Per le aree
interne della Sardegna il Next Generation – Recovery Fund recentemente
approvato dal Governo può rappresentare una straordinaria occasione di
progresso.
Occorre
organizzare alcune questioni di metodo che si proverà a riassumere brevemente:
a) le aree interne non corrispondo né geograficamente né economicamente alle
sole zone centrali della Sardegna; b) le politiche di sviluppo o sono
territoriali o, semplicemente, non sono: tutte le azioni isolazioniste dei
singoli sono destinate al fallimento; c) dal Piano di Rinascita ad oggi si sono
dimostrate – fra le tante – almeno due cose: lo sviluppo per poli non funziona;
lo sviluppo esogeno – quello attratto “da fuori” dal “contributo” – ha fallito e
ha disabituato le comunità a investire sulle proprie capacità; d) sul Recovery
Fund la Sardegna deve invocare l’articolo 13 dello Statuto ovvero la
possibilità istituzionale di contrattare con lo Stato l’intensità dei
finanziamenti e gli interventi da attuare per un “Nuovo Piano di Rinascita” che
abbia caratteristiche differenti rispetto agli interventi degli anni ‘60 e ‘70
su cui occorre una profonda riflessione storica su errori e virtù: per farne
tesoro; e) bisogna evitare come la peste la “sommatoria di progetti” che
giacevano da tempo immemore nei cassetti degli assessorati, ma privilegiare i
Piani di Sviluppo Territoriali. Le aree interne della Sardegna – con le
legittime differenziazioni territoriali – si devono pensare come una cosa sola:
la frammentazione della rivendicazione rischierebbe di far fallire l’esigenza
indifferibile di attrarre interventi che le facciano uscire da una condizione
di sostanziale sottosviluppo.
Che fare,
allora?
Provare ad
organizzare una proposta che abbia alcuni denominatori comuni che andrebbero
progettati esaltando le straordinarie diversità territoriali: rivendicazione
unitaria, azioni diversificate.
La prima
cosa da rivendicare con forza, rispolverando la parola “resistenza” in luogo
dell’abusata “resilienza” (presente anche nel Generation Next), è la garanzia
alle cittadine e ai cittadini delle aree interne i diritti costituzionali fondamentali:
alla democrazia, al lavoro, all’istruzione, alla salute e alla mobilità e alle
reti.
“Una scuola
in ogni paese” non è uno slogan, ma un tassello imprescindibile di un piano di
sviluppo locale.
“Un medico
di famiglia in ogni paese” non è uno slogan, ma la condizione imprescindibile
che garantisce ai cittadini di Esterzili di avere gli stessi diritti alle cure
degli abitanti di Cagliari: rafforzando le “comunità della salute” sui livelli
territoriali e migliorando la qualità nei piccoli ospedali e dell’emergenza-urgenza.
E poi le
politiche di sviluppo garantendo ulteriori diritti: alla casa, alla terra, alla
rete e al digitale, al benessere familiare, a una defiscalizzazione che renda
conveniente vivere e investire nei paesi della aree interne.
Nei paesi
delle aree interne esiste uno straordinario patrimonio ambientale,
architettonico, storico-culturale e di beni comuni che andrebbe non
“valorizzato” o “sfruttato” – per restare al sillabario del passato – ma
vissuto davvero dalle comunità per farne uno strumento di identità e di
economia pulita.
Per
combattere lo spopolamento e la desertificazione umana, però, non basta vantare
diritti, ma anche praticare doveri: rendere davvero accoglienti le comunità,
predisporsi al confronto e al cambiamento, uscire dal “paese-pozzanghera” e
trasformarlo in “paese-ruscello” dove il ricambio di acqua e di umanità
permette una vita migliore per sé e per gli altri.
A ancora:
imparare a lavorare con gli altri, con chi ti sta vicino, con le comunità
confinanti, con un territorio più ampio dove ognuno non basta a se stesso, ma
si afferma dentro un quadro collettivo. Solo se si ricomincia a ragionare come
“città di paesi” le politiche di progresso possono avere una possibilità di
successo, segnare una via di futuro possibile sostituendo l’estetica della
competizione con l’etica della collaborazione.
La scrittura
di un buon piano di azione locale ha bisogno di tutti questi elementi.
Ed è
interesse della Sardegna tutta, a partire dalle città, avere zone interne vive
e vitali, culturalmente dinamiche, produttivamente innovative a partire da un
ritorno acculturato alla terra e alle produzioni, paesi abitati e collegati con
le aree urbane, capaci di produrre beni e servizi essenziali per tutta la
collettività sarda: dove ogni comunità sia una stella di una costellazione, un
tassello determinante di un mosaico la cui organizzazione si disvela nello
scambio e non nella privazione.
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