I poeti hanno perso la poesia
Io credo che
non esista un’idea di poesia che possa mettere d’accordo tutti. E non è
importante neppure trovarla questa idea. Importante che ci siano testi che
diano nutrimento intellettuale o emotivo a delle persone. E trovo anche assurdo
che la poesia debba militare per la chiarezza o per l’oscurità, per la
semplicità o per la difficoltà. Le poesie vengono dal corpo di chi le scrive e
prima ancora dall’aria in cui girano tante cose, le nuvole e le parole degli
uomini. Le poesie sono delle forme in cui le parole vengono imballate in un
certo modo, come il fieno.
A me sembra
che oggi in Italia molti poeti scrivono le loro poesie come ubbidendo a delle
regole che non hanno più senso. Molte poesie hanno un’aria ostile, come se la
cordialità fosse un segno di banalità. Molte poesie hanno un additivo
intellettuale che i lettori non chiedono, come se il poeta avesse paura di non
essere abbastanza sofisticato. Ma la poesia è un moto ondoso che viene dalla
contentezza o dalla disperazione di un corpo, non è la gara a chi meglio
conosce la metrica.
Il lettore
non è interessato alla nostra sapienza ma a un testo che gli consente di vedere
meglio parti di sé o del mondo. Molti poeti, anche molto bravi, mi sembra che
ormai scrivono testi che girano a vuoto, testi assorti in una religione senza
fedeli. Ognuno può scrivere quello che vuole, ma non si può pretendere che i
testi disertati dai lettori siano i migliori in via di principio, come se il
lettore fosse sempre colpevole e il poeta fosse sempre innocente. In realtà
bisogna avere l’umiltà di considerare che oggi i lettori sono più avanti dei
poeti. I lettori hanno una naturalezza, una capacità di abbandono che molti
poeti hanno perduto. Ed è chiaro che nessuno vuole impedire a questi poeti di
essere astrusi e incomprensibili, ma loro neppure possono pensare che chi non
li segue è colpevole di non capire la poesia.
Ho come
l’impressione che ci sia un tempo tutto pronto alla poesia e i poeti siano
clamorosamente impreparati. Per lungo tempo hanno atteso di essere interrogati.
E ora che questo tempo è venuto non sanno cosa rispondere, vanno avanti con
congegni verbali concepiti per un altro tempo e per un’altra umanità. Non sto
dicendo che la poesia deve avere il passo dell’attualità. Sto dicendo
semplicemente che oggi la poesia si trova nel cuore di chi legge più che nel
cuore di chi scrive.
Manifesto
delle intimità provvisorie
Accade una
cosa curiosa: la pornografia dilaga. Quella che chiamiamo Rete è un gigantesco
arcipelago porno, con alcune isole in cui si fa altro. Nessuno si pone il
problema di disciplinare in qualche modo l’uso del porno. Però con grande
ipocrisia sui social se usi la parola “cazzo” vieni espulso. E se metti una
poesia dal contenuto esplicitamente sessuale scatta subito un certo moralismo.
Oggi se avessimo uno come Pietro Aretino non credo che avrebbe un grande
riconoscimento. Anche nella vita privata delle persone accade questa cosa
singolare: ci si continua a sposare pur sapendo che il matrimonio spesso è il
prologo alla separazione. Sono cambiate le nostre esigenze di natura
sentimentale, ma restiamo dentro le stesse formule.
La poesia,
cioè l’arte di cantare la bellezza e il terrore di essere al mondo, parteggia
per la ricerca di nuovi modi di percepire noi stessi e gli altri. L’amore per
essere nuovamente vivo deve portare dentro l’infimo e l’immenso, non può
stazionare nelle righe dell’uomo intermedio. Dobbiamo riprendere a oscillare
verso gli estremi, l’amore è grande umiltà e grande arroganza, vogliamo
acciuffare in un abbraccio non tanto un corpo, ma la salute che dio perde
strada facendo e che noi dobbiamo trovare per dare un senso alle nostre
giornate.
L’amore è la
religione che ha per altare i nostri corpi, è il nostro contributo alla festa
di essere al mondo.
L’amore è
l’unico modo per uscire dalla galera dell’attualità. Se non amiamo non solo
restiamo reclusi, ma contribuiamo ad alzare i muri della nostra galera. In
amore non bisogna mai aspettare le mosse degli altri. Dobbiamo fare tutto noi e
dobbiamo farlo subito.
Io non so
che cosa sia l’amore. So cosa sono le intimità provvisorie. Non pensate a
godimenti fuggitivi, non pensate alle divagazioni non matrimoniali. Credo che
solo una visione vecchia di noi stessi e degli altri ci possa ancora far
pensare all’amore come a una cosa che prima non c’è e poi compare e poi
finisce. A me sembra che ci sono parti di noi che in un certo senso sono sempre
in amore e altre che sono sempre in fuga o sepolte e irreperibili. L’amore si
svolge dentro i confini di una cultura e di una religione che temono il
giacimento mitico e poetico a cui ci fa attingere ogni incontro bello. E amare non
è altro che incontrare e farsi incontrare. Poi può essere per un’ora o per
mezzo secolo, poco importa.
È tempo di
riscrivere l’alfabeto sentimentale. Non siamo fatti per essere in coppia, non
siamo fatti per tradire e neppure per essere fedeli. Semplicemente non siamo
fatti una volta per sempre. L’amore costruisce il dio che ci guida, non è già
pronto, non è una forma in cui entrare e poi magari stare tutto il tempo a
pensare come uscirne. L’amore è una dimensione intimamente locale, si svolge
sempre in un luogo ed è sempre inedito ogni suo gesto. Bisogna lasciar correre
tutta la vita dove vuole, seguire solo il volo imprevedibile dell’amore.
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