giovedì 7 novembre 2019

Popoli indigeni: la lotta dei Guarani del Brasile per la terra ancestrale - Marta Gatti



La leader Guarani, Leila Rocha, denuncia che i popoli indigeni sono vittime di violenze e uccisioni da parte dei proprietari terrieri del Brasile. Che stanno violando sistematicamente il diritto alla terra delle popolazioni originarie. Leila Rocha si trova in Italia in occasione del Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia

Vivere sotto la costante minaccia di essere cacciati dalla propria terra o uccisi. Questa è la condizione quotidiana degli indigeni Guarani, in Brasile. Lo denuncia ad Osservatorio Diritti Leila Rochaleader Guarani Nhandeva, arrivata in Italia in occasione del Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia.
Leila abita in una terra riconquistata dal suo popolo nel Mato Grosso do Sul, al confine con il Paraguay. «È dal 1983 che subiamo attacchi anche molto violenti. Questa data ha un significato particolare perché fu ucciso il nostro grande leader Marcel di Sousa».
Il Mato Grosso do Sul, dove vive la comunità di Leila Rocha, non è stato colpito dagli incendi che hanno catturato l’attenzione internazionale in questi mesi (leggi L’Amazzonia brucia ancora: ecco cosa succede in Brasile). Ma la popolazione è molto preoccupata per gli attacchi, le violenze e le uccisioni mirate dei loro leader.
I diritti negati ai popoli indigeni: l’accesso alla terra
«Prima che venisse approvata la costituzione del 1988 siamo stati allontanati violentemente dal nostro tekoha. Siamo finiti in un ambiente estraneo e nel frattempo le nostre terre sono state vendute dal governo o invase dai fazendeiros», racconta la leader indigena. Sottolineando anche come proprio gli spazi inadeguati e la necessità di riconnettersi alla propria spiritualità li abbiano spinti a tornare nelle terre da cui erano stati cacciati. Il termine tekoha significa letteralmente “il luogo del modo di essere Guarani”, non solo un luogo fisico, ma anche spirituale.

«Le nostre terre ancestrali sono state completamente distrutte e rese irriconoscibili. La foresta è scomparsa, siamo circondati da piantagioni di mais, soia, canna da zucchero e da allevamenti di bovini. Le nostre terre vengono rivendicate dai fazendeiros come proprietà privata», denuncia Leila Rocha. La difesa della terra è legata alla possibilità di piantare i semi tradizionali, di raccogliere i prodotti della foresta e di pescare.
Gli indigeni rivendicano la necessità di una sicurezza giuridica per poter vivere nelle terre ancestrali, senza paura di essere cacciati o uccisi.
Leila Rocha ha partecipato direttamente al processo di auto-demarcazione: «Abbiamo chiesto udienza a Brasilia e parlato con ministri, abbiamo partecipato ad istanze federali», racconta la leader indigena facendo riferimento a tutti i tentativi legali di vedere riconosciuta la propria terra.

«Ci hanno accolti con tutti i convenevoli, ma nulla è cambiato, le terre non sono state regolarizzate», aggiunge. «Dopo aver fatto appello a tutte le istanze ci siamo sentiti tra vari gruppi Guarani e abbiamo deciso di ritornare sulle terre che riconosciamo come nostre», racconta.
Il processo della retomada, il ritorno alle terre ancestrali, coinvolge tutti i membri della comunità ed è completamente pacifico. «Quando abbiamo deciso di ritornare non lo abbiamo fatto con le armi, con la violenza. La nostra unica arma è la nostra preghiera, la nostra religione tradizionale. Sono gli antenati presenti nel tekoha a chiamarci», spiega la leader indigena.
«Quando ci muoviamo lo facciamo a piedi, senza auto, biciclette o moto. Ci portiamo dietro solo l’indispensabile: le nostre pentole per preparare da mangiare», aggiunge.
Attacco ai leader indigeni del Brasile
Secondo le stime di Global Witness il Brasile si trova al quarto posto tra i paesi più pericolosi per difensori dell’ambiente e della terra. Nel 2018, nello stato brasiliano del Pará, sono stati almeno otto gli omicidi di difensori dell’ambiente.
I leader indigeni hanno denunciato di essere nel mirino delle milizie armate private, assoldate dai proprietari delle piantagioni. «Ho paura, però mi affido allo spirito dei miei antenati», dice Leila Rocha. Aggiungendo che, per questioni di sicurezza, è costretta a muoversi in segreto, senza esporsi troppo nelle occasioni pubbliche.
L’elezione a leader è arrivata attraverso lo spirito degli antenati.  La leader Guarani è consapevole dei rischi e delle responsabilità del ruolo che ricopre: «Ho accettato, anche se questo ruolo è molto difficile, perché devo valutare ogni aspetto, senza fare scelte azzardate».
Popoli indigeni e ambiente: avvelenati dai pesticidi
Gli indigeni vedono le loro terre “violentate”. Usa questo termine Leila Rocha per descrivere l’effetto dell’inquinamento e della deforestazione nelle loro terre ancestrali. Le comunità devono convivere con pesticidi e fertilizzanti che vengono utilizzati sulle piantagioni: «Il veleno finisce nelle acque che le persone utilizzano per lavarsi o per bere».
A farne le spese sono soprattutto i bambini, che passano molto tempo a giocare nel fiume: «Molti bambini soffrono di vomito, mal di testa e dissenteria». Anche le attività tradizionali, come la pesca, sono a rischio, anche il pesce è contaminato. «Vediamo spruzzare il veleno ogni mese».
Donne indigene alla testa delle proteste
Il 12 agosto scorso a Brasilia si è svolta una grande manifestazione delle donne indigene contro le politiche di Bolsonaro nei confronti dei popoli indigeni. Leila Rocha è rappresentante anche della Grande assemblea delle donne Kaiowa e Guarani e quel giorno non era in piazza perché stava partecipando a una riunione di donne appartenenti al popolo dei Mundurucu.
Popoli indigeni: salute e scuola non sempre garantiti
Nei territori indigeni normalmente sorgono piccole infermerie in cui vengono somministrate le vaccinazioni o dove si possono reperire medicine per curare mali lievi, come la febbre. «Sono previste per legge, ma nel nostro territorio non ci sono», denuncia la donna indigena.
Anche andare a scuola non è facile. Non ci sono, infatti, scuole indigene nel territorio in cui vive Leila Rocha e i bambini frequentano classi miste. «Devono percorrere un sentiero, arrivare alla strada e prendere un autobus che li porta a scuola».
In queste scuole, spiega Leila, spesso si parla male degli indigeni, vengono manipolati o picchiati. Anche i bambini molto piccoli devono frequentare. Questa norma ha un impatto sulla vita comunitaria dei Guarani, spiega la leader: «A due anni i bambini vivono accanto alla mamma, che li allatta. Ci sono mamme, quindi, che devono andare a scuola con i loro figli per poterli allattare».
La discriminazione passa anche attraverso la lingua
All’interno delle comunità si parla solo Guarani, molti capiscono il portoghese ma non a fondo. La legge federale brasiliana prevede la presenza di mediatori culturali che facilitino proprio la comunicazione con le popolazioni indigene. Nonostante questo, nella scuola che frequentano i nipoti di Leila l’insegnante non conosce la lingua Guarani, quindi i bambini fanno fatica a capire quello che viene detto loro. A volte sono le mamme a fare da mediatrici nelle classi: «Per chi conosce e pratica soprattutto la lingua Guarani è molto difficile capire il portoghese, è un altro mondo».

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