Vai in treno? Perché, hai paura di volare?
Di solito, quando dico che mi sposto più volentieri in treno, la prima
domanda è «come mai, hai paura di volare?» Quando cerco di spiegare che non ho
paura, e che la mia è una scelta ambientalista mi guardano con
ironia e un po’ di compassione: «non è con quella scelta – dicono – che cambi
la situazione…».
Potete quindi immaginare la mia soddisfazione quando ho saputo che in
Svezia l’impatto ambientale del trasporto aereo è ormai un problema talmente
sentito che è nato un vocabolo apposta per chi si vergogna di spostarsi così: flygskam,
o flight shame (vergogna di volare). C’è un’altra parola
inventata in Svezia, che è smygflyga, che significa volare di
nascosto… e sono sempre più i viaggiatori che scelgono il treno, e la parola
chiave che usano per distinguersi è tagskryt, che significa
vantarsi del treno.
Il movimento #stayontheground ha promosso una maggiore
consapevolezza del carico ambientale prodotto dai viaggi aerei. E gli effetti
sono già tangibili: il Direttore di una delle maggiori line aeree scandinave ha
incolpato questo movimento del calo che si è verificato nel numero di
passeggeri. Il traffico aereo nel cielo svedese è diminuito del 5% nel primo
quadrimestre del 2019.
Difficile fare i conti, però…
Un articolo pubblicato il 4 giugno scorso su The Guardian (Swedes turn to
trains amid climate ‘flight shame’) cita uno studio del
2013, da cui risulta che spostarsi in aereo ha un maggiore impatto sul clima –
a parità di distanza percorsa – rispetto a bus, treni e carpooling.
Non è facile fare i conti: il consumo di energia e la produzione di gas a
effetto serra per le diverse forme di mobilità dipendono da tantissime
variabili, che vanno dal tipo di combustibile alle tipologie di gas emessi,
alla lunghezza delle tratte, all’efficienza dei motori ecc. In termini
generali tuttavia si può affermare che un mezzo di trasporto collettivo, e che
usa motori elettrici (più efficienti dei motori a combustione) lascia
un’impronta di CO2inferiore. Sono in corso molti studi con lo scopo
di ridurre il carico ambientale dei diversi mezzi di trasporto agendo sia a
livello costruttivo (nuove tipologie di motori) che strutturale (servizi
offerti ai passeggeri, ottimizzazione dei percorsi, ecc.). Alcune
considerazioni interessanti sul tema sono state fornite da due
ricercatori, Paolo Viganò, co-fondatore di Rete Clima, e Marco Armiero,
direttore dell’Environmental
humanities laboratory del Royal institute of
technology di Stoccolma, durante il programma di Radio3 Scienza del
7 giugno.
Tornando al caso della Svezia, secondo i dati forniti dall’Ente Ferrovie
Svedesi un singolo volo aereo tra le due maggiori città svedesi – Stockholm e
Gothenburg – produce tanta C02 quanto 40.000 viaggi in treno. Non solo: secondo
una relazione commissionata dall’Agenzia Svedese per la Protezione Ambientale,
nel 2017 il settore nazionale dell’aviazione è stato responsabile della
produzione di 1,1 tonnellate di emissioni pro-capite: cinque volte di più della
media globale.
Sono dati che hanno colpito molto gli svedesi, che l’anno scorso hanno
sperimentato eccezionali onde di calore e hanno assistito a terribili incendi
nella zona artica. E forse hanno colto il messaggio di Greta Thunberg,
la loro connazionale sedicenne ormai conosciuta in tutto il mondo, che ha
appena concluso un lungo giro in Europa – due settimane di viaggio –
spostandosi quasi sempre in treno.
È possibile che la crescente consapevolezza del costo ambientale dei voli
aerei convinca alcune persone a cambiare idea: sarebbe incoraggiante che in
tutti i cieli d’Europa si riducesse il traffico aereo, e che si sviluppasse
gradualmente una più generale ‘vergona di volare’, ponderando ogni volta se lo
spostamento previsto è proprio utile, necessario, insostituibile… Ma la
tendenza globale non è certo questa. Vediamo, per esempio, che cosa si progetta
in Cina, paese tumultuosamente emergente. Apprendiamo che l’Aviazione Civile
Cinese intende costruire 216 nuovi aeroporti entro il 2035, per
soddisfare la crescente domanda. I passeggeri su tratte aeree in Cina sono
stati 552 milioni lo scorso anno, e le previsioni per il 2020 sono di far
volare 720 milioni di persone, quasi quanti sono gli abitanti dell’intera
Europa (741,4 nel 2016).
Il sito della CNN (https://edition.cnn.com/travel/article/airports-opening-2019/index.html)
dedicato ai viaggi presenta spettacolari fotografie e disegni di alcuni nuovi
aeroporti, progettati da architetti famosi e destinati a intrattenere durante
le soste numeri crescenti di viaggiatori con ambienti molto confortevoli (ed
energeticamente insostenibili) a Israele, Singapore, Istanbul, New Orleans,
Pechino… Anche in Europa sono in fase di costruzione o ampliamento vari
aeroporti, alcuni dei quali sono sede di controversie per le proteste di gruppi
ambientalisti e di comunità locali.
Il caso di Londra e gli accordi di Parigi
L’aeroporto di Heathrow nei pressi di Londra è il più trafficato d’Europa,
con 71 milioni di passeggeri internazionali all’anno. La dimensione attuale
(12.27 kmq) limita le sue potenzialità, tanto che fin dagli anni 1970 dei piani
di ampliamento sono stati presentati e discussi dai successivi governi della
Gran Bretagna.
È recente l’approvazione finale di un piano di espansione, che
consentirebbe di ampliare l’area di altri 3 kmq. Ma il progetto ha suscitato le
proteste di numerosi soggetti: è prevista infatti la demolizione di 800 case
nei villaggi di Longford, Harmondsworth e Sipson. Gli ambientalisti hanno
sottolineato i problemi di inquinamento per l’aumento delle emissioni. Sono
stati espressi anche pareri contrari per motivi economici: sarebbe infatti necessaria
la costruzione di una nuova, costosa linea ferroviaria di collegamento. Sono
state presentate denunce da parte dei municipi di alcuni paesi (Wandsworth,
Richmond, Hillingdon, Hammersmith e Fulham), con l’appoggio di Greenpeace e
del sindaco di Londra, Sadiq Khan, che sostengono che l’espansione
dell’aeroporto di Heathrow causerebbe gravi danni ambientali e minacce alla
salute pubblica per l’aumento dell’inquinamento atmosferico.
Anche l’associazione Friends of the
Earth ha presentato ricorso contro la decisione del
governo, accusandolo di non rispettare gli accordi sul clima presi a Parigi nel
2015. Il direttore di questa associazione ha commentato: «Siamo nel pieno di
un’emergenza ecologica e climatica, e il parlamento inglese ha preso una
decisione fuori tempo. […] Come possiamo prendere sul serio un governo che da
un lato dichiara di essere attivo nell’affrontare il cambiamento climatico, e
dall’altra approva questo progetto di espansione di Heathrow? […] Continueremo
a lottare, perché non si tratta solo di un aeroporto, si tratta di progettare
un futuro adeguato per i nostri figli».
Il caso dell’aeroporto di Heathrow è esemplare per mettere in luce
l’inconciliabilità di due prospettive: da un lato un modello di sviluppo che
non riconosce limiti alle esigenze di ‘modernità’, con una crescita
esponenziale di commerci, consumi, viaggi… dall’altra un’idea di
auto-limitazione delle attività umane, per rispettare le esigenze vitali degli
altri viventi e accettare i limiti del pianeta. Ai confini con la prevista area
di espansione dell’aeroporto si trova uno dei Parchi più noti e più frequentati
del Regno Unito: il Richmond Park. Nei documenti relativi all’approvazione
dell’estensione dell’aeroporto viene specificato che sono previsti – al sopra
dell’area del Parco a un’altezza inferiore a 900 metri – 47 arrivi all’ora, e
tra 17 e 47 partenze. Le associazioni ambientaliste sostengono che
l’inquinamento acustico e chimico sarebbe disastroso, sia per i viventi
ospitati in quest’area protetta (in particolare specie rare di animali notturni
protetti: uccelli e pipistrelli) sia per i 5 milioni e mezzo di visitatori che
ogni anno lo frequentano.
Vantarsi del treno… tornare ‘lenti’
Tiziano Terzani, ascoltando le parole di un indovino che gli consigliava di
non prendere aerei nel 1992 per non rischiare la vita, decise (pur continuando
la sua attività di giornalista) di intraprendere un viaggio in Asia senza
volare. Ne nacque un libro – Un indovino mi disse – e
Terzani così commentò questa sua avventura: «Appena si decide di farne a
meno, ci si accorge di come gli aerei ci impongono la loro limitata percezione dell’esistenza; di
come, essendo una comoda scorciatoia di distanze, finiscono per
scorciare tutto: anche la comprensione del mondo».
Vantarsi del treno, dunque (tagskryt per gli svedesi), può
essere una scelta ricca di sorprese positive: la ricerca della sostenibilità
(ambientale e non solo) può aprire nuove e interessanti prospettive.
Alla velocità dell’aereo si può preferire un mezzo di trasporto più
lento e trovarsi in compagnia di altri gruppi che hanno compiuto scelte
simili: slow food, slow tech, slow science, slow news… C’è anche la possibilità
di vivere la montagna a bassa velocità: lo propone la Compagnia dei Cammini, associazione di
turismo responsabile, che per l’estate 2019 propone percorsi a passo lento,
per «per vivere l’alta quota in modo alternativo, senza conquistare
vette ma riscoprendo quelle energie che la potenza della montagna sa evocare».
Davide Mazzocco nel suo recente libro, Cronofagia (Editore
D, 2019), sostiene che nel prossimo futuro il valore del tempo dovrà essere
messo «al centro della politica, delle decisioni sul Welfare, della
pianificazione urbana e dell’organizzazione del lavoro».
Una componente importante della transizione alla sostenibilità, dunque, può
essere quella di limitare la velocità: rallentare può
diventare una parola chiave per orientare le nostre scelte (individuali e
collettive) in tanti ambiti, e offrirci inaspettate e gradite sorprese.
NOTE
Slow food: una ormai famosa
associazione internazionale no profit impegnata a ridare valore al cibo, nel
rispetto di chi produce, in armonia con ambiente ed ecosistemi.
Slow tech: il nome di un gruppo di studio attivo presso il CSSR dal 2016, che
propone per l’autunno prossimo un corso di
formazione proprio su questo aspetto.
Slow science: una riflessione sui ritmi e sui rischi dell’attuale tecno-scienza. Una
studiosa belga, Isabelle
Stengers, con il suo libro Another Science Is Possible. A
Manifesto for Slow Science (2016) offre una lettura interessante sulle
implicazioni di una ricerca scientifica sempre più incalzata dalle esigenze
della società (e dell’economia…) che richiede continui e rapidi input per
alimentare l’innovazione.
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