domenica 3 novembre 2019

Plastic free è uno slogan che funziona ma attenti agli effetti collaterali



 Ne parliamo con Silvia Ricci responsabile campagne dell’Associazione Comuni Virtuosi

A distanza di dieci anni dal lancio della tua prima campagna nazionale “Porta la sporta” , che per prima ha fatto informazione sull’inquinamento da plastica dei mari collegandolo con gli stili di vita e di consumo usa e getta, che cosa è cambiato da allora?

La risposta non può essere univoca. E’ cambiato  tantissimo a livello di percezione della gravità del problema con un’escalation incredibile negli ultimi due anni.  Nonostante questa maggiore sensibilità i progressi conseguiti nella riduzione o nell’attenuazione del problema non sono, purtroppo, ancora rilevabili.
La cosiddetta “storia di successo dell’Italia” nelle politiche di riduzione che continuiamo a leggere sui media è poco più di una vittoria di Pirro. Se il consumo di sacchetti di plastica si è più che dimezzato , nei supermercati -dove si è verificata la maggiore riduzione- abbiamo ancora un 35% circa di consumo di sacchetti monouso biodegradabili .

Questi sacchetti, seppur biodegradabili negli impianti di compostaggio (1)   sono pur sempre costituiti da un 60/70% di plastica fossile, oltre alla componente di matrice vegetale.
La battaglia contro l’usa e getta è tutt’altro che vinta nei negozi del piccolo commercio, così come nei mercati all’aperto, dove le sporte riutilizzabili, quando va bene servono a contenere più shopper e non sono certamente prevalenti rispetto agli shopper monouso.   Fortunatamente, con il provvedimento dello gennaio 2018 che ha inserito l’obbligo di battere sullo scontrino il costo per i sacchetti in bioplastica,  ci sono catene di abbigliamento che hanno iniziato a fare pagare i sacchetti di plastica di un certo spessore e con manici a fagiolo che sono ancora permessi (ma non quelli di carta ahimè). Ci sono invece altri settori, come quello delle farmacie che hanno introdotto si i sacchettini ultraleggeri compostabili dal gennaio 2018 facendoli pagare per qualche mese  ma poi, visto la mancanza di controlli hanno smesso, con tanti saluti all’effetto disincentivante che ne poteva scaturire. Ci sono paesi come l’Olanda che hanno recepito diversamente l’indicazione europea di ridurre i sacchetti monouso imponendo agli esercizi una cessione onerosa dei sacchetti sia in plastica che bioplastica con costo consigliato di 25 cent.    

Se guardiamo  al consumo complessivo di imballaggi degli ultimi anni va detto che hanno continuato ad aumentare di almeno 2-3 punti percentuali anno dopo anno. Non sono previsti cambiamenti nel trend perché sono i nostri stili di vita e di consumo che continuano ad andare da tutta altra parte rispetto ad una riduzione dello spreco.
Per fare un paio di esempi di consumi ad alto tenore di imballaggio che sono in crescita c’è tutto il consumo di bevande e cibo “on the go”, e di piatti pronti ordinati come asporto oppure online.
Aumenta anche l’offerta e il consumo nei supermercati di cibo di qualunque tipo pronto al consumo, spesso in monoporzioni, e aumenta anche nel settore ortofrutta il ricorso al confezionamento, sia in plastica che in cartoncino. Non si fa fatica a credere ai risultati di uno studio di un paio di anni fa di Bocconi (1) che aveva evidenziato uno scenario al 2030 in cui l’aumento degli imballaggi, arrivava ad essere più del doppio  delle quantità che sarebbe stato possibile ridurre mettendo in campo tutte le possibili azioni di prevenzione e riduzione.
Figurarsi  cosa possiamo aspettarci se non mettiamo in campo alcuna misura di prevenzione e con la prospettiva di avere, con l’aumento delle raccolte differenziate al sud, maggiori quantità di imballaggi senza valore commerciale  post consumo  tra plastiche e imballaggi in poliaccoppiato che vengono raccolte per poi finire prevalentemente smaltite in qualche modo.  
Non dimentichiamo che oltre alla questione ambientale e sanitaria qui entra anche in gioco la  sostenibilità economica del sistema di gestione degli imballaggi attuali che pesa sui bilanci dei comuni.
Infatti i costi di gestione dei rifiuti da imballaggio li pagano, per una percentuale intorno  all’80% i comuni attraverso le bollette dei rifiuti dei cittadini mentre solamente una percentuale intorno al 20% è a carico dei produttori/utilizzatori di imballaggi, come ha quantificato l’ultima Indagine sui rifiuti dell’Antitrust. Questo significa meno risorse per i comuni da impiegare in altri progetti di interesse pubblico.    

Cosa bisognerebbe fare per non perdere questa battaglia contro rifiuti evitabili come quelli da usa e getta ?
Come non mi stanco mai di ripetere, e soprattutto in un momento in cui si identifica in un materiale come la plastica la causa di tutti i mali, bisogna agire soprattutto sulle cause, e non solamente sui sintomi come amiamo fare, se non vogliamo perderci in soluzioni palliative che ci allontanano dalle vere soluzioni.
La plastica monouso è stata la chiave di volta per tanti cambiamenti, nel bene come beni durevoli e nel male come utilizzi monouso non governati.
La plastica è stata nella sua applicazione di monouso la soluzione ideale come packaging per mettere in soffitta i sistemi di vuoto a rendere per le bevande, che nei decenni dagli anni settanta in poi, hanno subito un inesorabile declino in tutto il mondo.  Con la sua straordinaria leggerezza, versatilità e ottime prestazione per garantire la conservazione dei prodotti la plastica ha reso possibile lo sviluppo del sistema attuale di consumo alimentare globalizzato che commercializza e movimenta miliardi di containers da una parte all’altra degli emisferi. Siamo arrivati così a considerare normali situazioni che hanno effetti letali sull’ambiente e contribuiscono al surriscaldamento climatico. Mi riferisco a bere l’acqua delle Alpi in Giappone o a mangiare in Europa le mandorle e prugne della California, o le pere dell’Argentina, anche quando abbiamo produzione nostrane degli stessi prodotti. 
Abbiamo così creato in ogni nazione delle monoculture che sfruttano all’inverosimile i territori e i lavoratori al punto che anche le certificazioni di sostenibilità perdono di credibilità.
Come possono esistere coltivazioni sostenibili in un pianeta che già nei primi 5 / 6 mesi dell’anno ha già esaurito il budget annuale di risorse naturali e continua per i restanti mesi dell’anno ad estrarre, produrre rifiuti ed inquinamento bruciando le risorse delle future generazioni? Il Global Footprint Network insieme al WWF si occupa di misurare il grado di consumo di risorse che avviene nei diversi paesi che determina ogni anno la data in cui si finiscono le risorse naturali a disposizione denominata Overshoot day . In Italia l’Overshoot day è caduto il 15 maggio scorso.
Questo scenario preoccupante ci dovrebbe far comprendere che per agire sull’inquinamento da plastica bisogna agire contemporaneamente su più fronti e che è necessario un quadro legislativo sistemico per evitare provvedimenti disomogenei che determino spostamenti degli impatti ambientali su altri piani o producano effetti collaterali.  Non ci si può aspettare che l’industria vada contro ai propri interessi senza obblighi di legge o altre misure che incentivino una produzione e una commercializzazione dei beni più sostenibile.
Allo stesso modo non si può pretendere che cittadini spesso sprovvisti di nozioni  ambientali di base impieghino tempo ed energie per “andare contro il sistema” nell’approvvigionarsi, tanto per fare un esempio, di detersivi alla spina o trovare dei modi per evitare le mille forme di consumo monouso.   
La direttiva sulle plastiche monouso (Single Use Plastics – SUP) che dovrà essere recepita entro luglio 2021, e il recepimento in corso delle direttive del pacchetto sull’economia circolare relative ai rifiuti,  introducono delle novità interessanti che potrebbero cambiare gli scenari attuali di gestione dei rifiuti. Mi riferisco in particolare all’obbligo per gli stati membri di predisporre dei sistemi di riutilizzo e riparazione dei beni, all’aumento dei target di riciclo, al previsto rafforzamento dei sistemi di responsabilità estesa del produttore EPR che dovranno sostenere i reali costi di avvio a riciclo dei propri imballaggi, e agli obiettivi di raccolta delle bottiglie in plastica che dovranno arrivare al 90% rispetto all’immesso al 2029 con un’obiettivo intermedio del 77% al 2025.

Sempre più comuni adottano ordinanze plastic free: ci sono buoni modelli da proporre incisivi a livello ambientale?
Ho fatto recentemente un’analisi articolata sul tema che include anche la decisione di Federdistribuzione di sostituire a scaffale entro un anno le stoviglie in plastica monouso con opzioni in bioplastica ( ugualmente bandite dalla direttiva Sup) che invito a leggere alla sezione Approfondimenti del sito comunivirtuosi.org
Questa decisione è stata sollecitata, a mio parere, sia dal timore di perdere le vendite di questi manufatti a seguito del “sentiment anti-plastica” che dai provvedimenti plastic free che in alcuni comuni si sono spinti a vietare anche la vendita, oltre che l’utilizzo di queste stoviglie negli esercizi del settore della ristorazione.
Per rispondere al quesito sull’incisività ambientale, va ricordato che, se il “migliore rifiuto” è quello che non si produce, le “migliori ordinanze” sono quelle in cui si sostituisce la plastica con borracce, bicchieri e stoviglie riutilizzabili.
Come studi hanno dimostrato la sostituzione con bicchieri o stoviglie in Pla o altri materiali non sempre comporta un vantaggio ambientale a livello di emissioni di Co2 rispetto alle opzioni in plastica. Solamente uno studio LCA mirato ad uno specifico ciclo di utilizzo in uno specifico contesto geografico che faccia i conti con i sistemi di avvio a riciclo e la tecnologia dell’impiantistica lì presente può misurare in modo preciso l’impatto ambientale di un materiale rispetto  ad un altro. Ma studi con questi requisiti e specifiche non ne ho trovati. 
Un recente studio sull’impatto dei manufatti compostabili sul sistema di gestione dei rifiuti Norvegese ha evidenziato una mancanza di infrastrutture disponibili per trattare il materiale compostabile, una contaminazione tra i materiali compostabili che si mischiano a quelli di plastica fossile con una conseguente perdita di qualità del compost, difficoltà alla attrezzature meccaniche causate da residui di plastiche compostabili e la conseguente necessità di rimuovere tutti gli oggetti “dall’aspetto plastico” dal flusso dei rifiuti organici.
Anche se uno studio sul contesto italiano rivelerebbe molto probabilmente problematiche simili dovute ad un aumento della quantità di manufatti nella raccolta dell’umido che dovremmo affrontare, non voglio impegolarmi in discussioni troppo tecniche.  Giusto per chiarire la mia posizione io sono per una riduzione drastica della nostra dipendenza dal petrolio e per un uso attento e moderato delle materie plastiche per prodotti durevoli che deve sempre avvenire all’interno di circuiti chiusi, senza dispersioni nell’ambiente e sprechi di materia. Allo stesso tempo però non tifo per alcun materiale in virtù di un presunto “male minore” e soprattutto quando utilizzato per produrre monouso.
La stella polare che deve guidare le decisioni dei decisori politici e aziendali, a mio parere,  è la gerarchia europea di gestione dei rifiuti che mette al primo posto la prevenzione e il riuso tra le azioni prioritarie da intraprendere in quanto ambientalmente preferibili.   Pertanto la prima domanda da porsi non è certamente in quale materiale realizzo un prodotto usa e getta, perché significherebbe perdere una battaglia senza combatterla e accettare il rifiuto come una fatalità. Al contrario la prima domanda deve essere : posso fare a meno di un manufatto? Posso sostituirlo con un’opzione riutilizzabile cambiando il sistema di erogazione di una bevanda o del cibo oppure adattare le ricette per permettere una somministrazione zero pack come è quella del cono edibile del gelato?
Attualmente, siccome tutto sommato costa meno cambiare materiale monouso rispetto a doversi organizzare per gestire manufatti riutilizzabili, e non esistono obiettivi di riutilizzo obbligatori o resi economicamente convenienti per legge si tende ad utilizzare usa e getta per motivi di comodità più che di mancanza di alternative nella maggioranza dei casi.
Se penso a buoni modelli di ordinanze plastic free alla luce di quanto ho spiegato non riesco proprio a focalizzare solamente un materiale ma se si vuole ridurre il flusso di rifiuto  dell’usa e getta penso all’approccio adottato da Berkeley che ha emesso un’ordinanza che ha previsto un percorso a tappe della durata di due anni coinvolgendo gli esercizi commerciali in un percorso di transizione guidato. Quando entrerà in vigore i contenitori per cibo e bevande in plastica saranno banditi, quelli in materiale compostabile dovranno essere controllati se compatibili con l’impiantistica locale dall’amministrazione della cittadina e non potranno essere ceduti gratuitamente. Gli esercenti dovranno addebitare ai loro clienti un costo riferito al contenitore monouso che sarà lo stesso in tutta la città.
Da subito l’amministrazione si è messa al lavoro per promuovere i contenitori riutilizzabili sostenendo la nascita di aziende di servizi che possono fornire agli esercizi che vendono bevande e cibo da asporto un servizio di noleggio e di sanificazione dei contenitori quando gli esercizi non hanno spazi sufficienti per potere gestire le stoviglie riutilizzabili.  

Perché nella direttiva europea per la riduzione delle plastiche monouso che dovrà entrare in vigore nel 2021 sono esclusi dal divieto i bicchieri di plastica? Sono meno pericolosi se dispersi nell'ambiente?
Sinceramente è una decisione che mi ha sorpreso perché, così come la direttiva ha proibito le stoviglie e posate in plastica poiché considerate delle opzioni per cui esistono delle alternative più sostenibili sul mercato, non si può dire che queste considerazioni valgano meno per i bicchieri. Al contrario i sistemi di bicchieri riutilizzabili in plastica dura o silicone sono molto più diffusi delle stoviglie riutilizzabili in occasioni di grandi eventi musicali o fiere. Ad Amsterdam ci sono bar nei parchi o locali storici dove si tengono concerti che già da anni usano bicchieri riutilizzabili cauzionati. Non per nulla sempre ad Amsterdam è entrata in vigore un’ordinanza che vieta tutti i tipi di bicchieri usa e getta per eventi sul suolo pubblico e permette solamente le versioni riutilizzabili.
Ecco perché sono attive in Olanda diverse aziende che si occupano del servizio di noleggio e gestione di bicchieri chiavi in mano per tutte le occasioni.   

In Italia ci sono tante paure e resistenze ad adottare un vero sistema di vuoto a rendere
Questo è un argomento che meriterebbe un’intervista dedicata. I sistemi di deposito per i contenitori di bevande sono l’unica risposta esistente che ottiene percentuali di raccolta a fine vita pari ad oltre il 90% dell’immesso. Nonostante queste performance, ed il fatto che non pesano sulle bollette dei rifiuti dei comuni e dei cittadini, ( essendo sistemi che vengono finanziati e gestiti dai produttori e utilizzatori di bevande e dai supermercati ) questi sistemi vengono osteggiati dai soggetti prima citati con poche eccezioni e dagli schemi esistenti di responsabilità estesa del produttore principalmente perché :
1) per gli utilizzatori di imballaggi significa pagare il costo completo di quando i comuni spendono per organizzare la raccolta differenziata e non solamente meno di un terzo di quanto spendono. Per ogni tonnellata di materiale impiegato gli utilizzatori di imballaggio versano ai consorzi conai, a seconda del materiale, un contributo ambientale che i consorzi dovrebbero impiegare per finanziare le raccolte differenziate nei comuni. Tuttavia quando i produttori di bevande dovranno sostenere i costi completi pagati dai comuni, una volta recepita la direttiva prima citata, correranno a gambe levate a sostenere i sistemi di deposito perché costerà loro molto meno. Si è già visto all’estero. Esiste inoltre da parte dell’industria delle bevande il timore che una maggiorazione sul costo della bevanda dovuta dalla cauzione, possa determinare un calo delle vendite. 
2) per gli schemi di EPR rappresentati in Italia dai consorzi del Conai, e in particolare per plastica, vetro e lattine, un sistema di deposito significa rischiare di perdere la parte di maggior valore degli imballaggi di bevande.
Questo significa in soldoni una perdita finanziaria importante derivante dall’incasso del contributo ambientale (CAC) da parte dei produttori di bevande che metterebbe a rischio l’esistenza stessa del sistema dei consorzi , almeno nella loro forma attuale, molto vicina ad un sistema monopolistico.
Per quanto riguarda i sistemi di deposito esiste da parte della politica locale e nazionale
una certa diffidenza nei loro confronti che è  trasversale rispetto agli schieramenti politici.
Questo atteggiamento deriva in genere da una limitata conoscenza dei sistemi di deposito esistenti e dei risultati conseguiti a cui si aggiunge un certo timore nel dover cambiare il sistema attuale. Infatti, qualora si pensasse di adottare un vero sistema di deposito per le bevande si renderebbe necessaria una revisione dei sistemi di raccolta e di avvio a riciclo attuali, inclusi i contratti in essere dei comuni con i gestori locali dei rifiuti .
Tuttavia se vogliamo raggiungere gli obiettivi europei di raccolta e riciclo e in particolare per le bottiglie di plastica questi sistemi rappresentano l’unica risposta possibile per vincere la guerra dei rifiuti e della dispersione degli imballaggi nell’ambiente.
Sempre se si assoggettano tutti i tipi di contenitore evitando cosi effetti collaterali di cui abbiamo un chiaro esempio già ora nella crescita nel consumo di lattine che stanno rimpiazzando le bottiglie di plastica con un impatto di packaging doppio, almeno a livello di unità.
Per avere mezzo litro di acqua ci vogliono due lattine che quando finiscono nei cestini stradali o nell’ambiente vengono sprecati al pari dei contenitori in plastica.
Questo è solo uno degli effetti indesiderati dell’onda anti-plastica quando manca l’intervento da parte di chi dovrebbe governare i processi di transizione sia a livello aziendale che istituzionale, oppure si abdica trovando più semplice cavalcare facili slogan. Ma è la magia della comunicazione o dello story telling, che dir si voglia, bellezza! 

(1) Ai sensi della norma EN 13432 che fissa i criteri per cui un materiale sia riconosciuto come compostabile.

(2)  La transizione ad una circular economy e il futuro del riciclo degli imballaggi in Italia”. Indagine sul livello di adesione dell’economia circolare in Italia da parte della filiera italiana degli imballaggi commissionata da Conai e condotta dall’Osservatorio Green Economy di IEFE Bocconi e Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.


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