venerdì 15 novembre 2019

La Regione ha cancellato il Centro di Programmazione (a sua insaputa) - Fulvio Dettori




Silenziosamente, ma anche inconsapevolmente, il Centro regionale di programmazione non esiste più. È probabile che, involontariamente, andando forse al di là delle intenzioni e del (troppo) entusiasmo dei volenterosi ma maldestri e disattenti riformatori, il consiglio regionale, accogliendo, con altrettanta disattenzione, le proposte della prima Giunta Pigliaru, abbia inserito fra le norme regionali da cancellare la legge 11 luglio 1962, n. 7 “Compiti della Regione in materia di sviluppo economico e sociale della Sardegna”, nella quale gli articoli 13, 14 e 15 avevano istituito e disciplinato il Centro regionale di programmazione il cui principale scopo era quello di curare “la predisposizione dei piani e dei programmi” relativi agli interventi previsti dal Piano di Rinascita.
Il Centro, quindi, è stato formalmente soppresso dalla legge 20 ottobre 2016, n. 24, nella quale l’allegato A contiene un elenco di leggi regionali (fra le quali la legge 7/1962), approvate fra il 1949 e il 1972, che la legge 24 abroga espressamente. La medesima legge ha anche stabilito che le disposizioni abrogate sopravvivano ma solo per quanto riguarda “la disciplina dei rapporti sorti nel periodo della loro vigenza e per l’esecuzione degli impegni di spesa assunti in base alle disposizioni medesime”. Il Centro continua quindi ad operare, ma per un periodo di tempo limitato e solo per ciò che riguarda le attività consolidatesi prima dell’entrata in vigore della legge 24/2016: da quel momento in poi il Centro deve considerarsi soppresso. Nulla è detto sulla sorte del personale e su chi dovrà ereditare e esercitare le tante e delicate attività attribuite al Centro.
Il Centro di programmazione nacque nel 1962, anno in cui in Italia prendeva l’avvio il primo governo di centro–sinistra, che comprendeva democristiani, socialdemocratici e repubblicani, mentre il Partito socialista italiano si asteneva sul voto di fiducia. Le norme regionali istitutive del Centro, ispirandosi allo spirito dell’Italia del miracolo economico e all’organizzazione della prima programmazione nazionale di Ruffolo – La Malfa, puntavano a creare una moderna struttura tecnocratica, costruita secondo un modello aziendalistico, slegata e separata dall’amministrazione regionale e con competenze e responsabilità diverse da quelle della tradizionale burocrazia regionale, alla quale restava affidata la gestione delle funzioni amministrative nelle materie di competenza della Regione, mentre il Centro di programmazione – nelle intenzioni – diveniva la struttura trainante degli interventi straordinari e assumeva la responsabilità dell’elaborazione dei piani e dei progetti per l’attuazione del primo Piano di Rinascita e, più complessivamente, del processo di sviluppo economico della Sardegna.
Il Centro era cioè immaginato come la struttura servente dell’assessorato della Rinascita (che diverrà in seguito assessorato della Programmazione) al quale le norme del Piano di Rinascita affidavano la regia degli interventi straordinari a favore della Sardegna: la predisposizione dello schema generale di sviluppo della Sardegna, l’elaborazione del piano organico di interventi, dei programmi pluriennali e dei programmi annuali. L’assessorato doveva inoltre proporre le iniziative per assicurare il coordinamento dei programmi dell’amministrazione regionale e degli enti regionali con lo schema generale di sviluppo e con il piano ed i programmi straordinari di intervento nonché curare “il coordinamento, in sede regionale, dei programmi deliberati dai competenti organi statali, da enti pubblici operanti in Sardegna o da enti locali, con lo schema generale di sviluppo e il piano e i programmi straordinari di intervento”.
Con una disposizione che presentava evidenti aspetti di illegittimità costituzionale (“Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso”), era previsto che il personale del Centro, “composto da personale qualificato nelle discipline economiche, sociali, statistiche, tecniche ed amministrative”, con una dotazione organica che in un primo momento non doveva superare le 25 unità, venisse assunto “a tempo determinato e per chiamata diretta” e che il rapporto di lavoro dovesse avere una durata pari a quella del Piano di rinascita con un trattamento economico stabilito, di volta in volta e del tutto discrezionalmente, dalla Giunta regionale.
Il Centro poteva anche utilizzare “personale comandato dallo Stato e da enti pubblici, nonché personale alle dipendenze della Regione”.
Le buone intenzioni della legge istituiva si esaurirono molto rapidamente e il Centro, da aspirante eccellenza della burocrazia tecnocratica, si trasformò in una struttura del sottogoverno regionale, dove i potenti di turno collocavano con facilità i loro collaboratori, ai quali, in cambio di una comoda e ben retribuita sistemazione, era richiesto il solo requisito della fedeltà al clan o la parentela giusta, senza alcuna valutazione delle competenze professionali e delle capacità personali.
L’utilità del Centro per raggiungere il consenso elettorale ne garantì la sopravvivenza anche dopo l’esaurirsi del primo e del secondo Piano di Rinascita e lo trasformò in una struttura alla quale nel corso degli anni fu affidata la gestione dei fondi relativi a finanziamenti genericamente “straordinari”, prima nazionali e poi anche europei.
Col passare del tempo nella Regione si costruì, più o meno consapevolmente, una forma di governo “duale” con una doppia cabina di comando, nella quale al partito di maggioranza relativa (di regola la Democrazia cristiana) spettava la presidenza della giunta regionale e il governo della Regione, mentre al secondo partito della coalizione (di regola il Partito socialista italiano) era attribuita la guida dell’assessorato della Programmazione cui faceva capo il Centro, il quale, a sua volta, era responsabile dei fondi, nazionali e europei gestiti con ampi margini di autonomia, relativi a quasi tutti gli interventi che non rientravano nella gestione ordinaria dell’amministrazione regionale.
Questo assetto, rimasto sostanzialmente immutato fino ad oggi, sembra destinato a cadere con la soppressione del Centro regionale di programmazione. Resta tuttavia da chiedersi come saranno gestite tutte le delicatissime funzioni attualmente affidate al Centro, prime fra tutte quelle relative alla cosiddetta “programmazione unitaria” e quale destino aspetta il personale del Centro.
L’ipotesi più probabile è che la giunta prenda atto dell’errore e predisponga rapidamente un disegno di legge per resuscitare il Centro di programmazione riconsegnandogli le funzioni esercitate da sempre.
Una seconda ipotesi, più ottimistica ma probabilmente meno realistica, è che, preso atto della involontaria soppressione del Centro, Giunta e Consiglio si impegnino a cancellare quella che è certamente un’anomalia sia organizzativa che funzionale, creando al suo posto una struttura di livello apicale interna all’amministrazione regionale, da collocare preferibilmente presso la presidenza della Regione (che deve riappropriarsi del ruolo di governo ultimamente depotenziato a favore dell’assessorato della programmazione), definendone il nuovo ruolo, le nuove competenze e il rapporto con le restanti strutture dell’amministrazione, anche sulla base degli obiettivi e dei fabbisogni della programmazione unitaria.
In questo nuovo assetto il personale dovrebbe essere assorbito e reinquadrato nell’amministrazione regionale, mantenendo il ruolo e le funzioni esercitate finora ma ponendo nel contempo fine agli anacronistici, ingiustificati e illegittimi privilegi di cui ha goduto finora.

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