Sono stata lontana dalle pagine di Internazionale per qualche mese, ma
rieccomi.
Di solito non scrivo di questioni personali, ma stavolta, e per dirvi dove sono stata e che cosa sto andando a raccontarvi, devo fare un’eccezione.
Di solito non scrivo di questioni personali, ma stavolta, e per dirvi dove sono stata e che cosa sto andando a raccontarvi, devo fare un’eccezione.
Dunque. Dopo aver trascorso negli Stati Uniti gli ultimi due anni del liceo
e i quattro d’università, a maggio di quest’anno mio figlio si è laureato
(una double major in economia e psicologia), magna cum laude.
Allora mi sono detta che dovevo fargli un regalo che fosse importante sia
per quello che è, sia per quello che significa. E che fosse dotato di un forte
valore affettivo, al di là del valore materiale. Un regalo per sempre,
impossibile da rovinare, da perdere o da rubare.
Così, gli ho proposto di fare il giro del mondo, insieme.
Per me, un viaggio così è un’occasione per rivedere alcuni luoghi che ho
visitato tanto o tantissimo tempo fa e per capire le differenze: non solo i
luoghi cambiano, ma anche il mio modo di viaggiare e il mio sguardo.
Forse proprio perché è stato lontano così a lungo, e ormai non ha più alcun
bisogno di attestare la propria indipendenza da mammà, mio figlio ha accettato.
Del resto, abbiamo già fatto diversi viaggi e siamo una buona squadra.
Di solito io mi faccio carico dell’organizzazione preliminare e degli
itinerari, lui dell’orientamento sul territorio, della guida e, poiché parla
inglese e spagnolo meglio di me, delle negoziazioni: un’equa divisione dei
compiti, con il patto implicito che tutte le scelte devono essere collegiali e
che, in viaggio, “uno vale uno”. Ma sul serio.
Forse avete già sentito parlare dei biglietti aerei Rtw (Round the world):
hanno un costo complessivo assai inferiore al costo delle singole tratte, a
fronte di alcuni vincoli. Per esempio: di norma durano fino a un anno e
permettono di fare anche molte soste, a patto però di andare sempre nella
stessa direzione e di prenotare in anticipo tutte le tratte. Ci sono tre diverse grandi alleanze di compagnie
aree che offrono biglietti Rtw. Ci sono anche altre soluzioni (per trovarle
basta una rapida ricerca in rete) ma queste sono le più note.
Dunque, per organizzare un giro del mondo, e specie se si ha a disposizione
un tempo ragionevole ma comunque limitato, bisogna avere le idee chiare e
prendere una serie di decisioni, ciascuna delle quali ne esclude altre e
orienta le decisioni successive. È un “viaggio prima del viaggio”. Ve ne parlo
ora, sperando che vi sembrerà interessante e – chissà – utile.
La prima decisione riguarda, ovviamente, il periodo del viaggio: il nostro
comincia ai primi di agosto e termina a fine settembre. Questo ci obbliga a
escludere l’India e i paesi del sudest asiatico (siamo in piena stagione delle
piogge), le Filippine e il Giappone, le Hawaii, il golfo del Messico e i
Caraibi (è il periodo degli uragani).
Seconda decisione: visitare pochi paesi, privilegiando i posti più lontani
e cercando di non avere più di cinque-sei ore di differenza di fuso orario tra
un paese e l’altro. Proviamo a elencare: Russia (entrambi non ci siamo mai
stati), Cina (ci sono stata nel 2005), Hong Kong (ci sono stata nel 1976),
Australia (mai stati entrambi), Nuova Zelanda (ci sono stata negli anni
ottanta), Cile (mai stati entrambi). Ne viene fuori un viaggio essenzialmente
urbano nella prima parte, nella seconda parte molto a contatto con la natura.
Questo ci piace molto.
L’idea di base è questa: fermarsi in ciascun paese abbastanza a lungo da
poter cogliere qualche frammento dello spirito del luogo, ma non così a lungo
da perdere lo stupore. Questo permette, credo, di intercettare fenomeni che uno
sguardo più diretto e prolungato forse non individuerebbe. Proprio come succede
quando si guarda qualcosa con la coda dell’occhio, e si percepiscono più
distintamente movimenti e bagliori.
Terza decisione: la direzione. Decidiamo di volare verso est. Questo fatto
ci garantirà voli un po’ più brevi, ci costerà jet
lag più difficili da smaltire (ma cinque ore di fuso non sono
così tragiche) e soprattutto ci permetterà di acchiappare un ultimo scampolo
d’estate in Russia, di arrivare a Shanghai quando non fa più spaventosamente
caldo e di intercettare (ormai saremo a settembre) una primavera incipiente in
Australia, Nuova Zelanda e Cile.
Devo dire che questa specifica strategia si è rivelata vincente: in
cinquanta e rotti giorni di viaggio, abbiamo avuto soltanto una mezza giornata
di pioggia (Cina, Pingyao) e un paio di acquazzoni, tanto violenti quanto
brevi, a Hong Kong (un tifone di livello due: robetta, insomma).
Quarta decisione: usare mezzi alternativi all’aereo (treno, auto, nave…)
per tutti i tragitti inferiori agli 800 chilometri (un bell’articolo di Internazionale spiega
bene perché questo criterio riduce l’impatto ambientale). Senza contare che,
percorrendo un paese, se ne capisce molto di più che volandoci sopra. E poi:
spostarsi a piedi o in metropolitana nelle città.
Quinta decisione: viaggiare con un bagaglio contenuto, altrimenti prendere
treni e metro, o semplicemente caricare e scaricare l’auto a ogni tappa,
diventa un incubo. Dunque: un bagaglio a mano (borsa, zaino) e una valigia per
ciascuno, non troppo grande.
Ecco cosa ho messo in valigia, per un itinerario che, comunque, dura quasi
due mesi e prevede oltre 30 gradi di escursioni termiche.
·
Biancheria per una settimana;
·
quattro paia di pantaloni;
·
cinque maglie di cotone a manica lunga, tre senza maniche;
·
stivali bassi, sneakers, scarpe da trekking, sandali.
·
un impermeabile di nylon;
·
un gilet, una giacca a vento e un soprabito di piumino, leggeri ma
sovrapponibili uno all’altro:
·
un pullover e un cardigan con cappuccio;
·
due sciarpe di lana di diverso peso, una di cotone;
·
un costume da bagno;
·
due abiti estivi e una gonna;
·
cappello da sole;
·
ombrello:
·
adattatori (indispensabili in Australia e Nuova Zelanda).
E poi:
·
una busta con spazzolino, dentifricio, creme solari eccetera, un’altra con
farmaci d’emergenza (Tachipirina, antibiotici, antidolorifici, fermenti
lattici…). Quest’ultima, per fortuna, rimasta intatta, a parte i fermenti
lattici: indispensabili quando si affrontano oltre 150 tra colazioni, pranzi e
cene costituite per buona parte da cibi non abituali.
Infine:
·
guide turistiche, una per paese;
·
supporto per fissare il cellulare al cruscotto, buste di nylon di varie
misure per metterci abiti, maglie e biancheria. Si comprano facilmente in rete
(digitare: organizer viaggio). Dimezzano il tempo necessario per rifare ogni
volta la valigia e impediscono che diventi in breve un caos di panni stazzonati
e frullati insieme;
·
nella borsa a mano: computer, tablet, libri, caricabatterie.
Oltre a facilitare gli spostamenti, la scelta del bagaglio ridotto aggiunge
un ulteriore elemento di vita vera al viaggio: vuol dire, per esempio, dover
comprare detersivi in cirillico annusando le confezioni in un supermercato di
Mosca, e poi avventurarsi in uno spericolato bucato nella vasca da bagno
dell’albergo.
Oppure: vuol dire scovare una lavanderia a gettone nella più remota
periferia di Shanghai (in rete bisogna cercare self
service laundromat), giusto accanto a un tosatore di gatti. O
scoprire che, a Sidney, se porti gli abiti in lavanderia te li restituiscono in
albergo, piegati ma non stirati, a un prezzo più che accettabile (in rete
bisogna cercareWash & fold laundry – un
servizio che si potrebbe importare anche da noi). E che il tizio della
lavanderia è svizzero-ticinese, mi dà subito del tu e parla italiano con
l’accento di mia nonna.
Sesta decisione. Alternare sistemazioni economiche (specie in Australia e
Nuova Zelanda) a qualche albergo di fascino storico: dopotutto questo viaggio è
un regalo e, per esempio, aprire le tende la mattina e trovarsi davanti al naso
il Cremlino fa parte della cose-che-non-si-dimenticano. Lo stesso criterio vale
per il cibo: ci si può anche comprare il pranzo al supermarket, per poi cenare
in un buon posto.
Insomma: in poco meno di due mesi ho scattato più di milletrecento foto.
Abbiamo percorso circa 650 chilometri a piedi (una media di 13 chilometri al
giorno), qualche migliaio di chilometri in auto e qualche altro migliaio in
treno. Abbiamo visto i ragazzi di Hong Kong uscire a frotte dalla metropolitana
gridando “Fight for freedom”. E abbiamo visto un’interminabile fila di fedeli
in attesa di baciare l’icona miracolosa della madonna del Kasan a San
Pietroburgo. Abbiamo visto i canguri saltare liberi nel rosso del tramonto ai
bordi estremi della penisola Fleurieu. E la cima del vulcano Tongariro bianca
di neve e di nuvole.
Nel confronto tra i diversi paesi, questo viaggio mi ha fatto scoprire cose
che non conoscevo, intercettare alcune tendenze che sono ancora sotto traccia e
alcune curiose analogie, e capire che né le differenze né le somiglianze vere
sono quelle che per prime ci vengono in mente.
Sì, proverò a raccontarvene.
Nessun commento:
Posta un commento