Il settore militare non solo inquina, ma contamina, trasfigura e rade al
suolo
“E’ stato stimato che Il 20% di tutto il degrado ambientale nel mondo è
dovuto agli eserciti e alle relative attività militari”
“The Elephant in the Living Room” è
un’espressione tipica della lingua inglese che sta a indicare una verità ovvia
e appariscente ma che si vuole ignorata o minimizzata. Nella conferenza “Salva
la terra, abolisci la guerra” che si è tenuta a giugno nel centro di Londra,
l’organizzazione Movement for the Abolition of War (MAW), l’ha riformulata in
“The elephant in the kitchen when it comes to Climate Change is clearly the
world’s military” per dire che l’elefante nella stanza, quando si tratta di
cambiamenti climatici, è chiaramente l’esercito mondiale. Il mondo spende
qualcosa come 2 trilioni di dollari all’anno per i suoi militari. Almeno la
metà di quella gigantesca somma va alla produzione militare con una enorme
produzione di CO2.
La conferenza ha esaminato il tema del
militarismo e dell’ambiente, come le attività militari contribuiscono ai
cambiamenti climatici e in che modo questi cambiamenti causano conflitti. In
particolare il dr. Stuart Parkinson, direttore esecutivo dell’organizzazione
SGR (Scientists for Global Responsibility) affiliata alla rete International
Network of Engineers and Scientists for Global Responsibility , ha illustrato i
dati più recenti riguardanti le emissioni di carbonio prodotte dalle attività
militari (spesso omessi nei documenti nazionali) esaminati e raccolti in “The
carbon boot-print of the military”, che sta per impronta climatica degli
scarponi militari, ovvero l’impatto sul clima causato dagli energivori sistemi
d’arma, basi e apparti, aerei, navi, carri armati, eserciti e interventi
bellici. Nelle “slides” sono elencati i principali risultati sulle emissioni
militari di carbonio, i confronti tra le risorse utilizzate per le attività
militari e quelle utilizzate per affrontare i cambiamenti climatici, e infine,
i legami tra cambiamento climatico e conflitti
Alcuni esempi: Stime dell’impronta
militare: Gran Bretagna 13 million tonnes CO2e (3% national) – USA: 339 million
tonnes CO2e (6% national) Emissioni veicoli militari: HUMVEE military
transporter: – 6 mpg (consumo di carburante in miglia/gallone )• F-35
cacciabombardiere: – 0.6 mpg; – 28 tonnes CO2e per missione• B-2 bombardiere
strategico: – 0.3 mpg; – 251 tonnes CO2e per missione Dipartimento della Difesa
USA: emissions for 2017: 59 million tonnes CO2e (Installations: 40%/
Operations: 60%) Industria militare: US arms industry emissions for 2017: 280
million tonnes CO2e Totale emissioni della guerra al terrore dal 2001-2017:
3,000 million tonnes CO2e
Fra i progetti portati avanti dagli
scienziati di SGR si possono apprezzare ricerche sulla minaccia delle armi
nucleari, sulla possibilità che il cambiamento climatico possa portare a una
guerra nucleare e numerose lettere che riguardano nello specifico il nucleare
militare britannico.
Il cambiamento climatico può portare alla Guerra nucleare? Could climate change lead to a nuclear war?
Il cambiamento climatico può portare alla Guerra nucleare? Could climate change lead to a nuclear war?
https://www.sgr.org.uk/sites/default/files/SGR_Climate+nuclearwar_London_Oct17.pdf Il
ruolo della scienza: Scienza irresponsabile? In che modo le società produttrici
di combustibili fossili e di armi finanziano organizzazioni professionali di
ingegneria e scienza . I collegamenti rivelati includono il finanziamento di
programmi di istruzione scolastica, la sponsorizzazione di conferenze,
investimenti e donazioni importanti. Le organizzazioni professionali che hanno
ricevuto i finanziamenti più significativi sono state la Royal Academy of
Engineering, Engineering UK e l’Energy Institute
“Abbiamo bisogno di un New Deal verde
per le armi nucleari”. Matt Korda, ricercatore associato del Nuclear
Information Project presso la Federation of American Scientists, sfida con una
proposta i rappresentanti democratici in corsa per la Casa Bianca che dimostrano
di avere poca attenzione nei confronti delle armi nucleari. Un punto del New
Deal verde è: “Impegnarsi con obiettivi ambiziosi in materia di cambiamenti
climatici (emissioni di carbonio nette pari a zero entro il 2050) è un elemento
fondamentale del New Deal verde, ma deve includere anche una soluzione per le
armi nucleari. I progressisti devono prendere provvedimenti per ridurre
fisicamente le cause e i fattori scatenanti la crisi di entrambe le minacce:
per il cambiamento climatico si tratta delle emissioni di carbonio, per le armi
nucleari si tratta delle armi stesse. Nel prossimo decennio gli Stati Uniti
spenderanno quasi 100.000 dollari al minuto per le proprie forze nucleari: si
tratta di una enorme quantità di denaro che altrimenti potrebbe essere speso
per priorità come infrastrutture, assistenza sanitaria, istruzione e lotta ai
cambiamenti climatici”.
Un nuovo studio pubblicato su Science
Advances dal titolo “Gli arsenali nucleari in rapida espansione in Pakistan e
India presagiscono una catastrofe regionale e globale”, spiega che un conflitto
nucleare tra questi due paesi avrebbe un impatto ancora più devastante su
atmosfera, clima, salute e sicurezza alimentare di quanto si pensasse in
precedenza
https://www.senzatomica.it/notizie/un-nuovo-studio-evidenzia-il-devastante-impatto-globale-in-caso-di-conflitto-nucleare-regionale-tra-india-e-pakistan/
Fra i preziosi contributi di esperti,
enti e associazioni che studiano come il settore militare non solo inquina, ma
contamina, trasfigura e rade al suolo, si inserisce il progetto portato avanti
da un team di 35 studiosi, esperti legali, professionisti dei diritti umani e
medici del Watson Institute for International and Public Affairs della Brown
University
https://watson.brown.edu/costsofwar/about
Secondo il loro studio “Pentagon Fuel Use, Climate Change,and the Costs of War”, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti è il più grande consumatore istituzionale di combustibili fossili. Più di 400 milioni di tonnellate di gas serra sono direttamente dovuti alla guerra e al consumo di carburante correlato. La maggior parte del consumo di carburante del Pentagono è per i caccia militari.
Secondo il loro studio “Pentagon Fuel Use, Climate Change,and the Costs of War”, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti è il più grande consumatore istituzionale di combustibili fossili. Più di 400 milioni di tonnellate di gas serra sono direttamente dovuti alla guerra e al consumo di carburante correlato. La maggior parte del consumo di carburante del Pentagono è per i caccia militari.
Tabella 1 “Esempi di consumo di carburante ed emissioni di CO2 di aerei militari statunitensi” .
Da sinistra a destra sono riportati i seguenti parametri: nome del velivolo, tipo di missione, capacità del serbatoio in libbre e galloni (1 libra equivale a 0.45 kg ; 1 gallone equivale a 3.79 litri), autonomia in miglia nautiche (1 miglio nautico equivale a 1,852 Km), consumo carburante galloni per miglia nautiche ed emissioni in tonnellate di CO2 senza rifornimento in volo (1 pieno).
Gli autori ci tengono a precisare che il
Pentagono non segnala pubblicamente e regolarmente il proprio consumo di carburante
o di emissioni di gas a effetto serra, e non esiste una fonte DOD disponibile
al pubblico per tutte le emissioni di gas a effetto serra militari. Tuttavia
possibile stimare il gas serra globale delle forze armate statunitensi
utilizzando i dati delle emissioni resi al pubblico dal Dipartimento
dell’Energia degli anni FY2008 e FY 2010-2017 e quelli del consumo carburante
per il periodo dal 1975 al 2017 (si stima che in gran parte sono attribuibili
alla guerra)
https://watson.brown.edu/costsofwar/files/cow/imce/papers/2019/Pentagon%20Fuel%20Use,%20Climate%20Change%20and%20the%20Costs%20of%20War%20Final.pdf
I miliardi spesi per la difesa, secondo
il Sipri di Stoccolma le spese militari nel mondo sono arrivate a 1.822
miliardi di dollari nel 2018, sono miliardi traducibili in tonnellate di gas
serra. Eppure nell’accordo di Parigi del 2015 non si è reso obbligatorio, per i
paesi firmatari, tracciare e ridurre le emissioni di carbonio militari. Il
Dipartimento della Difesa USA non ignora gli effetti del cambiamento climatici,
ma il cinico opportunismo dei militari si misura su due piani. Il primo
sostiene la necessità di un “esercito sostenibile” , se l’esercito americano è
il più grande consumatore di energia e petrolio al mondo è anche quello che sta
investendo maggiormente in mezzi ed energie alternative. Nicholas Newman
racconta la grande transizione in corso dentro e fuori le basi Usa, sul suolo
americano e in giro per il mondo per motivi strategici, ambientali e anche di
sicurezza
https://www.eniday.com/it/sparks_it/riduzione-costi-energetici-esercito-usa/ Il
secondo piano si palesa in “Una storia di due politiche: i cambiamenti
climatici, Trump e le forze armate statunitensi” dove si sostiene che i
militari USA si preparano ai cambiamenti climatici non certo per proteggere
l’ambiente della terra, ma bensì per mantenere l’efficienza operativa, la
capacità di combattere:
Infatti il rapporto del Dipartimento
della Difesa degli Stati Uniti (DoD) “Report on the Effects of a Changing
Climate to the Department of Defense” fornisce una valutazione sulle
vulnerabilità significative derivanti da eventi legati al clima al fine di
identificare i rischi che potrebbero compromettere l’efficacia della missione
degli Stati Uniti delle installazioni e operazioni. La strategia di difesa
nazionale del 2018 dà la priorità alla competizione strategica a lungo termine
con concorrenti di grande potenza concentrando gli sforzi e le risorse del
Dipartimento per: 1) costruire una forza più letale, 2) rafforzare le alleanze
e attrarre nuovi partner e 3) riformare i processi del Dipartimento. Per
raggiungere questi obiettivi il DoD deve essere in grado di adattare le
operazioni attuali e future per far fronte agli impatti di una varietà di
minacce e condizioni, comprese quelle derivanti da eventi meteorologici e
naturali. A tal fine, il DoD tiene conto degli effetti dell’ambiente nella sua
pianificazione ed esecuzione delle missioni per costruire la resilienza.
“E’ stato stimato che Il 20% di tutto il
degrado ambientale nel mondo è dovuto agli eserciti e alle relative attività
militari” perché “tutto è interconnesso: conflitti armati – violazioni dei
diritti umani – inquinamento ambientale – cambiamenti climatici – ingiustizia
sociale. I cambiamenti climatici e l’inquinamento ambientale fanno
inevitabilmente parte della guerra moderna. Il ruolo dei militari nel
cambiamento climatico è enorme. Il petrolio è indispensabile per la guerra. Il
militarismo è l’attività più esaustiva del petrolio sul pianeta. Qualsiasi
discorso sul cambiamento climatico che non includa l’esercito non è altro che
l’aria calda”.
L’ articolo di Ria Verjauw, attivista
pacifista e ambientalista del movimento World BEYOND War, continua denunciando
che il danno ambientale causato dalla guerra non è limitato ai cambiamenti
climatici. Gli effetti del bombardamento nucleare e dei test nucleari, l’uso
dell’Agent Orange, dell’uranio impoverito e di altre sostanze chimiche
tossiche, così come le mine antiuomo, si protraggono nelle zone di conflitto
molto dopo la guerra.
Sul sito di PeaceLink si trovano vari
articoli e documenti che riportano gli effetti dei bombardamenti atomici di
Hiroshima e Nagasaki, attualmente è in atto una campagna affinché l’Italia
aderisca al Trattato delle Nazioni Unite relativo al divieto delle armi
nucleari, i rischi nucleari presenti nelle basi e porti oppure dovuti a test,
uso di armi, ecc.
https://www.peacelink.it/disarmo/i/1.html ma
anche traduzioni di studi importanti come “Le basi militari statunitensi sono
le maggiori responsabili dell’inquinamento mondiale. La Stazione Navale di
Virginia Beach ha riversato circa 350 metri cubi di carburante per jet in un
vicino corso d’acqua, a meno di un chilometro e mezzo dall’Oceano Atlantico:
questo è solo un esempio”
Non si può non riconoscere che le guerre
non portano solo catastrofi umane ed economiche ma anche ecologiche perché
distruggono interi ecosistemi. Nel Vietnam furono utilizzati defolianti come
l’agente arancio contro interi campi coltivati con l’intento di affamare i
vietgong e contro interi settori di giungla per sgomberarli dalla vegetazione
soprattutto ai lati delle vie principali di collegamento. Alla fine del
conflitto furono cancellati circa 325000 ettari di superficie bruciando
ecosistemi che ospitavano una grande biodiversità. Nel 1991, durante la prima
guerra nel Golfo, oltre 700 milioni di litri di petrolio si riversarono nel
Golfo Persico danneggiando circa 300 km di costa del Kuwait e Arabia Saudita
con conseguenze dirette e indirette come la morte di 15000 e 30000 uccelli del
luogo più quelli migratori. Uno studio importante è quello redatto durante le
guerre nella ex-Jugoslavia. Tutti abbiamo potuto vedere le immagini delle
raffinerie di petrolio Panc˘evo e Novi Sad in fiamme, le sostanze chimiche tossiche
colate nel Danubio e i crateri provocati dalle bombe in aree protette e le
decine di migliaia di rifugiati che fuggivano dalle loro case.“The Kosovo
Conflict: Consequences for the Environment and Human Settlements” https://www.unenvironment.org/resources/assessment/kosovo-conflict-consequences-environment-and-human-settlements
Dal 2003 al 2007 la guerra in Iraq ha
provocato l’emissione di oltre 140 milioni di tonnellate di gas serra (CO2
equivalente) , più delle emissioni annuali di 139 paesi. In “Reclutamento
terroristico, conflitti idrici e cambiamenti climatici in Iraq” Hassan
Al-Janabi, ministro iracheno delle risorse idriche e delle risorse, afferma che
“Questa combinazione di controllo umano e modi insostenibili con gravi
conseguenze dei cambiamenti climatici rende la vita molto difficile. A ciò si
aggiungono gli attacchi terroristici, la serie di guerre che abbiamo subito nel
nostro Paese, puoi immaginare quanto sia tragica la situazione. Ecco perché
abbiamo bisogno di un’attenzione davvero globale a questo problema per la
stabilità nella regione”
Altro esempio di disastro ambientale è
quello provocato dall’esercito israeliano in Libano con i raids aerei durante
la guerra del 2006 (distruzione dei serbatoi di stoccaggio del petrolio che ha
interessato l’intera costa libanese)
e nella Striscia di Gaza come ampiamente
descritto in “La ‘crisi ambientale’ di Israele è colpa sua”
Il documento “Costi nascosti del
carbonio della ‘guerra ovunque’: logistica, ecologia geopolitica e impronta
climatica dell’esercito americano” pubblicato a cura di Belcher, O. e Bigger,
P. e Neimark, B. e Kennelly, C. (2019) dell’Institute of British Geographers,
esamina l’impatto dell’esercito americano sul clima attraverso una analisi
geopolitica dell’ambiente partendo dalle catene logistiche globali. L’analisi,
che si interroga sui flussi materiali-ecologici (carburanti a base di
idrocarburi, acqua, sabbia, cemento) che modellano le relazioni di potere
geopolitico e geoeconomico, ricostruisce la catena logistica che rende
possibile l’acquisizione e il consumo di carburanti. Descrive i paradigmi del
combattimento bellico, i sistemi di arma, i requisiti burocratici e rifiuti che
vengono messi in circolo dalle catene di approvvigionamento militare. Il
documento, basato su documenti esaurienti riguardanti gli acquisti di
carburanti raccolti da DLA-E
attraverso le richieste del Freedom of
Information Act, rappresenta un quadro parziale ma solido dell’ecologia
geopolitica dell’imperialismo americano.
E’ importante il messaggio finale che
gli autori hanno voluto trasmettere dichiarando che il denaro speso per il
rifornimento e il consumo del carburante (rimanendo al solo presidio
territoriale gli USA hanno 686 basi in 74 paesi) potrebbe essere speso come
dividendo di pace. Finanziare cioè un New Deal verde perché ognuna delle
possibili priorità è sempre meglio che alimentare una delle più grandi forze
militari della storia. “L’esercito americano è abbastanza grande?” Michael C.
Horowitz, professore dell’Università della Pennsylvania che studia la leadership
militare, ha affermato Trump finanzia e finanzierà sempre tutto ciò che esprime
e simboleggia l’idea di forza.
(*) ripreso da peacelink.it
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