cadente è da lungo tempo associata
a pensieri negativi e a sentimenti di sconfitta, mentre una postura eretta e
distesa produce un atteggiamento mentale più positivo. Gli esperimenti
dimostrano anche che tenere il corpo dritto durante un evento stressante aiuta
le persone a essere meno colpite e a recuperare più velocemente.
Il problema è che, fino a poco tempo fa, non si conosceva un meccanismo che
associasse in maniera convincente l’atto di tenere il corpo eretto a uno stato
mentale positivo e fiducioso. Una nuova e interessante ricerca suggerisce una
possibile risposta. Peter Strick dell’università di Pittsburgh, in
Pennsylvania, ha trovato una potenziale spiegazione mentre tracciava i percorsi
neurali che collegano il cervello e le ghiandole surrenali, che si trovano
nella parte superiore dei reni e sono responsabili della scarica di adrenalina
causata dallo stress acuto. Strick e i suoi colleghi hanno scoperto che la
parte interna di queste ghiandole, chiamata midollare del surrene, è collegata
alle regioni della corteccia cerebrale che controllano i movimenti volontari.
Questo percorso neurale, a sua volta, si collega ai muscoli del tronco che
stabilizzano il torso e sostengono la postura.
Anche se è troppo presto per sapere con certezza quali informazioni passino
lungo questi percorsi, Strick pensa che il collegamento potrebbe spiegare gli
effetti antistress degli esercizi che si concentrano sul tronco, come quelli di
pilates, yoga e tai chi. Ma tutti i tipi di movimento implicano una qualche
forma di rafforzamento del tronco. E quindi, qualunque sia il modo in cui
decidiate di muovervi, è quasi certo che a un certo punto entri in gioco un
processo di questo genere.
Allungatevi
Allungare i muscoli contratti fa sentire bene, ma sembra che ci siano alcuni
sorprendenti benefici aggiuntivi nello sciogliere i muscoli tesi. Nuove
ricerche suggeriscono che lo stretching porta a cambiamenti nella fascia, quei
fogli di tessuto connettivo che avvolgono i nostri muscoli e permettono loro di
scivolare l’uno sull’altro quando ci muoviamo.
Dalle ricerche effettuata da Helene Langevin quando lavorava alla facoltà
di medicina di Harvard emerge che l’allungamento dei tessuti dei ratti spinge
le cellule della fascia a rilasciare adenosina trifosfato. Questa molecola
gestisce i livelli di infiammazione, cioè la risposta del sistema immunitario
allo stress o a una ferita o a un’infezione. In uno studio del 2016 Langevin e
altri studiosi hanno iniettato carragenina, una sostanza che causa
infiammazioni locali, nei muscoli della schiena di alcuni ratti. Due giorni
dopo, metà dei ratti aveva voglia di stiracchiarsi, mentre l’altra metà no. I
ratti che si allungavano non solo avevano livelli significativamente più bassi
di infiammazione, ma anche livelli più alti di molecole che aiutano a risolvere
l’infiammazione al livello cellulare.
Altri studi hanno scoperto che le fasce sono strutturate come una spugna
imbevuta di fluido che si riversa nel sistema linfatico. Questo potrebbe
significare che l’allungamento o stretching aiuta
a muovere i fluidi del corpo, permettendo al sistema immunitario di dare a
questi liquidi una regolare pulizia e di rispondere all’infiammazione quando
questa si manifesta.
Si tratta di un fatto importante per la mente, perché alle infiammazioni
incontrollate sono associati depressione, dolore cronico e fatica. Le
infiammazioni incontrollate sono aggravate anche dallo stile di vita
contemporaneo e dall’obesità, e accelerano mano a mano che invecchiamo.
Gli studi sullo stretching e le infiammazioni sugli esseri umani sono
ancora in corso, ma se fosse confermato che allungare e schiacciare la fascia
spegne l’infiammazione dopo che la minaccia è passata, si spiegherebbe anche
perché le persone che fanno yoga e tai chi hanno meno indicatori
d’infiammazione nel sangue. Il che potrebbe essere un ulteriore motivo per
concedersi pause regolari per fare stretching.
(Traduzione di Federico Ferrone)
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