lunedì 11 novembre 2019

Inquinamento, forse la Sardegna è messa anche peggio di Taranto. Ma la politica tace - Massimo Dadea




Da tempo la Corte Europea dei diritti umani ha posto sotto processo lo Stato italiano per “non aver protetto la vita e la salute dei cittadini di Taranto dagli effetti negativi delle emissioni dell’ILVA”. E se la condizione della Sardegna fosse peggiore di quella di Taranto?
Oramai sono tante, troppe, le vicende di ordinario inquinamento registrate nell’Isola. Prima il caso della E.On a Porto Torres, poi dell’Euroallumina a Portovesme e ancora la SARAS a Sarroch, l’amianto a Ottana, i poligoni del Salto di Quirra e Teulada, e l’ultimo in ordine di tempo la Fluorsid di Macchiareddu.
Quest’ultima vicenda è di una gravità assoluta. Sarebbe stata inquinata non solo la zona industriale ma anche la zona umida internazionale di Santa Gilla: contaminazione dell’aria e del suolo per effetto della dispersione delle polveri nocive; delle falde acquifere ad opera dei metalli pesanti e composti inorganici; degli allevamenti dell’area di Macchiareddu a causa delle polveri di fluoro.
A tutto questo si deve aggiungere l’interramento e lo sversamento di fanghi acidi nella laguna, a due passi dalla città di Cagliari. Il quinto rapporto SENTIERI – lo studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio di inquinamento – ha interessato, nell’Isola, i due SIN delle aree di Porto Torres e del Sulcis-Iglesiente-Guspinese, ed ha evidenziato un eccesso di mortalità dovuto a patologie oncologiche (mesotelioma maligno, tumori maligni del polmone, del colon dello stomaco) prevalentemente nelle aree con presenza di impianti chimici, petrolchimici e raffinerie, e in quelle dove vengono abbandonati rifiuti pericolosi.
Un terzo della popolazione sarda è esposto all’impatto di materiali inquinanti: sostanze tossiche, cancerogene, epigenotossiche, come le diossine e i metalli pesanti. Cosa altro deve succedere perché qualcuno si accorga della bomba ecologica su cui sta seduta la Sardegna? Il Presidente della Regione, quello del Consiglio regionale, gli assessori dell’Ambiente e della Salute, l’ARPAS, i sindacati, hanno sufficiente consapevolezza della pericolosità del disastro ambientale che incombe sull’Isola, della gravità delle conseguenze sulla salute dei cittadini?
Sino ad ora le istituzioni autonomistiche hanno preferito mettere la testa sotto la sabbia, si sono comportate come quelle attive massaie che invece di fare pulizia preferiscono nascondere la sporcizia sotto il tappeto. L’unica indagine epidemiologica che è stata portata avanti in questi anni in Sardegna – lo studio SENTIERI – ha interessato solo una parte del territorio regionale e sopratutto non ha potuto utilizzare i dati del Registro dei Tumori della Sardegna meridionale, non ancora pienamente allineato ai due Registri di Sassari e Nuoro, da anni proficuamente operativi.
Cosa si aspetta ad avviare un’indagine epidemiologica ed ambientale, autonoma e di alto profilo scientifico, che prenda in esame l’intero territorio regionale: da Sarroch a La Maddalena, passando per Teulada, il Sulcis e l’Iglesiente, il Salto di Quirra e Tossilo, Ottana e Porto Torres. A dare impulso e piena operatività al Registro Regionale dei Tumori, ampliando le sue competenze ai tumori infantili e alle malformazioni neonatali. A portare avanti con sollecitudine un programma diffuso di bonifiche ambientali capaci di restituire integrità, salubrità e vivibilità al suolo, all’acqua e all’aria dell’Isola.
Se il nuovo governo regionale vuole farsi carico di queste problematiche, batta un colpo. Oppure i sardi dovranno ancora una volta affidarsi alle iniziative della magistratura che, in tutti questi anni, ha svolto un ruolo di supplenza rispetto all’inerzia, ai ritardi, alle connivenze della cattiva politica e delle cattive istituzioni.

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