Ieri la nave Eleonore della ONG tedesca Lifeline, in mare da 8 giorni con
104 persone a bordo, ha forzato il divieto di entrare in acque
territoriali italiane e sì è diretta al porto di Pozzallo. Fino a due giorni fa
la nave era all'altezza di Malta in attesa di indicazioni dal governo tedesco.
Poi, nella notte, la dichiarazione dello stato di emergenza a bordo e la rotta
verso l'Italia. Nonostante l'allarme lanciato dalla nave, però, il centro
italiano di ricerca e soccorso (Mrcc) aveva ribadito il divieto di ingresso. La
nave ha deciso di forzare il blocco.
Nel frattempo i 31 migranti ancora presenti a bordo di Mare Jonio, la nave
del progetto umanitario Mediterranea, sono stati fatti sbarcare a Lampedusa per
“motivi sanitari” dopo un’ispezione a bordo compiuta da un gruppo di medici
inviati dal ministero della Salute per verificare le condizioni dei migranti,
che domenica avevano annunciato uno sciopero della fame per protestare contro
il rifiuto di assegnare loro un “porto sicuro”.
La scorsa settimana la nave aveva soccorso un gruppo di migranti
stipati su un gommone in avaria a 70 miglia a nord di Misurata. A bordo tanti
bambini sotto i dieci anni (molti anche di pochi mesi). Dopo la richiesta di un
porto sicuro da parte della Capitaneria, il ministro dell'Interno uscente,
Matteo Salvini aveva firmato il divieto di ingresso, transito e sosta nelle
acque territoriali per la nave di Mediterranea. La ONG aveva respinto l'invito
a rivolgersi alla Libia: "Non è un porto sicuro, c'è la guerra
civile". Successivamente era stato autorizzato il trasbordo di 64 persone
(donne, bambini e malati) e sulla nave erano rimasti altri 31 naufraghi.
Con il divieto di ingresso nelle acque territoriali nei confronti delle
navi Eleonore e Mare Jonio, commenta il ricercatore di ISPI, Matteo
Villa, siamo arrivati alla ventunesima “crisi in mare” da giugno 2018. E
insieme a queste crisi e alla strategia dei “porti chiusi” ciclicamente fanno
capolino alcune argomentazioni (spesso e volentieri senza alcun fondamento) sui
flussi migratori, sul rischio invasione e sul presunto incentivo esercitato da
parte delle ONG.
Ieri durante la trasmissione di La7 “L’aria che tira”,
condotto da Myrta Merlino, abbiamo assistito a una sorta di
compendio di tutti gli slogan sull’immigrazione che senza alcuna prova a
sostegno vengono diffusi in una combo disinformativa micidiale che coinvolge
politici, informazione mainstream e social. Durante il programma, il deputato
della Lega, Dario Galli – dibattendo con Alessandra Sciurba di Mediterranea ONG
– ha sostenuto nell’ordine: di essere in possesso di un non meglio precisato
video che mostrerebbe membri dell’equipaggio di alcune ONG aiutare gli
scafisti; che in Italia ci sono 5 milioni di poveri (ndr, dato riportato
correttamente come mostrano le statistiche sulla povertà
2018 dell’Istat) “perché paghiamo la residenza in albergo a 3 - 4 milioni di
persone che arrivano da altri paesi”; che i migranti, alla ricerca di un lavoro
nel nostro paese, s’imbarcano sapendo di essere salvati; che non dobbiamo
creare le condizioni per accogliere 5 miliardi di persone che stanno peggio di
noi. Nell'immediato nessuno dei giornalisti presenti in studio lo ha interrotto
o gli ha fatto notare le cose non vere dette. E a farlo avrebbe dovuto essere
soprattutto la conduttrice. Solo dopo una decina di minuti è intervenuto
Federico Geremicca per sottolineare a Galli che non ci sono prove a sostegno
degli aiuti delle ONG agli scafisti e che le inchieste al riguardo non hanno
mai provato alcun contatto di questo tipo.
Fatto salvo che i migranti presenti nel nostro sistema di accoglienza non
risiedono in alberghi ma in strutture scelte dalle Prefetture e dai Comuni, e
che, in base ai dati più recenti comunicati nella relazione del Ministero dell'Interno dello
scorso 15 agosto, non si tratta di 3 o 4 milioni di persone (ndr, in
Italia i posti letto negli alberghi sono 2milioni e 300mila) ma 102.402, le
affermazioni di Galli hanno riproposto alcune argomentazioni che abbiamo
individuato anche nei commenti a un nostro recente articolo dal titolo Dire “non
possiamo accogliere tutti” giustifica l’omissione di soccorso.
Abbiamo selezionato alcune affermazioni ricorrenti mostrandone
l’arbitrarietà, dal punto di vista dei dati e / o della logica argomentativa.
1) “Senza le ONG
non partono e ci sono meno morti”
La convinzione che le ONG costituiscano un pull factor non è nuova. Sin dal
2017 la navi delle organizzazioni non governative (ndr, dalla primavera
del 2015 operative in operazioni di soccorso e salvataggio nel
Mediterraneo dopo la chiusura dell'operazione militare
umanitaria Mare Nostrum, guidata dall'Italia,
l'avvio della missione militare finanziata dall'Unione europea Triton e, successivamente, di Sophia) sono state accusate di incoraggiare le
partenze dalla Libia con il loro spingersi quasi al ridosso del mare
territoriale libico.
I dati, però, mostrano che non esiste una correlazione tra le attività di
soccorso in mare svolte dalle ONG e gli sbarchi sulle coste italiane. In altre
parole, scrive ISPI, le ONG non hanno avuto e
continuano a non avere alcuna influenza sulle partenze dalla Libia. A
determinare il numero di partenze tra il 2015 e oggi sembrano essere stati altri fattori come
l’attività dei trafficanti sulla costa, la richiesta dei migranti di
imbarcazioni con le quali partire nelle diverse località libiche e, anche, le
condizioni atmosferiche.
In effetti, prosegue ISPI, un calo delle partenze si
è registrato dal 2017 in poi, cioè da quando alcune milizie libiche che
gestivano o tolleravano i traffici irregolari hanno iniziato a collaborare con
l’Italia e l’Unione europea. Dal 2018 in poi, il governo M5S Lega guidato da
Giuseppe Conte ha messo in atto azioni e politiche di deterrenza nei confronti
delle ONG e delle navi mercantili che prestavano soccorso nel mar Mediterraneo...
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