La leader Guarani, Leila Rocha, denuncia che i popoli indigeni sono vittime
di violenze e uccisioni da parte dei proprietari terrieri del Brasile. Che
stanno violando sistematicamente il diritto alla terra delle popolazioni
originarie. Leila Rocha si trova in Italia in occasione del Sinodo dei vescovi
sull’Amazzonia
Vivere sotto la costante minaccia di essere cacciati dalla propria terra o
uccisi. Questa è la condizione quotidiana degli indigeni Guarani, in Brasile. Lo
denuncia ad Osservatorio Diritti Leila
Rocha, leader Guarani Nhandeva, arrivata in Italia in occasione
del Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia.
Leila abita in una terra riconquistata dal suo popolo nel Mato
Grosso do Sul, al confine con il Paraguay. «È dal 1983 che subiamo
attacchi anche molto violenti. Questa data ha un significato
particolare perché fu ucciso il nostro grande leader Marcel di Sousa».
Il Mato Grosso do Sul, dove vive la comunità di Leila Rocha, non è stato
colpito dagli incendi che hanno catturato l’attenzione internazionale in questi
mesi (leggi L’Amazzonia brucia ancora:
ecco cosa succede in Brasile). Ma la popolazione è molto
preoccupata per gli attacchi, le violenze e le uccisioni mirate dei
loro leader.
I diritti negati ai popoli indigeni: l’accesso alla terra
«Prima che venisse approvata la costituzione del 1988 siamo stati
allontanati violentemente dal nostro tekoha. Siamo finiti
in un ambiente estraneo e nel frattempo le nostre terre sono state
vendute dal governo o invase dai fazendeiros», racconta la
leader indigena. Sottolineando anche come proprio gli spazi inadeguati e
la necessità di riconnettersi alla propria spiritualità li abbiano spinti
a tornare nelle terre da cui erano stati cacciati. Il termine tekoha significa
letteralmente “il luogo del modo di essere Guarani”, non solo un luogo fisico,
ma anche spirituale.
«Le nostre terre ancestrali sono state completamente
distrutte e rese irriconoscibili. La foresta è scomparsa, siamo
circondati da piantagioni di mais, soia, canna da zucchero e da
allevamenti di bovini. Le nostre terre vengono rivendicate dai fazendeiros come
proprietà privata», denuncia Leila Rocha. La difesa della terra è
legata alla possibilità di piantare i semi tradizionali, di raccogliere i
prodotti della foresta e di pescare.
Gli indigeni rivendicano la necessità di una sicurezza
giuridica per poter vivere nelle terre ancestrali, senza paura di
essere cacciati o uccisi.
Leila Rocha ha partecipato direttamente al processo di auto-demarcazione:
«Abbiamo chiesto udienza a Brasilia e parlato con ministri, abbiamo partecipato
ad istanze federali», racconta la leader indigena facendo riferimento a
tutti i tentativi legali di vedere riconosciuta la propria terra.
«Ci hanno accolti con tutti i convenevoli, ma nulla è cambiato, le
terre non sono state regolarizzate», aggiunge. «Dopo aver fatto appello a
tutte le istanze ci siamo sentiti tra vari gruppi Guarani e abbiamo deciso di
ritornare sulle terre che riconosciamo come nostre», racconta.
Il processo della retomada, il ritorno alle terre
ancestrali, coinvolge tutti i membri della comunità ed è completamente
pacifico. «Quando abbiamo deciso di ritornare non lo abbiamo fatto con le
armi, con la violenza.
La nostra unica arma è la nostra preghiera, la nostra religione
tradizionale. Sono gli antenati presenti nel tekoha a
chiamarci», spiega la leader indigena.
«Quando ci muoviamo lo facciamo a piedi, senza auto, biciclette o
moto. Ci portiamo dietro solo l’indispensabile: le nostre pentole
per preparare da mangiare», aggiunge.
Attacco ai leader indigeni del Brasile
Secondo le stime di Global Witness il
Brasile si trova al quarto posto tra i paesi più pericolosi per difensori dell’ambiente e
della terra. Nel 2018, nello stato brasiliano del Pará, sono stati
almeno otto gli omicidi di difensori dell’ambiente.
I leader indigeni hanno denunciato di essere nel mirino delle
milizie armate private, assoldate dai proprietari delle piantagioni. «Ho
paura, però mi affido allo spirito dei miei antenati», dice Leila Rocha.
Aggiungendo che, per questioni di sicurezza, è costretta a muoversi in
segreto, senza esporsi troppo nelle occasioni pubbliche.
L’elezione a leader è arrivata attraverso lo spirito degli
antenati. La leader Guarani è consapevole dei rischi e delle
responsabilità del ruolo che ricopre: «Ho accettato, anche se questo ruolo è
molto difficile, perché devo valutare ogni aspetto, senza fare scelte
azzardate».
Popoli indigeni e ambiente: avvelenati dai pesticidi
Gli indigeni vedono le loro terre “violentate”. Usa questo termine Leila
Rocha per descrivere l’effetto dell’inquinamento e
della deforestazione nelle
loro terre ancestrali. Le comunità devono convivere con pesticidi e
fertilizzanti che vengono utilizzati sulle piantagioni: «Il veleno
finisce nelle acque che le persone utilizzano per lavarsi o per bere».
A farne le spese sono soprattutto i bambini, che passano molto
tempo a giocare nel fiume: «Molti bambini soffrono di vomito, mal
di testa e dissenteria». Anche le attività tradizionali, come la pesca, sono a
rischio, anche il pesce è contaminato. «Vediamo spruzzare il veleno ogni mese».
Donne indigene alla testa delle proteste
Il 12 agosto scorso a Brasilia si è svolta una grande
manifestazione delle donne indigene contro
le politiche di Bolsonaro nei
confronti dei popoli
indigeni. Leila Rocha è rappresentante anche della Grande assemblea
delle donne Kaiowa e Guarani e quel giorno non era in piazza perché
stava partecipando a una riunione di donne appartenenti al popolo dei
Mundurucu.
Popoli indigeni: salute e scuola non sempre garantiti
Nei territori indigeni normalmente sorgono piccole infermerie in
cui vengono somministrate le vaccinazioni o dove si possono reperire medicine
per curare mali lievi, come la febbre. «Sono previste per legge, ma nel nostro
territorio non ci sono», denuncia la donna indigena.
Anche andare a scuola non è facile. Non ci sono, infatti, scuole indigene
nel territorio in cui vive Leila Rocha e i bambini frequentano classi
miste. «Devono percorrere un sentiero, arrivare alla strada e prendere un
autobus che li porta a scuola».
In queste scuole, spiega Leila, spesso si parla male degli
indigeni, vengono manipolati o picchiati. Anche i bambini molto
piccoli devono frequentare. Questa norma ha un impatto sulla vita
comunitaria dei Guarani, spiega la leader: «A due anni i bambini
vivono accanto alla mamma, che li allatta. Ci sono mamme, quindi, che devono
andare a scuola con i loro figli per poterli allattare».
La discriminazione passa anche attraverso la lingua
All’interno delle comunità si parla solo Guarani, molti
capiscono il portoghese ma non a fondo. La legge federale brasiliana
prevede la presenza di mediatori culturali che facilitino
proprio la comunicazione con le popolazioni indigene. Nonostante questo, nella
scuola che frequentano i nipoti di Leila l’insegnante non conosce la
lingua Guarani, quindi i bambini fanno fatica a capire quello
che viene detto loro. A volte sono le mamme a fare da mediatrici nelle classi:
«Per chi conosce e pratica soprattutto la lingua Guarani è molto difficile
capire il portoghese, è un altro mondo».
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