L’anno scorso scrissi un pezzo per spiegare, sul piano sociologico e antropologico, il boom in Sardegna della Lega. Solo che allora era al 12, per cento, ora è al 27. Riprendo quel pezzo in larghi tratti perché le cose si sono accentuate, e quell’analisi mi sembra ancora buona.
Scrissi, in quell’occasione, come fosse stato possibile che un partito che da sempre insulta i meridionali e i sardi, abbia ottenuto una esplosione simile, senza che vi fossero, negli anni precedenti, delle avvisaglie. Segni tuttavia raccolti dai dirigenti del Psd’Az, a conferma della loro storica natura opportunistica, dai tempi dei sardofascisti del ventennio alla bandiera sarda regalata a Berlusconi alcuni anni fa. Ma trascurando le miserie della peggiore politica, alla quale si fa fatica ad abituarsi, resta quel dato che amareggia tutti i sardi coscienziosi.
La Lega è l’espressione di quella borghesia nordista che da sempre, storicamente, ha rappresentato il centro del paese, a discapito della periferia, rappresentata dal Sud e dalle Isole. Il caso più emblematico è quello dei benefici agli allevatori padani, a fronte delle bastonate che un ministero dell’interno leghista riservò ai pastori sardi in protesta a Civitavecchia.
Una sorta di sindrome di Stoccolma di una parte sardi nei confronti dei loro storici carnefici, di quelle che racconta Franz Fanon nei suoi libri, verrebbe da pensare, che, tuttavia, non attenua le colpe storiche sia dei partiti di sinistra che del Polo Autonomista, quest’ultimo che non sembra aver ancora trovato una ideologia che rappresenti pienamenti i sardi.
Tuttavia, una cosa è la scelta elettorale, il voto di destra, o di sinistra, o di protesta, una cosa è votare chi da sempre ti sfrutta, ti inganna, ti insulta e ti sputa in faccia.
Oggi i flussi elettorali sono diventati imprevedibili. Sembra di assistere ad un mutamento nella natura degli elettori, che ora è molto più variabile.
Tuttavia, questa imprevedibilità, da sola, non spiega il fenomeno contingente.
Credo infatti che questo spostamento di voti possa essere compreso solo se consideriamo l’intima natura delle scelte elettorali, non solo in Sardegna, ma a livello più generale, italiano e nel moderno mondo occidentale.
La Lega è l’espressione di quella borghesia nordista che da sempre, storicamente, ha rappresentato il centro del paese, a discapito della periferia, rappresentata dal Sud e dalle Isole. Il caso più emblematico è quello dei benefici agli allevatori padani, a fronte delle bastonate che un ministero dell’interno leghista riservò ai pastori sardi in protesta a Civitavecchia.
Una sorta di sindrome di Stoccolma di una parte sardi nei confronti dei loro storici carnefici, di quelle che racconta Franz Fanon nei suoi libri, verrebbe da pensare, che, tuttavia, non attenua le colpe storiche sia dei partiti di sinistra che del Polo Autonomista, quest’ultimo che non sembra aver ancora trovato una ideologia che rappresenti pienamenti i sardi.
Tuttavia, una cosa è la scelta elettorale, il voto di destra, o di sinistra, o di protesta, una cosa è votare chi da sempre ti sfrutta, ti inganna, ti insulta e ti sputa in faccia.
Oggi i flussi elettorali sono diventati imprevedibili. Sembra di assistere ad un mutamento nella natura degli elettori, che ora è molto più variabile.
Tuttavia, questa imprevedibilità, da sola, non spiega il fenomeno contingente.
Credo infatti che questo spostamento di voti possa essere compreso solo se consideriamo l’intima natura delle scelte elettorali, non solo in Sardegna, ma a livello più generale, italiano e nel moderno mondo occidentale.
Da tempo teorizzo che, tendenzialmente, i partiti di destra cercano un consenso di natura che io definisco “antropologica”, mentre i partiti di sinistra tendono ad un consenso maggiormente “sociologico”. Mentre la destra punta a comunicare con l’elettore prevalentemente su un piano ancestrale, sugli istinti di base, sulla “pancia”, quello di sinistra punta a comunicare invece ad un elettore prevalentemente sul piano della struttura sociale, culturale ed ideologica.
In questi anni di grande incertezza a livello internazionale, con una struttura sociale a cui è stata imposta una sorta di “dittatura del quotidiano”, in cui ogni giorno è una lotta contro il tempo, e in cui la crisi economica è stata scaricata sul ceto medio, lasciando intatta la classe più elevata della società grazie ad una complicità con la classe politica, il senso di disorientamento popolare è stato manipolato. Una vera opera di destrutturazione psicologica di massa dove il pensiero riflessivo è stato intaccato dal precariato e da una generale sensazione di incertezza, una sorta di continuo affanno, e dove il conflitto sociale è stato deviato verso gli ultimi. In pratica, se la rivendicazione prima passava attraverso il confronto dialettico tra classi dirigenti e popolazione, oggi non è più così. La classe dirigente si è dovuta travestire da “alternativa”, per cui emerge solo chi finge di essere “non” politico, “antipolitico”, “rottamatore” finché il gioco non viene smascherato.
Oltre a presentarsi come uno del popolo, il candidato che vuole convincere l’elettore di non essere un nemico, di non essere un oligarca della casta, si presenta come incolpevole della situazione, estraneo ai fatti, quando invece è messo lì per proseguire con gli interessi dei privilegiati.
La colpa della vostra situazione, sapete, non è “nostra”, ma loro. Ma loro chi? Come chi? Ma i messicani, i cinesi, gli extracomunitari, i negri, gli immigrati, gli zingari. Non dovete guardare in alto, per cercare il colpevole, ma in basso. La colpa non è di una classe politica e di un potere finanziario che ha mantenuto tutti i suoi privilegi, ma è di quelli lì, degli estranei, dei diversi. Ci sono studi antropologici, e addirittura etologici, che mostrano la tendenza degli esseri umani, e degli animali, di sfogare la propria rabbia sui più deboli e sugli indifesi.
Ed ecco che l’inganno si compie. La gente sfoga la sua rabbia nei confronti di quelli ancora più poveri e disgraziati di loro, e vota quelli che appaiono come uno di loro, che manifestano gli stessi fastidi e le stesse paure.
Ora quanto la psicosi dell’immigrato sia diventata centrale nella sub-cultura di oggi, è sufficiente monitorare i social. Ogni “post” sugli immigrati ingenera una discussione accesa e infinita, e sono centinaia le bufale che girano ogni giorno, continuamente, online. Una vera ossessione sembra essersi impadronita di una parte consistente della società. Una percentuale consistente dei “post” e dei “link” che vengono pubblicati nei social, come è evidente e chiunque può verificare, riguardano il tema degli immigrati e della sicurezza ad esso collegato, anche se le statistiche mostrano un consistente calo dei reati in Italia negli ultimi 20 anni.
Come risulta evidente dalle varie statistiche (ad esempio quella di Social Monitor), la Lega in Italia ha mostrato una spregiudicatezza nell’uso dei nuovi media davvero preoccupante, senza nessuno scrupolo civile, e il web è stato inondato di patacche e bugie, sia allo scopo di alimentare la psicosi dell’immigrato, sia per colpire gli avversari politici. Un uso che appare piuttosto ben organizzato e sistematico.
Nel frattempo una ulteriore manipolazione, ancora più potente, è intervenuta, complice la pochezza della sinistra sui tradizionali temi sociali. Il problema sociale, perciò, è entrato in connessione con la psicosi: il lavoro non c’è per colpa degli immigrati, le pensioni non ci sono per colpa degli immigrati, tutto funziona male per colpa degli immigrati, tutto è colpa degli immigrati. Si crea un falso problema, e poi ci si propone come i risolutori.
La memoria corta, altra brutta malattia sociale, giustifica la disconnessione con i tempi: disoccupazione, problemi pensionistici, e tutto il resto, esistevano prima che il problema della immigrazione fosse messo nella priorità nell’agenda dei mass-media.
Per quando possa sembrare riduttivo individuare nella psicosi dell’immigrato il successo paradossale della Lega in Sardegna, temo che, all’interno certo della complessità del fenomeno, essa sia preponderante. Al quale si aggiunge, in chiave europea, una certa destrosità d’accatto, che strizza l’occhio all’autarchia, ad un nazionalismo chiuso e becero, che altro non è che un ulteriore modalità propagandistica per giustificare le malefatte dei privilegiati scaricando le colpe sull’entità altrove, sull’Europa.
Siamo ben oltre il concetto di Gramsci sull’egemonia culturale. Qui siamo sulla incredibile capacità delle forze egemoniche di instaurare veri e propri processi di destrutturazione culturale, piuttosto che di egemonia. Cioè di ingenerare mediante l’amplificazione di fatti di cronaca e l’invenzione massiccia di “bufale”, delle patologie sociali con scopi antidemocratici e di conservazione del potere e delle rendite di posizione. Sembra di assistere ad esperimenti di manipolazione psicologica degni di un romanzo di fantascienza, e che ha forse nella Germania nazista e nell’odio contro gli ebrei il precedente più evidente nella storia recente.
I danni sociali derivanti da questo fobia delirante di massa sono enormi, e si accompagnano a quella rottura della struttura solidale della società e a quella semplificazione quantitativa del valori in atto da tempo nella società occidentale.
Nel frattempo, i sardi senza memoria votano per gli stessi che nel passato hanno scotennato le loro foreste, predato le loro miniere, succhiato il loro sangue, occupato il loro suolo con servitù militari, con il cemento, con le industrie pesanti e inquinanti.
Nel frattempo, cambieremo il nome della nostra bella isola, sempre più succube di processi culturali che ci balenano inconsapevolmente sul capo. Da Sardegna, a Sardania.
da qui
In questi anni di grande incertezza a livello internazionale, con una struttura sociale a cui è stata imposta una sorta di “dittatura del quotidiano”, in cui ogni giorno è una lotta contro il tempo, e in cui la crisi economica è stata scaricata sul ceto medio, lasciando intatta la classe più elevata della società grazie ad una complicità con la classe politica, il senso di disorientamento popolare è stato manipolato. Una vera opera di destrutturazione psicologica di massa dove il pensiero riflessivo è stato intaccato dal precariato e da una generale sensazione di incertezza, una sorta di continuo affanno, e dove il conflitto sociale è stato deviato verso gli ultimi. In pratica, se la rivendicazione prima passava attraverso il confronto dialettico tra classi dirigenti e popolazione, oggi non è più così. La classe dirigente si è dovuta travestire da “alternativa”, per cui emerge solo chi finge di essere “non” politico, “antipolitico”, “rottamatore” finché il gioco non viene smascherato.
Oltre a presentarsi come uno del popolo, il candidato che vuole convincere l’elettore di non essere un nemico, di non essere un oligarca della casta, si presenta come incolpevole della situazione, estraneo ai fatti, quando invece è messo lì per proseguire con gli interessi dei privilegiati.
La colpa della vostra situazione, sapete, non è “nostra”, ma loro. Ma loro chi? Come chi? Ma i messicani, i cinesi, gli extracomunitari, i negri, gli immigrati, gli zingari. Non dovete guardare in alto, per cercare il colpevole, ma in basso. La colpa non è di una classe politica e di un potere finanziario che ha mantenuto tutti i suoi privilegi, ma è di quelli lì, degli estranei, dei diversi. Ci sono studi antropologici, e addirittura etologici, che mostrano la tendenza degli esseri umani, e degli animali, di sfogare la propria rabbia sui più deboli e sugli indifesi.
Ed ecco che l’inganno si compie. La gente sfoga la sua rabbia nei confronti di quelli ancora più poveri e disgraziati di loro, e vota quelli che appaiono come uno di loro, che manifestano gli stessi fastidi e le stesse paure.
Ora quanto la psicosi dell’immigrato sia diventata centrale nella sub-cultura di oggi, è sufficiente monitorare i social. Ogni “post” sugli immigrati ingenera una discussione accesa e infinita, e sono centinaia le bufale che girano ogni giorno, continuamente, online. Una vera ossessione sembra essersi impadronita di una parte consistente della società. Una percentuale consistente dei “post” e dei “link” che vengono pubblicati nei social, come è evidente e chiunque può verificare, riguardano il tema degli immigrati e della sicurezza ad esso collegato, anche se le statistiche mostrano un consistente calo dei reati in Italia negli ultimi 20 anni.
Come risulta evidente dalle varie statistiche (ad esempio quella di Social Monitor), la Lega in Italia ha mostrato una spregiudicatezza nell’uso dei nuovi media davvero preoccupante, senza nessuno scrupolo civile, e il web è stato inondato di patacche e bugie, sia allo scopo di alimentare la psicosi dell’immigrato, sia per colpire gli avversari politici. Un uso che appare piuttosto ben organizzato e sistematico.
Nel frattempo una ulteriore manipolazione, ancora più potente, è intervenuta, complice la pochezza della sinistra sui tradizionali temi sociali. Il problema sociale, perciò, è entrato in connessione con la psicosi: il lavoro non c’è per colpa degli immigrati, le pensioni non ci sono per colpa degli immigrati, tutto funziona male per colpa degli immigrati, tutto è colpa degli immigrati. Si crea un falso problema, e poi ci si propone come i risolutori.
La memoria corta, altra brutta malattia sociale, giustifica la disconnessione con i tempi: disoccupazione, problemi pensionistici, e tutto il resto, esistevano prima che il problema della immigrazione fosse messo nella priorità nell’agenda dei mass-media.
Per quando possa sembrare riduttivo individuare nella psicosi dell’immigrato il successo paradossale della Lega in Sardegna, temo che, all’interno certo della complessità del fenomeno, essa sia preponderante. Al quale si aggiunge, in chiave europea, una certa destrosità d’accatto, che strizza l’occhio all’autarchia, ad un nazionalismo chiuso e becero, che altro non è che un ulteriore modalità propagandistica per giustificare le malefatte dei privilegiati scaricando le colpe sull’entità altrove, sull’Europa.
Siamo ben oltre il concetto di Gramsci sull’egemonia culturale. Qui siamo sulla incredibile capacità delle forze egemoniche di instaurare veri e propri processi di destrutturazione culturale, piuttosto che di egemonia. Cioè di ingenerare mediante l’amplificazione di fatti di cronaca e l’invenzione massiccia di “bufale”, delle patologie sociali con scopi antidemocratici e di conservazione del potere e delle rendite di posizione. Sembra di assistere ad esperimenti di manipolazione psicologica degni di un romanzo di fantascienza, e che ha forse nella Germania nazista e nell’odio contro gli ebrei il precedente più evidente nella storia recente.
I danni sociali derivanti da questo fobia delirante di massa sono enormi, e si accompagnano a quella rottura della struttura solidale della società e a quella semplificazione quantitativa del valori in atto da tempo nella società occidentale.
Nel frattempo, i sardi senza memoria votano per gli stessi che nel passato hanno scotennato le loro foreste, predato le loro miniere, succhiato il loro sangue, occupato il loro suolo con servitù militari, con il cemento, con le industrie pesanti e inquinanti.
Nel frattempo, cambieremo il nome della nostra bella isola, sempre più succube di processi culturali che ci balenano inconsapevolmente sul capo. Da Sardegna, a Sardania.
Nessun commento:
Posta un commento