C’era una volta l’epoca delle contraddizioni.
La nostra era, già, il nostro tempo, esatto, i nostri giorni, proprio così.
Malgrado di davvero nostro ci sia poco di ciò che si dice o, peggio, per cui si litiga.
In altre parole, superficialmente generalizzando, potremmo anche affermare di vivere nell’età della migrazione globale dei popoli, basandosi se non altro sull’ormai immancabile argomento al centro del confronto politico.
Oppure, di quella del terrorismo, tema altrettanto abusato come pietra di paragone sulla presunta affidabilità dell’aspirante leader di governo.
Giacché una volta gli amministratori della cosa pubblica dovevano risolvere problemi, garantire progresso e soprattutto dare lavoro.
Oggi, basta che diano sicurezza, ovvero l’illusione di quest’ultima e mezza poltrona è già occupata.
Potremmo altresì dichiarare di vivere nel periodo in cui i cambiamenti climatici siano la priorità della discussione internazionale, a dimostrazione della fondatezza di un termine fin troppo sottovalutato come Antropocene.
Potremmo dir questo e l’altro, tuttavia, a mio modesto parere, la contraddizione è ciò che maggiormente definisce la società attuale.
Prendi, a mero titolo di esempio, il recente sondaggio effettuato dal gruppo britannico Hope not Hate – il quale si batte contro il razzismo e il fascismo – su un campione di più di mille persone tra Regno Unito, Canada, Germania, Brasile, Francia, Polonia, Stati Uniti e Italia.
I quesiti principali riguardavano i suddetti cambiamenti climatici e gli esiti sono particolarmente interessanti, soprattutto per quanto concerne il nostro paese.
Difatti, al primo posto tra gli interrogati, tra coloro che fortemente concordano sul fatto che il mondo deve affrontare un’emergenza climatica, che il riscaldamento globale diventerà presto estremamente pericoloso senza un forte taglio delle emissioni, e che il tempo per salvare il pianeta si sta esaurendo, siamo proprio noi italiani.
La nostra era, già, il nostro tempo, esatto, i nostri giorni, proprio così.
Malgrado di davvero nostro ci sia poco di ciò che si dice o, peggio, per cui si litiga.
In altre parole, superficialmente generalizzando, potremmo anche affermare di vivere nell’età della migrazione globale dei popoli, basandosi se non altro sull’ormai immancabile argomento al centro del confronto politico.
Oppure, di quella del terrorismo, tema altrettanto abusato come pietra di paragone sulla presunta affidabilità dell’aspirante leader di governo.
Giacché una volta gli amministratori della cosa pubblica dovevano risolvere problemi, garantire progresso e soprattutto dare lavoro.
Oggi, basta che diano sicurezza, ovvero l’illusione di quest’ultima e mezza poltrona è già occupata.
Potremmo altresì dichiarare di vivere nel periodo in cui i cambiamenti climatici siano la priorità della discussione internazionale, a dimostrazione della fondatezza di un termine fin troppo sottovalutato come Antropocene.
Potremmo dir questo e l’altro, tuttavia, a mio modesto parere, la contraddizione è ciò che maggiormente definisce la società attuale.
Prendi, a mero titolo di esempio, il recente sondaggio effettuato dal gruppo britannico Hope not Hate – il quale si batte contro il razzismo e il fascismo – su un campione di più di mille persone tra Regno Unito, Canada, Germania, Brasile, Francia, Polonia, Stati Uniti e Italia.
I quesiti principali riguardavano i suddetti cambiamenti climatici e gli esiti sono particolarmente interessanti, soprattutto per quanto concerne il nostro paese.
Difatti, al primo posto tra gli interrogati, tra coloro che fortemente concordano sul fatto che il mondo deve affrontare un’emergenza climatica, che il riscaldamento globale diventerà presto estremamente pericoloso senza un forte taglio delle emissioni, e che il tempo per salvare il pianeta si sta esaurendo, siamo proprio noi italiani.
E sapete chi c’è al secondo? Il Brasile di Bolsonaro…
Ergo, contraddizioni.
Ovvero, immigrazione, terrorismo e mutamenti climatici.
Come se fossero fenomeni disgiunti, affrontabili separatamente, attraverso un’ottusa frammentazione dell’intelletto e della personale sensibilità.
Come se fossimo noi stessi davvero degni di senso nel quadro generale, laddove gli interessi e le ragioni del singolo fossero ritenute prioritarie rispetto a quelle di tutti.
Ergo, contraddizioni.
Ovvero, immigrazione, terrorismo e mutamenti climatici.
Come se fossero fenomeni disgiunti, affrontabili separatamente, attraverso un’ottusa frammentazione dell’intelletto e della personale sensibilità.
Come se fossimo noi stessi davvero degni di senso nel quadro generale, laddove gli interessi e le ragioni del singolo fossero ritenute prioritarie rispetto a quelle di tutti.
E allora ecco cosa capita, sovente, nelle contese elettorali, come nelle zuffe da bar, o meglio, nelle più attuali bacheche sociali.
Scorrono copiosi ragionamenti e spesso insulti balzando dall’uno all’altro argomento al riparo di una quanto mai ottusa soluzione di continuità.
Un muro, già, usato ancora una volta per ottenebrare la comprensione delle cose, oltre che per ostacolare il cammino dei viaggiatori.
Perché magari, aprendo preziose feritoie tra un mattone e l’altro di quest’ultimo, si potrebbe riflettere sul fatto che secondo le Nazioni Unite entro il 2050 ci saranno tra venticinque milioni fino a un miliardo di persone costrette a lasciare il proprio paese a causa dei cambiamenti del clima.
Se poi la suddetta apertura, fisica o anche mentale, fosse di giovamento alla cervice, si potrebbe insistere in tale virtuosa abitudine e considerare quanto i gruppi terroristici traggano profitto dalla crisi e la povertà dovute a conflitti militari e civili, ma esacerbate e rese insostenibili dalla condizioni di siccità e carestia a causa degli sconvolgimenti climatici, ancora loro.
C’era una volta, quindi, l’epoca dei migranti e dei terroristi, nonché del clima folle e distruttivo.
In una parola, il tempo delle contraddizioni.
Ovvero, di un’umanità che ha nella capacità che mostrerà nel superarle unendo gli evidenti puntini che legano tra loro le questioni impellenti.
La sola chance di sopravvivere.
Tratto da Storie e Notizie N. 1661
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