giovedì 25 novembre 2021

Quando l’ecologia si trasforma in imbroglio ecologico - Valter Giuliano

  

Archiviata con un poco di fatto la Cop26 – a meno che ci si accontenti di qualche poco significativo passettino in avanti e di qualche ulteriore roboante dichiarazione di principio – dobbiamo prendere atto della dura verità che ci condurrà a uno scontro a muso duro contro il futuro il cui risultato è già scritto: sconfitta della perdurante presunzione del genere umano sempre meno sapiens.

Lo dicono i fatti. Biden, “dormiente” a Glasgow, quattro giorni dopo la chiusura del summit ha dato il via libera alla ricerca di idrocarburi e di gas nel Golfo del Messico. L’Italia, nel suo piccolo, tramite Cassa Depositi e Prestiti, insieme a Intesa San Paolo finanzia il progetto Artic Lng2, a trazione russa – Novatec ‒ con finanziatori internazionali. Le trivelle all’assalto dell’Artico dove già agiscono 559 campi di estrazione e di ricerca. Tutto ciò alla faccia del sì alla moratoria sui finanziamenti pubblici agli impianti di estrazione o utilizzo di fonti fossili.

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi parla dei giovani e del loro futuro, ma la sua politica dubitiamo possa essere quella capace di garantirlo alle generazioni che verranno. Il sistema economico finanziario che rappresenta continua a rifiutarsi di affrontare la pandemia più grave in corso e di cui quella sanitaria potrebbe essere soltanto una delle prime avvisaglie.

Il concetto labile e per ora vuoto di contenuti della rigenerazione ambientale, se sarà riempito con le vecchie ricette neoliberiste, non porterà nulla di buono. Con l’ex governatore della BCE ‒ e il sistema finanziario di cui è espressione ‒ a gestire le risorse straordinarie per la riconversione non solo energetica (di per sè non sufficiente) ma ecologica, è certo che la New Generation Eu ha già perso e prevarrà il restauro del sistema economico-finanziario che sostiene il mercato drogato della crescita infinita, in perfetta antitesi con la necessità di affrontare la ben più urgente crisi ambientale. Proseguirà la corsa in rotta di collisione con le ultime opportunità di reazione per cambiare radicalmente l’economia, e renderla sostenibile ambientalmente e socialmente. Il liberismo sarà alimentato con le ultime ricette di morte del pianeta e la new generation rischia di essere la last generation.

Ad oggi siamo ben distanti dai diciassette obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile e manca qualsiasi Strategia nazionale per le Agende urbane di sviluppo sostenibile. In un Paese nel quale il rischi correlati alla sommersione dei quasi ottomila chilometri di coste (di cui quasi duemila cementificate) lungo le quali vi sono città importanti tra cui Imperia, Savona, Genova, La Spezia, Carrara, Grosseto, Livorno, Napoli, Salerno, Messina Palermo, Trapani, Cagiari, Catania, Siracusa Reggio Calabria Taranto, Lecce, Brindisi, Bari, Pescara, Ancona, Pesaro, Rimini, Ravenna, Venezia, Trieste… esiste un piano per la loro protezione e salvaguardia? Se trasferiamo la nostra attenzione sulle Alpi, il cui versante Sud è praticamente tutto italiano, quali programmazioni si stanno immaginando davanti ai possibili rischi che comporterà la compromissione degli strati di permafrost, anticipati dai crolli sul Monviso, sul Monte Bianco, sulle Dolomiti Ampezzane? Per i fenomeni alluvionali innescati dal riscaldamento, Catania non è che l’ultimo esempio, destinato purtroppo a ripetersi e accentuato nei suoi risultati dalla mancata manutenzione del territorio.

Eppure di fronte a questa accelerazione della crisi ambientale c’è ancora chi vorrebbe riportare le misure di resilienza ai singoli comportamenti di ognuno di noi. Certo importanti, ma non sufficienti.

Come avvertono gli scienziati (che sulla pandemia da Coronavisrus tutti, indistintamente, invitano ad ascoltare seguendone le indicazioni) e come ha colto Papa Francesco, occorre un radicale cambio di paradigma, una vera e propria rivoluzione ambientale. Non bastano i timidi provvedimenti fideisticamente tecnocratici che sembrano avviati dal Governo dei presunti “migliori”, che mentre non manca di professare la sostenibiblabla e un ambientalismo di facciata è incapace di fermare le trivelle nel Mediterraneo e consente una ulteriore proroga alla tassazione sulle plastiche e sugli zuccheri. La transizione ecologica da sola non è sufficiente se non è sostenuta da un cambio di visione e di strategia anche dell’economia. Non è un caso che, per discuterne, lo stesso Papa Bergoglio abbia chiamato nel progetto “L’economia di Francesco” ‒ che fa riferimento non a se stesso ma al Santo patrono d’Italia ‒ giovani ricercatori, scienziati, economisti, sindacalisti, la cui mente non sia ancora segnata dall’imprinting, oggi inutilizzabile, delle vecchie teorie economiche che guidano i mercati e la finanza internazionale.

Valutati i protagonisti cui è stata affidata la “transizione ecologica” sorge il timore che si ridurrà a una transizione tecnologica, fatta di reti produttrici di inquinamento elettromagnetico dalle sconosciute conseguenze sanitarie e di fonti energetiche illusoriamente ecosostenibili.

Ciò che rischiamo è di trovarci ancora una volta davanti a quello che Dario Paccino, nel 1972 definì, nel noto libro pubblicato da Einaudi, l’imbroglio ecologico. Ieri come oggi il tema ambientale, ormai indifferibile per garantire la sopravvivenza della nostra specie – non del Pianeta, che se la caverà benissimo –, viene affrontato non alla radice ma nell’illusione che qualche leggero medicamento risolverà il problema.

Per affrontare davvero la crisi ambientale, che oggi ha nel riscaldamento climatico (non chiamateli “cambiamenti climatici” che il clima non c’entra, ma solo i dissennati comportamenti della nostra specie) la cartina al tornasole di tutta evidenza, occorre andare alle radici delle cause strutturali che l’hanno prodotta e che per decenni è stata ignorata. Dario Paccino ce le indicò già allora: i rapporti sociali di produzione e di forza. Se non si tengono in debito conto questi fattori si finisce con il trasformare l’ambientalismo «in un’ideologia che copre e fa scomparire sia lo sfruttamento del lavoro sia i processi di messa a profitto della natura». Vale la pena rileggere quel testo, appena ripubblicato (L’imbroglio ecologico, L’ideologia della natura, (Ombre corte, Introduzione di Gennaro Avallone, Lucia Giulia Fassini, Sirio Paccino) in cui Paccino si domandò, cinquant’anni, fa se non fosse che proprio nell’ecologia avesse trovato rifugio il vecchio Dio dei padroni.

È tempo di tornare a riconsiderare i rapporti capitale-natura-società. Naturalizzare l’uomo e umanizzare la natura, resta l’imperativo. Si comprenderà, allora, che non suona casuale il ritorno della prospettiva nucleare, «energia padrona, delle multinazionali, quintessenza del capitalismo», scienza ed energia del padrone, forza produttiva per l’accumulazione e la riproduzione del capitale, strumento per l’accrescimento del plusvalore, basato sulla crescita espansiva, senza limiti.

Non è solo l’economia che va sostituita, ma anche la scienza e la tecnologia che stanno a fondamento dell’attuale modello produttivo. C’è bisogno di un’altra scienza, capace di dare all’uomo una tecnologia di liberazione al posto dell’attuale, finalizzata all’asservimento.

Ma per sbarazzarsi dall’imbroglio ecologico non basta mandare via il padrone, cioè le forze sociali, economiche e politiche che sostengono i meccanismi socioeconomici e socioecologici che si sono imposti su scala globale. Non è sufficiente la riconversione secondo la definizione classica. È indispensabile ridefinire radicalmente i rapporti socioecologici partendo da un’ecologia conflittuale che si ponga l’obiettivo di salvare l’Umanità, non il Capitale.

La crisi ecologica non può prescindere dai processi di produzione e dai conflitti sociali che comportano; su questo anche il sindacato dei lavoratori si deve dare una mossa. Perché l’ecologia del padrone mette in circolo, ogni volta, il ricatto dell’alternativa tra inquinamento e disoccupazione. Ne abbiamo ormai tanti esempi, a cominciare dal disastro di Donoa in Pennsylvania del 1948, passando da tante situazioni analoghe, sino ad Agusta e Taranto per restare nel nostro Paese che vive ancora il dramma della Eternit.

È tempo di dire basta. Per farlo occorre un ecologismo conflittuale finalizzato a costruire un rapporto equo ed armonico tra gli esseri umani, le organizzazioni sociali e la natura, che torni denunciare, con forza, il nesso tra assetto capitalistico del lavoro, salute, nocività in fabbrica e degrado ambientale. Perché il rispetto dell’uomo e della natura è strutturalmente incompatibile con il modello di sviluppo dominante, con un’economia di mercato che produce a prezzi sempre più bassi beni di consumo sempre meno utili e con una obsolescenza programmaticamente sempre più breve.

Bisogna porre fine a un imbroglio che si avvale dell’uso ideologico e mistificato della natura. Per farlo, il programma New Generation EU è occasione che difficilmente si ripeterà, per rovesciare i paradigmi consolidati che ci hanno portato all’attuale situazione. Per una conversione ecologica vera che inverta la rotta del riscaldamento globale contenendo l’aumento di temperatura entro i 2°C indicati come punto oltre il quale non esiste altro che l’estinzione della nostra specie. Se si continuerà con la transizione, perpetuamente annunciata e puntualmente rinviata, finiremo dritti dritti a livelli di aumento della temperatura intorno a 2,7 gradi, dagli effetti imprevedibili.

Serve una conversione verso l’ecologia integrale che riporti al giusto posto l’economia: tra l’etica e l’ecologia. E che dia ascolto, come per la pandemia, ai moniti degli scienziati.

I giovani della New Generation Eu non devono rassegnarsi a lasciare il bastone del comando alle élite economiche e finanziarie che hanno posto le basi per la rapida distruzione del pianeta. Per farlo devono riprendersi e riprendere la politica. Non c’è spazio per il futuro se non nell’equilibrio tra tutela ambientale e giustizia sociale, con un orizzonte nel quale l’umanità faccia pace all’interno di sé e con la Natura che la nutre.

da qui

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