sabato 20 novembre 2021

Un accordo stonato - Alberto Castagnola

Per fare una prima valutazione del cosidetto accordo “Glasgow Climate Pact” occorre leggere attentamente il testo finale concordato dopo un lungo tira e molla della diplomazia internazionale. Nel documento emergono con chiarezza i limiti e le carenze dell’intero incontro internazionale nonostante la drammatica fase attuale della crisi climatica.

La parte iniziale può apparire molto formale piuttosto priva di contenuto, ma ad un lettore smaliziato si richiama ad aspetti non secondari dell’intera iniziativa, che malgrado tutto è il maggiore sforzo a livello internazionale fatto dalla quasi totalità degli Stati del pianeta. Infatti si può notare che il testo parla subito di “sostenibilità”, cioè di tentativi di affrontare i meccanismi di danno ambientale senza però modificare il sistema economico dominante che pure ne è la causa.

Poi si cerca più volte di stabilire un qualche collegamento con la povertà che caratterizza tante parti del mondo e con il riconoscimento dei diritti umani essenziali, compreso il diritto allo sviluppo e dell’eguaglianza tra i generi e tra le generazioni.

Si cita perfino il concetto di Madre Terra che ispira tante popolazioni e quello di giustizia climatica perseguito dai movimenti di base. Infine accenna alla necessità di accelerare gli impegni da raggiungere nel 2030, senza però sottolineare che gli obiettivi indicati nell’Accordo del 2015 sono stati nei primi sette anni piuttosto trascurati.

Veniamo ora al primo comparto preso in esame, quello della scienza e dell’urgenza di intervenire. Nei primi due punti viene sottolineata l”importanza della ricerca scientifica e vengono indicati i contributi dei diversi gruppi di scienziati e i rapporti gia perventuti o previsti per l’anno 2022.

Nel terzo punto si esprime “allarme e forte preoccupazione” per le attività umane che hanno già causato un aumento della temperatura media globale di 1,1 gradi centigradi, però non si sottolinea che questo livello è già molto vicino a quel 1,5 C che viene indicato come la soglia massima da non superare nei più recenti rapporti dello stesso IPCC.

Infine, nell’ultimo punto, si sottolinea l’urgenza di potenziare ed intensificare le azioni e gli interventi di mitigazione dei danni ambientali in questo decennio considerato fortemente critico.

Nel comparto “Adeguamento” il testo entra nel merito, esprimendo preoccupazione per i dati contenuti nel Sesto Rapporto degli scienziati, che sottolineano come il clima e gli eventi estremi meteorologici continuano ad aumentare ad ogni incremento della temperatura.

Viene quindi sottolineata l’urgenza di aumentare le azioni e le misure di sostegno, in particolare i finanziamenti, le capacità di intervento, il trasferimento di tecnologie, le misure di adattamento, il grado di resilienza e di ridurre invece la vulnerabilità di fronte ai cambiamenti climatici, tenendo particolarmente in conto le priorità  e le esigenze dei paesi in via di sviluppo. Poi si accolgono con favore i piani nazionali di adeguamente finora presentati ma si spingono tutti i paesi ad integrare le misure di adeguamento in tutti i livelli di pianificazione interni ad ogni paese. Infine, riferendosi in particolare alle prossime scadenza di presentazione dei rapporti degli scienziati, si chiede alla scienza di approfondire tutti i problemi del cambiamento climatico a livello globale, regionale e locale.

Il comparto successivo approfondisce gli aspetti finanziari delle misure di adeguamento. In primo luogo denuncia l’inadeguatezza degli interventi finanziari destinati ai paesi in via di sviluppo, esercita una pressione sui paesi sviluppati perchè aumentino in misura significativa e con urgenza i loro contributi finanziari, in particolare nei settori prima indicati, affinchè diventino parte di uno sforzo globale di adeguamento, in modo da rispondere alle esigenze dei “paesi in via di sviluppo”, ivi compresa la elaborazione e la attuazione di piani nazionali di adeguamento.

Il testo poi accoglie con favore i recenti impegni assunti in questo campo da molti paesi sviluppati in risposta ai crescenti fabbisogni dei paesi Parti in via di sviluppo.

Il comparto successivo, che fornisce il resto dei pochissimi dati citati dal documento,  tratta le misure di mitigazione dei meccanismi di danno ambientale.

Riconferma l’obiettivo globale a lungo termine di rimanere al di sotto dei 2 gradi centigradi di temperatura media complessiva per il pianeta e di continuare negli sforzi di limitare questo aumento al di sotto del grado e mezzo. Riconosce anche che per limitare il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi richiede una rapida, profonda e continuativa riduzione delle emissioni globali di gas serra, ivi compresa una riduzione delle emissioni globali di diossido di carbonio del 45% entro il 2030 rispetto al livello dell’ anno 2010, e di arrivare ad emissioni zero nette intorno alla metà del secolo, altre ad altre drastiche riduzioni di tutti gli altri gas serra.

Il documento quindi insiste nel confermare le scadenze da tempo indicate senza tenere in alcun conto i ritardi accumulati e le accelerazioni riscontratesi in molti gas, in particolare per il metano.

Viene solo ribadito che il prossimo decennio è cruciale  e punta quindi a mettere sotto pressione gli Stati industriali maggiori inquinatori e infatti nelle righe successive invita tutti gli Stati a ulteriori azioni per ridurre entro il 2030 le altre emeissioni di gas serra, ivi incluso il metano, senza peraltro sottolineare la sua maggiore pericolosità rispetto all’anidride carbonica.

I due ultimi  capoversi costituiscono una interessante sintesi delle misure auspicate dalla COP  per ridurre i danni al pianeta: accelerare lo sviluppo, il dispiegamento e la diffusione di tecnologie, politiche di transizione verso sistemi energetici a basse emissioni, ivi inclusi l’accelerazione degli sforzi verso la graduale riduzione dell’energia da carbone e l’eliminazione graduale dei sussidi inefficienti ai combustibili fossili.

Queste due ultime frasi richiedono un commento specifico: per il carbone si parla solo di una “graduale riduzione”, escludendo quindi ogni misura radicale di eliminazione, e per gli altri combustibili fossili non solo non  si prevede alcuna riduzione, ma si parla solo di ridurre gradualmente una parte dei sussidi ad essi erogati, e cioè solo quelli “inefficienti”.

Per i paesi più poveri e vulnerabili si parla in termini generici di destinare un “sostegno” verso una transizione giusta. Infine, viene sottolineata l’importanza di proteggere, conservare e ripristinare la natura e gli ecosistemi, ivi inclusi le foreste e altri sistemi terrestri e marini, in quanto rappresentano giacimenti e serbatoi di gas utili per l’atmosfera e permettono di tutelare la biodiversità.

Il comparto successivo parla nuovamente di finanza, di trasferimento di tecnologie e di creazione di capacità sia per la mitigazione che per l’adeguamento. In primo luogo esercita delle pressioni sui paesi sviluppati – e altre Parti che non sono degli Stati –  perchè continuino e  aumentino i loro sforzi e i loro  trasferimenti ai paesi in via di sviluppo. 

Per essi, inoltre, si esprime una preoccupazione per le crescenti esigenze di questo gruppo di Stati, dovuto in particolare al crescente impatto dei cambiamenti climatici e e all’aumento dell’indebitamento causato dal 2019 dalla pandemia di coronavirus.

Il documento poi evidenzia la necessità di aumentare in misura significativa il fondo di 100 miliardi di dollari annui per questi paesi, finora livello mai raggiunto, ma poi sottolinea che dei paesi sviluppati hanno di recente rinnovato il loro impegno in questa direzione.

Infine viene esercitata una forte spinta affinchè si raggiunga questo scopo in tutti gli anni fino al 2025, accompagnata da una piena trasparenza degli impegni presi e ripsttati.

Il documento passa poi a chiedere in modo pressante a tutte le banche di sviluppo e a entità che svolgono funzioni simili nel quadro del Meccanismo Finanziario perchè aumentino senza sosta i loro investimenti relativi al clima in qualunque forma finanziaria.

E la necessità di questo impegno viene molto sottolineata  per i paesi  particolarmente vulnerabili, includendo anche i diritti speciali di prelievo.

Viene poi sottolineato che molti paesi in via di sviluppo possono trovare difficoltà ad accedere alle fonti di finanziamento e si chiede agli organismi che operano nel Meccanismo Finanziario di fare ulteriori sforzi per agevolare tali paesi.

Per quanto riguarda poi la creazione di capacità, si riconoscono i miglioramenti verificatisi in questo tipo di assistenza, ma si raccomanda che tutti questi interventi siano ulteriormente realizzati nei paesi in via di sviluppo, specie per catalizzare le azioni in campo climatico.

Viene poi vista con piacere la collaborazione che si è stabilita tra il Comitato Esecutivo per la Tecnologia e il Centro e la Rete per la Tecnologia Climatica nel 2020 e nel 2021 e ci si augura che tale collaborazione venga intensificata nel futuro. Sempre riguardo al Meccanismo per la Tecnologia,  si sottolinea infine l’importanza di potenziare lo sviluppo e il trasferimento di tecnologie per tutte le azioni di mitigazione e di adeguamento, per le quali si dovrà disporre di mezzi finanziari adeguati.

Nel sesto comparto, dedicato  alle Perdite e ai Danni, si parla a lungo di un possibile campo di azione per l’IPCC e le COP, se ne è discusso anche nell’ultima COP26 senza però arrivare a delle decisioni finali.

Quindi è ancora un tipo di intervento potenziale e sicuramente se ne continuerà a parlare nella prossima COP27. Nel merito,  si riconosce che i cambiamenti climatici hanno già causato e continueranno a causare in misura ancora maggiore, molti danni e perdite di ogni tipo, in particolare quando si verificano eventi estremi. Sono quindi molto numerose le entità che sono responsabili per la prevenzione di questi effetti e per ridimensionare le loro conseguenze.

In questo campo, quindi, è necessario realizzare azioni di sostegno, mobilitando gli Stati, le entità operative del Meccanismo Finanziario, gil organismi delle Nazioni Unite, organizzazioni intergovernative e altre istituzioni multilaterali, ivi comprese  le organizzazioni non governative e le fonti private.

Analoga azione deve essere svolta  nel campo della costruzione di capacità operative a tutti i livelli e in quello del trasferimento di tecnologie. Negli ultimi paragrafi si forniscono prime indicazioni per l’inserimento del nuovo settore nelle normali attività dell’IPCC e degli Stati.

Il settimo comparto (paragrafi 46-52) sottolinea l’urgenza di completare gli adempimenti relativi ad impegni già assunti dagli Stati, e si forniscono alcuni suggerimenti organizzativi e di metodo per completare tutti gli impegni già assunti.

Infine, nell’ultimo comparto sono indicate tutte le forme di collaborazione avviate finora tra gli Stati parti e un gran numero di altre istituzioni, nel quadro dell’Accordo di Parigi del 2015.

E’ una lista piuttosto formale, cioè che non fornisce elementi di contenuto o informativi; ci limitiamo quindi a segnalare il paragrafo 63, che esprime apprezzamenti per i risultati di due grandi eventi organizzati dai giovani a Glasgow nell’ottobre 2021 e a Milano, Italia, nell’ottobre 2021, considerandoli quindi delle forme di “collaborazione” e non di contestazione.

Analogo trattamento è riservato alle  popolazioni indigene e alle comunità locali che intraprendono attività sui temi del clima, (par. 66). Infine le Parti vengono incoraggiate ad aumentare una piena, significativa e ugualitaria partecipazione delle donne (par.68).

Alcune considerazioni generali relative al documento nel suo complesso  possono aiutare a formulare giudizi realistici:

§  Non sono citati dati sull’andamento dei principali meccanismi di danno ambientale e sul peggioramento della crisi planetaria.

§  Non viene fornita alcuna cifra sui finanziamenti che sarebbero necessari per contenere la crisi in atto.

§  Le scadenze previste ormai oltre sei anni fa non vengono in alcun modo rimodulate.

§  Non viene fatto alcun accenno alle iniziative di collaborazione tra Stati, che hanno preceduto la conferenza o che sono state annunciate durante il suo svolgimento

La società civile dovrà tenere altissima la pressione per far sì che questo debole accordo possa esser presto ridiscusso e che si possa arrivare a risoluzioni efficaci e vincolanti che producano al più presto un cambio di paradigma dell’intero modello economico che regge questo sistema che ci sta portando alla catastrofe.

da qui

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