Della nostra epoca, tra le opere d’arte
destinate a sopravvivere, resterà sicuramente una fotografia scattata in mezzo
al Mediterraneo. È l’immagine che sabato 7 giugno 2014, ventuno minuti dopo le
cinque del pomeriggio, Massimo Sestini ha inquadrato sull’esatta verticale di
un barcone e delle sue centinaia di volti. Tutti con lo sguardo all’insù,
circondati dal mare.
Ecco Hajar, che allora ha 15 anni. Ecco sua sorella Shaza, in viaggio con la figlia di quattro mesi. Ecco Amal, la loro madre, che è riuscita a farle scappare dalla Siria in fiamme. E Ansoumana, partito dal Gambia, 15 anni anni pure lui e per questo soprannominato Bambino. E poi Bakary del Mali, 14 anni. E Ayman, 30 anni, con il figlio Mahmood che di anni ne ha solo quattro. Eccoli quel giorno. E rieccoli oggi, sani e salvi nelle loro nuove vite in Francia, Germania, Italia e Svizzera.
National Geographic ha voluto
raccontare la storia di questa foto straordinaria che è tuttora l’icona
mondiale delle migrazioni. Marco Cattaneo, direttore dell’edizione italiana
della prestigiosa rivista, ha dedicato la copertina e il servizio di apertura
del numero di giugno, in uscita sabato, ai protagonisti di questo ritratto collettivo,
intenso, immediatamente riconoscibile. Volti e voci che incontreremo su National
Geographic anche nel documentario in onda nella Giornata mondiale del
rifugiato, giovedì 20 giugno alle 20.55 (Canale 403 di Sky), con la produzione
di Marco Visalberghi e Doclab, il patrocinio dell’Alto commissariato per i
rifugiati, musiche originali di Massimo Nunzi e la regia di Jesus Garcés
Lambert.
“Where are you? Dimmi dove sei” è il titolo, ispirato allo stesso appello che Massimo Sestini ha rivolto dai social media agli sconosciuti passeggeri del barcone. Sempre il 20 giugno (alle 20.30) il documentario sarà proiettato in contemporanea al Maxxi di Roma: una serata aperta al pubblico, organizzata da National Geographic, in collaborazione con il Museo nazionale delle arti del XXI secolo e Unhcr.
“Where are you? Dimmi dove sei” è il titolo, ispirato allo stesso appello che Massimo Sestini ha rivolto dai social media agli sconosciuti passeggeri del barcone. Sempre il 20 giugno (alle 20.30) il documentario sarà proiettato in contemporanea al Maxxi di Roma: una serata aperta al pubblico, organizzata da National Geographic, in collaborazione con il Museo nazionale delle arti del XXI secolo e Unhcr.
La fotografia, quando è unica e irripetibile, ha la stessa potenza di un’opera d’arte. Eppure nell’immaginazione di un profano sembra uno scatto facile: l’elicottero si ferma in volo sopra il grappolo di sguardi e si ha tutto il tempo necessario per l’inquadratura. Massimo Sestini ascolta. Sta guidando la sua macchina sull’autostrada per Firenze. «Prova a mettere la faccia fuori dal finestrino», dice divertito: «Stiamo andando a 130 all’ora e già così puoi capire. Sul mare l’elicottero viaggia tra i duecento e trecento orari. È un’operazione di soccorso, non puoi chiedere al pilota di fermarsi sopra il barcone, anche perché rischierebbe di farlo rovesciare. Non appena esci dal portellone, però, vieni investito dal vento della velocità e dal flusso violento che scende dal rotore».
National Geographic rivela i retroscena, aneddoti e trucchi che ogni fotografo amatoriale vorrebbe conoscere. È comunque sconsigliabile farsi appendere a trecento all’ora sul mare senza essere professionisti esperti: «Il merito della foto», ammette Sestini, «è per il 50 per cento del comandante Sergio Prato. È lui il pilota dell’elicottero imbarcato sulla nave Carlo Bergamini della Marina militare che ha centrato la posizione esatta per la mia inquadratura».
All’inizio l’appello, rilanciato anche dalla Bbc, è caduto nel vuoto. Fino a quando in una scuola svizzera del Canton Ticino un professore ha chiesto ai suoi studenti di raccontare con un disegno la loro storia personale. Hajar, che oggi ha 20 anni e vive in Germania, voleva descrivere il viaggio che l’ha portata in salvo con tutta la sua famiglia: dai bombardamenti a Homs, la sua città in Siria, alla traversata del Mediterraneo. «Cercavo su Internet le immagini. Quando ho trovato quella barca mi sono detta: sarà una foto come un’altra. Allora», sorride Hajar, «ho provato a zoomare per capirci di più. Fino a quando... mi sono riconosciuta!»
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