Da tempo la Corte Europea dei diritti umani ha posto sotto processo lo
Stato italiano per “non aver protetto la vita e la salute dei cittadini
di Taranto dagli effetti negativi delle emissioni dell’ILVA”.
E se la condizione della Sardegna fosse peggiore di quella di Taranto?
Oramai sono tante, troppe, le vicende di ordinario inquinamento
registrate nell’Isola. Prima il caso della E.On a Porto Torres, poi
dell’Euroallumina a Portovesme e ancora la SARAS a Sarroch,
l’amianto a Ottana, i poligoni del Salto di Quirra e Teulada,
e l’ultimo in ordine di tempo la Fluorsid di Macchiareddu.
Quest’ultima vicenda è di una gravità assoluta. Sarebbe stata inquinata non
solo la zona industriale ma anche la zona umida internazionale di Santa
Gilla: contaminazione dell’aria e del suolo per effetto della dispersione
delle polveri nocive; delle falde acquifere ad opera dei metalli pesanti e
composti inorganici; degli allevamenti dell’area di Macchiareddu a causa delle
polveri di fluoro.
A tutto questo si deve aggiungere l’interramento e lo sversamento di
fanghi acidi nella laguna, a due passi dalla città di Cagliari. Il
quinto rapporto SENTIERI – lo studio epidemiologico nazionale dei territori e
degli insediamenti esposti a rischio di inquinamento – ha interessato,
nell’Isola, i due SIN delle aree di Porto Torres e del
Sulcis-Iglesiente-Guspinese, ed ha evidenziato un eccesso di mortalità dovuto a
patologie oncologiche (mesotelioma maligno, tumori maligni del polmone, del
colon dello stomaco) prevalentemente nelle aree con presenza di impianti
chimici, petrolchimici e raffinerie, e in quelle dove vengono abbandonati
rifiuti pericolosi.
Un terzo della popolazione sarda è esposto all’impatto di
materiali inquinanti: sostanze tossiche, cancerogene, epigenotossiche, come le
diossine e i metalli pesanti. Cosa altro deve succedere perché qualcuno si
accorga della bomba ecologica su cui sta seduta la Sardegna? Il Presidente
della Regione, quello del Consiglio regionale, gli assessori dell’Ambiente e
della Salute, l’ARPAS, i sindacati, hanno sufficiente consapevolezza della
pericolosità del disastro ambientale che incombe sull’Isola, della gravità
delle conseguenze sulla salute dei cittadini?
Sino ad ora le istituzioni autonomistiche hanno preferito mettere la testa
sotto la sabbia, si sono comportate come quelle attive massaie che invece di
fare pulizia preferiscono nascondere la sporcizia sotto il tappeto. L’unica
indagine epidemiologica che è stata portata avanti in questi anni in Sardegna –
lo studio SENTIERI – ha interessato solo una parte del territorio regionale e
sopratutto non ha potuto utilizzare i dati del Registro dei Tumori della
Sardegna meridionale, non ancora pienamente allineato ai due Registri di
Sassari e Nuoro, da anni proficuamente operativi.
Cosa si aspetta ad avviare un’indagine epidemiologica ed ambientale,
autonoma e di alto profilo scientifico, che prenda in esame l’intero territorio
regionale: da Sarroch a La Maddalena, passando per Teulada, il Sulcis e
l’Iglesiente, il Salto di Quirra e Tossilo, Ottana e Porto Torres. A dare
impulso e piena operatività al Registro Regionale dei Tumori, ampliando le sue
competenze ai tumori infantili e alle malformazioni neonatali. A portare avanti
con sollecitudine un programma diffuso di bonifiche ambientali capaci di
restituire integrità, salubrità e vivibilità al suolo, all’acqua e all’aria
dell’Isola.
Se il nuovo governo regionale vuole farsi carico di queste problematiche,
batta un colpo. Oppure i sardi dovranno ancora una volta affidarsi alle
iniziative della magistratura che, in tutti questi anni, ha svolto un ruolo di
supplenza rispetto all’inerzia, ai ritardi, alle connivenze della cattiva
politica e delle cattive istituzioni.
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