Hanno ragione le femministe a sottolineare che lo stupro di Viterbo, com’è
stato ormai denominato dai media – non andrebbe spiegato invocando il colore
politico dei due stupratori accusati, Francesco Chiricozzi e Riccardo Licci .
«Uno stupro è uno stupro, abbiamo detto ogni volta che, da destra, si legava
una violenza sessuale al colore della pelle o alla cultura dell’uomo che
l’aveva commessa» scrive Ida Dominijanni a commento dei
fatti di Viterbo. Lo stupro non è appannaggio di nessuna classe sociale,
appartenenza politica o etnia/nazionalità. È «l’ossessione del possesso» e
della proprietà del corpo della donna, che muove gli uomini, a tutte le
latitudini, a stuprare e uccidere le donne. E come le statistiche mostrano da tempo, gli
stupratori nella maggior parte dei casi sono amici, parenti, fidanzati, mariti,
ex, in sostanza uomini con cui le donne si sentivano al sicuro.
Tuttavia, il fatto che i due stupratori fossero due noti fascisti locali va
sottolineato con forza. Non per dimenticare la realtà di fatto per cui nessuna
ideologia politica o comunità di uomini è esente dalla possibilità della
violenza sessuale (sappiamo bene che anche gli uomini di altri orientamenti
politici stuprano le donne), ma per comprendere in che misura il fascismo nello
specifico sia anche una pericolosa ideologia dello stupro.
Ci sono due ragioni fondamentali per cui ritengo che il fascismo come
ideologia giustifichi lo stupro: 1) Il mito fascista del maschio straniero
predatore sessuale è una forma di razzializzazione del sessismo e di «falsa
proiezione». 2) L’odio fascista nei confronti della donna non-conforme
(variamente etichettata come puttana, troia, e così via) è, alla fine dei
conti, apologia dello stupro.
Fascismo e razzializzazione del sessismo
Il fascismo ricorre sempre al binomio straniero stupratore/donna vittima
per alimentare il razzismo nella società. Si tratta di quello che alcune
studiose femministe in Francia (Christelle Hamel, De la racialization
du sexisme au sexisme identitaire, “Migrations Société: Femmes dans la
migration” 17, 2005) e negli Usa (Angela Davis, Donne, Razza e Classe,
Alegre, 2018) hanno chiamato razzializzazione del sessimo, ossia l’idea che il
sessismo sia appannaggio degli immigrati, degli uomini non-occidentali,
musulmani, in una parola: degli uomini razzializzati. Non a caso la bacheca
Facebook di Francesco Chiricozzi mostrava un vecchio manifesto coloniale del
Ventennio in cui un uomo africano abusava sessualmente di una donna bianca. Ai
tempi del colonialismo italiano così come oggi, il messaggio rimane lo stesso:
«Maschio italico, sveglia! Lo straniero, l’immigrato, il musulmano, sono tutti
una minaccia per le tue donne. Tienilo lontano!».
La pubblicazione del manifesto fascista su Facebook, infatti, era corredata
da frasi del tipo «La prossima Pamela, la prossima Desirée potrebbe essere tua
figlia, tua moglie o tua sorella» a rammentare casi ormai noti di cronaca nera
in cui donne italiane sono state violentate da immigrati. Nell’enfatizzare la
nazionalità dello stupratore, ogni volta che si è trattato di uno straniero
piuttosto che di un italiano, i media non hanno fatto altro che portare acqua
al mulino della propaganda di destra che propone l’equazione tra maschio
straniero e minaccia sessuale. E si tratta di un’equazione politicamente
potente in tempi di femonazionalismo e neo-fascismo
rampanti, perché fa leva su un mito che è fortemente radicato nell’inconscio
collettivo e che invita le donne, e la nazione tutta, a guardarsi le spalle
dall’uomo non-nativo. Proprio sul mito dello straniero predatore sessuale le
varie destre, negli ultimi anni, hanno costruito un’immagine di sé come
difensori dei diritti delle donne – non solo le donne italiane ma, in una certa
misura, anche le donne straniere e musulmane, tutte assurte al ruolo di vittime
inerti di fronte alla voracità sessuale del maschio straniero.
Quando un fascista stupra, allora, non si può solo dire che stupra perché è
un uomo impregnato di mascolinità tossica (per quanto questo sia naturalmente
vero). Si deve anche sottolineare la menzogna fondamentale su cui il fascismo
si fonda, ossia l’idea che le donne sarebbero più sicure con i fasci al potere
a difenderle dall’invasore (leggi stupratore) straniero. Si tratta di una
menzogna politica fondamentale perché la «supposta» protezione della donna
rappresenta la mistificazione ultima del fascismo.
È per questa ragione che l’attribuzione da parte fascista del sessismo alle
minoranze razzializzate, non è altro che una «falsa proiezione», per dirla con
Adorno e Horkheimer (Dialettica dell’illuminismo, Einaudi 2010). Una
«falsa proiezione» è quel meccanismo che fa in modo che una comunità (di solito
quella maggioritaria) proietti su una minoranza razzializzata alcuni aspetti
della propria «cultura» che la comunità cerca di occultare anche a se stessa.
In altre parole, se il fascismo attribuisce sessismo e misoginia alla comunità
maschile straniera, lo fa anche per proiettare su quest’ultima il proprio odio
per le donne.
Ma perché le donne sono così importanti per il fascismo?
Il fascismo odia le donne
Per comprendere perché il fascismo si proponga come regime di difesa delle
donne e perché queste sono così importanti, bisogna andare al cuore
dell’ideologia fascista che è fondamentalmente imperniata sulla fedeltà alla
«comunità immaginaria» chiamata nazione. Il fascismo è esaltazione della
nazione, delle fantasmagorie tribali, dei legami di sangue e di stirpe.
Le donne sono centrali per il progetto nazional-fascista perché sono le
riproduttrici biologiche della nazione. Non a caso tutte le ideologie fasciste
insistono non solo sull’importanza della purezza della «razza», intimando
contro le unioni multi-etniche, ma anche sulla fertilità, chiedendo alle donne
«native» di fare più figli. Il fascismo perciò non è interessato alle donne in
quanto soggetti individuali, quanto ai corpi delle donne come incubatori della
«razza» pura che garantiscono continuità alla tribù-nazione. Come ben
scriveva Tamar Pitch «la nazione ha molto a
che fare con le donne, ma niente con la loro libertà»
Perciò tutti i fascismi promuovono campagne contro l’aborto e ambiscono a
dominare il corpo delle donne, negando loro l’autodeterminazione che «si fonda
precisamente sulla possibilità e capacità di disporre [del proprio corpo],
della propria sessualità e fertilità». A spiegarlo è ancora Ida Dominijanni
nello stesso articolo succitato: «L’ossessione del possesso della ‘propria’
donna, unitamente alla visione della donna come sentinella della ‘propria’
stirpe, è organica all’ideologia sovranista delle ‘nuove’ destre montanti». In
altre parole, per il fascista la donna (il suo corpo) è proprietà dell’uomo che
ne dispone a suo piacimento per il «bene» della nazione. È per questa ragione
che il fascismo non può tollerare la sessualità libera che concepisce come
promiscuità pericolosa e le donne che la esprimono come puttane. I testi delle
canzoni degli Hate for Breakfast – la banda musicale di riferimento di Casa Pound–
esprimono in modo cristallino l’odio fascista per le donne. «Donna cesso!
Feticcio sessuale! Prendi più cazzi!». Recita il testo di Donna cesso.
«Sono sessista e ne vado fiero, E tu per me resterai sempre una puttana da
due lire!», insiste un’altra canzone.
Non è goliardia da quattro soldi, è il distillato puro e onesto
dell’ideologia fascista come misoginia all’ennesima potenza. Ed è proprio
questa misoginia profonda che, in ultima analisi, giustifica lo stupro. Il caso
del simpatizzante di CasaPound che urla alla donna Rom con in braccio il suo
bambino «Ti stupro, troia!» è la conseguenza logica della misoginia fascista,
così come lo è il tentativo dei camerati di CasaPound di difendere i due stupratori di Viterbo,
piuttosto che la donna vittima della loro brutalità.
Bisogna chiarire un aspetto centrale. Come ho scritto in precedenza non si
può mai condannare un’intera comunità etnica/«razziale» quando uno dei suoi
membri commette uno stupro. Quest’ultima infatti è composta di individui che
appartengono a classi sociali opposte, che posseggono livelli di educazione,
convinzioni, aspirazioni, orientamenti sessuali troppo diversi tra loro per
consentire generalizzazioni di ogni sorta. Perciò le azioni di uno dei suoi
membri non possono essere attribuite alla collettività nel suo complesso
proprio perché quest’ultima è troppo disomogenea. La nozione stessa di comunità
etnica/«razziale» è, infatti, problematica nella misura in cui gli individui
che la compongono non scelgono di appartenervi.
Per contro, quando è il membro attivo di una comunità politico-ideologica a
commettere uno stupro ci dobbiamo domandare se quella stessa comunità
politico-ideologica – necessariamente più omogenea della comunità
etnica/«razziale», non foss’altro che in ragione delle convinzioni comuni che
ne spingono le componenti individuali all’affiliazione volontaria – non
contenga i germi della misoginia nel suo Dna, se essa semini o meno l’odio per
le donne e se, perciò, possieda o meno gli strumenti teorico-ideologici per
contrastare la misoginia quando questa si presenta tra i suoi ranghi. È qui che
la possibilità di fare di tutta l’erba un fascio nel caso
dello stupro fascista diventa una generalizzazione legittima. Il fascismo non
possiede gli strumenti teorico-ideologici per criticare lo stupro perché incita
all’odio per gli uomini stranieri che concepisce come avversari sul campo del
possesso esclusivo del corpo delle donne; incita all’odio per le donne che
considera fondamentalmente come puttane; e incita all’odio per la loro
sessualità libera e consapevole, che considera una minaccia contro la
riproduzione della nazione.
(Sara R. Farris, Senior Lecturer in Sociologia presso la
Goldsmiths-University of London, è autrice tra l’altro di In the name
of women right (Duke University press).)
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