Il comandante di bordo del volo AF 306 del 26 settembre lo aveva annunciato
fin dall’inizio. A Niamey la temperatura all’arrivo sarebbe stata di 37
gradi e ci si doveva attendere il benvenuto con una buona scorta di
polvere. E così in effetti è stato. L’avevo dimenticato negli ultimi
giorni del soggiorno in patria dove il fresco cominciava a farsi sentire. A
Parigi, in attesa del volo per Niamey, il cielo era coperto e scendeva una
pioggia fine dal sapore di autunno. Malgrado ne avessi parlato molto mi era
passato di mente il sapore della polvere e il colore della sabbia lungo le
strade della capitale.
In due mesi di assenza poco o nulla cambia a parte le strade. La stagione
delle piogge appena conclusa infligge inevitabili penalità a veicoli, autisti e
passeggeri dei taxi ancora numerosi. Quanto ai pochi semafori che
sopravvivono alle rotonde, cambiano i loro colori a seconda del tipo di veicolo
che a loro si avvicina. Uniche eccezioni sono i cortei che portano la
salma ai cimiteri e il Presidente della Repubblica che in media ogni due giorni
lascia il Paese per esportare la sabbia ai migliori acquirenti dell’Europa e
dell’Asia.
Ricordavo bene i mendicanti piazzati presso gli incroci e le rotonde più
frequentate. Anche le buche da evitare non hanno mutato posizione. Avevo invece
dimenticato la tendenza dell’energia elettrica a scomparire d’un tratto. Così è
stato buona parte della mattinata del sabato e persino parte del pomeriggio.
Quanto al net, invece, ha sofferto una panne sulla linea telefonica che serve
la zona. Il centralinista assicurava che i tecnici erano al lavoro.
Me ne sono invece accorto preparando la borsa per la visita alla prigione
civile di Kollo, nei pressi di Niamey. Avevo dimenticato il documento ufficiale
del Ministero della Giustizia che mi permetteva di entrare in carcere senza
problema nell’altra borsa lasciata a casa. È stato sufficiente contattare il
direttore della prigione, gentile e disponibile, per entrare senza nessun
documento. Ciò che invece è cambiato, nella suddetta casa di pena, sono due
porte metalliche aggiunte, un metal detector (non utilizzato con noi) e uno
spazio numerato sul tavolo in legno dove posare i telefonini prima di
entrare. Non è cambiato, invece, lo sparuto gruppo di fedeli riuniti in
una saletta che funge da infermeria, cappella per il culto e un rubinetto che
per qualche mistero della rete idrica, assicura l’approvvigionamento d’acqua
anche durante la siccità.
Per l’occasione è stato inaugurato il ventilatore e un neon per illuminare
la saletta in questione a spese della comunità che ivi si raccoglie anche per
le lezioni di alfabetizzazione in lingua francese. Ricordavo la strada
per raggiungere il carcere ma mi erano sfuggiti gli schermi pubblicitari
luminosi piazzati in alcuni incroci più frequentati, dove i rallentamenti sono
fisiologici e imprevedibili ad un tempo. Avevo invece dimenticato che
ancora ci si saluta sfiorandosi nella complicità di uno sguardo. Ricordavo
bene, invece, dove avevo lasciato una copia della chiave di casa e con
disappunto ho notato che la chiave in questione era scomparsa da qualche
parte. Avevo invece dimenticato, prima di partire, di chiudere la porta
di casa.
Tardi mi sono ricordato che bastano cinque o sei ore di volo e una bimba di
4 anni per morire di malaria, in piena città, nel quartiere dove accompagno una
comunità dedicata a Santa Monica. Basta così poco per ammalarsi ed è
così difficile poi guarire, quando non ci sono né i soldi né le possibilità per
curarsi. Avevo dimenticato il suono aspro dell’unica ambulanza che
galleggia sulla sabbia delle strade della città e rischiavo di
dimenticare il nome della persona a cui avevo promesso un regalo al ritorno. Si
è fatta viva lei e ha chiesto quando poteva venire a ritirarlo. Ricordavo che
avevo promesso qualcosa che poi è stato carpito dalla dimenticanza. Forse si trattava
di decidere quanto tempo sarei ancora rimasto nel Niger. Ho dimenticato di dare
la risposta nell’immediato. Proverò a domandarlo alla sabbia.
Niamey, Settembre 019
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