La biodiversità è fondamentale per
l'equilibrio e il funzionamento degli ecosistemi. Dal più piccolo e sconosciuto
organismo ai più grandi, tutti fanno parte di un ingranaggio forgiato da
millenni di evoluzione. Non occorre andare troppo lontano per vedere una
biodiversità ricca, ma sottovalutata e minacciata: ce l'abbiamo sotto gli
occhi, proprio in Italia.
La parola biodiversità, oggi di comune uso, è piuttosto recente: nasce nel
1992, coniata dal mirmecologo e divulgatore Edward O. Wilson nel saggio La
diversità della vita. Il termine indica la varietà e la ricchezza
delle forme viventi, quella che ha consentito alla vita di adattarsi ai più
disparati contesti del pianeta, e a sua volta a consentire il funzionamento
degli ecosistemi. Perché gli organismi vegetali e animali, dai più minuscoli a
quelli enormi, contribuiscono a fare girare il mondo come lo conosciamo, un
mondo che ci ha consentito di evolverci… e di dominarlo.
Qual è il primo posto che vi viene in mente se si parla di “ricchezza di
biodiversità”? Probabilmente sarà una lussureggiante foresta pluviale,
pullulante di vita e minacciata da una feroce deforestazione. Ma non occorre
fare viaggi troppo esotici. La nostra penisola è, in ambito europeo, uno dei
posti più ricchi di specie e sottospecie: oltre 8 000 specie di piante
vascolari, 60 000 di animali terrestri (il 98% invertebrati), e 9 300
marini. La grande varietà di forme di vita è dovuta al fatto che l’Italia ha
una grande diversità litologica, topografica e climatica e riveste una
posizione centrale nel bacino Mediterraneo, uno degli hotspot di biodiversità
su scala planetaria. Non solo: l’Italia è ricca di endemismi, cioè piante e
animali che vivono solo all’interno dei confini della penisola. Sono endemici
circa il 20% delle specie animali terrestri e d’acqua dolce, e oltre il 16%
delle piante.
Una ricchezza di cui bisognerebbe andare fieri, e per la quale sentire una
forte responsabilità per la sua salvaguardia. Eppure, la biodiversità italiana
non se la passa proprio benissimo. Lo dicono i dati del “Rapporto direttive natura 2013-2018”
di ISPRA. Oltre il 50% delle specie italiane considerate di interesse
comunitario per l’Unione europea sono in uno stato di conservazione
sfavorevole, e la situazione è pure peggiore sul fronte della conservazione
degli habitat, in particolare le acque interne: qui, infatti, la percentuale
sale all’89%. Il Rapporto è il frutto di una articolata rete di
collaborazioni che coinvolge Regioni, Province autonome, società
scientifiche e università, e riunisce in un unico volume le rendicontazioni
richieste dall’UE in merito allo stato di conservazione di specie vegetali e
animali tutelate dalla Direttiva habitat e dalla Direttiva uccelli (nel
quinquennio 2013-2018) oltre a quella richiesta dal regolamento europeo per le
specie aliene.
La Direttiva
habitat e la Direttiva uccelli sono
importantissimi strumenti legislativi per la tutela della biodiversità, il cui
scopo ultimo è quello di creare una rete ecologica a scala europea, che
rappresenti le varietà e peculiarità degli habitat dell’Europa e che
garantisca la sopravvivenza e gli spostamenti delle popolazioni selvatiche. Le
direttive tutelano oltre 460 specie di uccelli selvatici, 1 389 specie
animali e vegetali e 233 tipi di habitat considerati di importanza comunitaria.
Per le specie e gli habitat in elenco gli Stati si devono impegnare a garantire
uno stato di conservazione soddisfacente. “Soddisfacente” significa
sostanzialmente che esistono e ci saranno in futuro le condizioni perché la
specie o l’habitat siano in buona salute, con popolazioni stabili o in
espansione.
Torniamo quindi all’Italia e alla sua ricchezza di biodiversità: ben il 30%
delle specie e degli habitat è oggetto di tutela in direttiva, ma tale dato è
offuscato dal fatto che 53% delle specie animali e il 54% di quelle vegetali
versa in uno stato di conservazione inadeguato o cattivo. In particolare, è
preoccupante la situazione dei pesci di acqua dolce: circa il 60% delle
popolazioni ha uno stato di conservazione cattivo. Anche la situazione di
anfibi e rettili è tutt’altro che rassicurante, dato che la metà ha un cattivo
stato di conservazione. Rispetto alla situazione fotografata dal precedente
rapporto biodiversità, per il 78% delle specie animali la situazione è del
tutto invariata; in alcuni casi è peggiorata, come nel caso di anfibi e
rettili. Particolare è il caso degli uccelli: è diminuita la percentuale di
specie minacciate di estinzione (il 4% in meno rispetto al report precedente),
ma per quelle che hanno uno stato di conservazione sfavorevole la situazione si
è aggravata: sono infatti aumentate del 5% le specie in pericolo di estinzione.
Ma la situazione più critica è quella relativa allo stato di conservazione
degli habitat di interesse comunitario: le valutazioni favorevoli sono
nettamente diminuite rispetto al precedente rapporto, passando da 55 a 21. In
parte questo si spiega col fatto che nel tempo sono stati cambiati i criteri
per la valutazione dello stato di conservazione, ma la situazione è comunque
preoccupante.
Sia per le specie animali che per gli habitat, le principali minacce per la
conservazione sono l’agricoltura intensiva e lo sviluppo di
infrastrutture, e per le acque dolci l’inquinamento legato ad attività
estrattive e di acquacultura. Le specie vegetali sono minacciate dall’abbandono
delle pratiche agronomiche e pastorali tradizionali, il sovra-pascolo, la
conversione in aree agricole, le modifiche idrologiche e l’inquinamento.
Nell’ambiente marino, invece le principali cause di declino sono
l’inquinamento, il disturbo arrecato dalle attività umane, la costruzione di
infrastrutture e i cambiamenti climatici. Un'ulteriore minaccia per la
conservazione delle specie in direttiva è la presenza di specie aliene
invasive. Secondo il report, vantiamo la triste presenza sul podio, insieme a
Francia e Belgio, dei tre Paesi con il più alto numero di specie aliene
invasive di importanza unionale, guadagnando una medaglia di bronzo. Per le
specie aliene lo strumento normativo europeo è il Regolamento
1143/14 , che identifica una lista di specie esotiche invasive
ritenute “di rilevanza unionale”, per le quali i Paesi europei hanno una serie
di obblighi e divieti (rilascio nell’ambiente, vendita, riproduzione e
detenzione). In Italia sono presenti 31 sulle 48 specie elencate nel
regolamento, 17 animali e 14 vegetali. Il problema è diffuso soprattutto al
nord, ma alcune specie, come Trachemys scripta (la tartaruga
americana dalle guance rosse, che un tempo si vinceva ai luna park), sono
presenti in tutte le regioni. Il Regolamento 1143/14 prevede azioni di
contenimento per le specie aliene invasive di importanza unionale, ma
a oggi gli interventi sono concentrati su alcune specie e l’area di
intervento non copre tutta la zona di presenza nazionale.
I dati italiani sull’andamento delle specie in direttiva confluiscono in
un report globale,
che comprende le valutazioni di tutti i Paesi del’UE: State of Nature
in the EU, che ogni sei anni fotografa la situazione e gli
andamenti delle specie e degli habitat protetti dalle direttive europee. Le
statistiche italiane sono perfettamente in linea con quelle dell’Unione
europea: il 63% delle specie in direttiva e l’81% degli habitat hanno uno stato
di conservazione sfavorevole. Non ultimo, questi report permettono di valutare
quanto realmente la biodiversità venga monitorata come le direttive
indicherebbero: sia in Italia che in Europa, in realtà, si hanno a disposizione
per molte specie e habitat dati frammentari, monitoraggi parziali o valutazioni
basate unicamente sul parere di esperti. Solo una minoranza delle valutazioni è
basata su dati completi. Questo evidenzia una globale difficoltà nel mettere in
piedi sistemi di monitoraggio di specie e habitat che siano robusti,
standardizzati e uniformi su scala nazionale, spesso legato a una mancanza di
sufficienti risorse economiche con investimenti sostanziali e di lunga
durata e di un sufficiente contingente di personale dedicato e strutturato
negli enti.
Il fatto che non siamo i fanalini di coda nella tutela di specie e habitat
non è decisamente un “mal comune mezzo gaudio” ma un'amara constatazione
che c’è molto da lavorare per invertire la tendenza. Malgrado le buone
intenzioni, fondi dedicati (come i programmi Life) e l’impegno concreto
messo in atto da tecnici del settore, resta molto da fare per la tutela della
biodiversità europea. Mantenere lo status quo, lo dicono gli stessi report, non
è sufficiente, occorre uno slancio per un miglioramento concreto della situazione.
Le pressioni antropiche restano ancora troppo forti, e bisogna cambiare rotta
se in dieci anni si vogliono raggiungere gli ambiziosi obiettivi prefissati: la
strategia EU per la biodiversità indica che per il 2030 almeno il 30% delle
specie con uno stato di conservazione non soddisfacente devono passare a una
conservazione soddisfacente. E il traguardo appare ambizioso se si pensa al
fatto che la situazione è stagnante o addirittura peggiorata per molte specie.
Scrive Wilson ne La diversità della vita:
Ogni nazione ha tre patrimoni diversi: quello materiale, quello culturale e
quello biologico. Se abbiamo le idee ben chiare sui primi due perché
costituiscono il nocciolo della nostra vita quotidiana, quanto alla
biodiversità, l’essenza del suo problema sta nel fatto che del patrimonio
biologico ci curiamo infinitamente meno. Si tratta di un gravissimo errore
strategico di cui col passare del tempo ci pentiremo sempre più amaramente. […]
La fauna e la flora fanno parte anch’esse del patrimonio di una nazione, in
quanto rappresentano il risultato, localizzato nel tempo e nello spazio, di
milioni di anni di evoluzione, e dovrebbero pertanto essere oggetto di
interesse non meno di altri aspetti particolari.
Parole scritte trent’anni fa, eppure la biodiversità fa fatica
a entrare nelle agende dei decisori politici come azione prioritaria, e la
sua erosione stenta a diventare un urgenza di cui preoccuparsi per agire in
tempi rapidi e tutelarla in modo effettivo. Riuscirà a diventare un'urgenza
prima che sia troppo tardi?
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