“Questo è il mondo che il padrone ha
costruito e in cui ci costringe a vivere. E’ un mondo in cui una
sporca scienza, fatta tutta a misura del suo potere, non assicura meno lavoro,
una vita migliore per tutti, ma solo metodi di controllo, di repressione, di
massacro. Il mondo del padrone va in rovina, e allora ecco l’imbroglio
ecologico: il tentativo di far credere che siamo tutti nella stessa barca e
quindi dobbiamo unirci tutti per salvarla.”
Iniziava così l’editoriale del numero 0
in attesa di autorizzazione della rivista rosso vivo, creata e
diretta da Dario Paccino (vedi nota finale). Era il marzo del 1974. Il mondo è
nel pieno della crisi petrolifera e i fautori dell’energia nucleare pensano sia
il momento giusto per dare la spinta definitiva alla produzione di energia
dall’atomo, decantandone pregi e nascondendo difetti e pericoli, e creando
l’illusione di lì a poco si sarebbe arrivati alla produzione di energia
da fusione nucleare, ancora oggi lontana dall’arrivare.
In Italia, nel 1974, sono in funzione 3 centrali elettronucleari (Latina, Sessa Aurunca
e Trino Vercellese), una in costruzione (Caorso), e si stava studiano il primo
Piano Energetico Nazionale che avrebbe proposto la costruzione di varie nuove
centrali (a inizio anni 80 sarebbe iniziata la costruzione della centrale di
Montalto di Castro).
Il movimento contro il nucleare civile (da sempre
indissolubilmente legato a doppio filo al nucleare militare) era una roba quasi
di nicchia, limitata a qualche ambientalista più o meno illuminato e agli
epigoni dei movimenti per il disarmo nucleare (Manifesto di Russell-Einstein), e
agli ambienti della sinistra extraparlamentare, in particolare dell’area di
Lotta Continua e dell’Autonomia Operaia. In questo clima nasce il movimento
antinucleare italiano, in sintonia con le lotte che si andavano diffondendo
soprattutto negli USA, nei Paesi Baschi, in Francia e Germania.
Questa lunga premessa per dire che se
oggi (dopo oltre 30 anni dal referendum che mise fine alla produzione
di energia nucleare in Italia) ci troviamo a discutere sul come
e dove sistemare le scorie nucleari è perché
sono stati in molti a credere nella bontà della produzione di energia in quella
maniera. Molti lo sono ancora, ma “si indignano” quando si parla di scorie.
Alcuni, ovvio, in maniera ipocrita, populista e strumentale; altri proprio
perché stupidamente non riescono a collegare le due cose: la produzione di
scorie e la necessità di smaltirle. La questione riguarda molte altre
produzioni, ma nel caso del nucleare la dissociazione appare lampante ed
abnorme.
Ecco perché sono più che diffidente
contro la piega che stanno prendendo le battaglie contro le scorie, non solo
caratterizzate dal classico “non nel mio cortile” ma apparentemente ecumeniche,
o addirittura guidate da forze politiche che non hanno mai ripudiato il
nucleare. Pur non avendo per principio pregiudiziali contro le alleanze
tattiche, in questo caso mi è difficile superare la diffidenza.
In Sardegna, dove sto io e dove dieci
anni ci fu un vittorioso referendum regionale in proposito, lo schieramento
sembra quasi universale; e l’argomento principale è che “non possiamo prenderci anche le scorie perché abbiamo un sacco di
servitù militari“.
Ecco, provocatoriamente,
penso che farei benissimo cambio.
Se può avere un qualche senso che venga
cercato (e trovato) un sito sicuro per le scorie nucleari che abbiamo prodotto
40 anni fa, e che ancora produciamo per scopi sanitari e diagnostici (sperando
di poter fare a meno anche di queste); e se può essere che quello più sicuro
sia proprio in Sardegna (non lo credo, non fosse altro per i problemi
legati al trasporto, ma non è per “principio” che lo escludo); ecco, se tutto
questo può essere, so che invece non ha alcun senso tenerci le
basi militari (a prescindere dal fatto che vi si utilizzano
prodotti ugualmente micidiali, e con ancor meno controlli).
Non ha senso né qui né da altre parti.
Il mondo non ci perderebbe niente (anzi) se venissero smantellate (senza
scordare che bisogna smaltire, anche da lì, un bel po’ di scorie, e che le
bonifiche non vengono mai fatte, né in campo civile né in campo militare).
Quindi non mi convince il rifiuto delle scorie da parte di chi accetta le
basi, di chi fino ieri (oggi è domani non so) auspicava la ripresa della
produzione di energia elettrica dal nucleare.
Se la mobilitazione ecumenica e
trasversale che vediamo sulla questione scorie ci fosse contro le servitù
militari, magari le battaglie contro le basi avrebbero un peso diverso e
vincente.
Invece, vediamo molti degli oppositori
alle scorie inchinarsi ancora oggi ai nuovi progetti dei vari poteri militari,
o degli inquinatori e devastatori “civili” di vario genere (vedi proprio questi
giorni Decimomannu e Portoscuso).
Ho fatto parte di un comitato antinucleare
oltre 40 anni fa, prima che l’incidente di Chernobyl rendesse evidente a tutti
l’illusione della sicurezza della produzione di energia dalla fissione
dell’atomo. E siamo sempre stati convinti non fosse una battaglia locale, ma
internazionalista e anticapitalista. Agire localmente senza pensare
globalmente è, non solo disdicevole dal punto di vista etico,
ma poco efficace dal punto di vista pratico.
Ho già espresso da qualche parte il
sospetto abbiano voluto rivelare la mappa delle “aree potenzialmente idonee” in
maniera e tempi da accentuare la contrapposizione fra le varie aree indicate,
dividendo e indebolendo il movimento contro il nucleare. Magari col rischio di
portare la situazione ad uno stallo che “giustifichi” l’intervento dall’alto o
la “sparizione” delle scorie in qualche luogo fuori dall’Italia o in fondo al
mare. Penso che la battaglia da fare ora (questa si unificante), sia proprio
quella di rifiutare le scadenze date, e permettere un reale e consapevole
dibattito.
In bottega sull’argomento:
http://www.labottegadelbarbieri.org/scorie-e-fossili-per-una-visione-alternativa/
http://www.labottegadelbarbieri.org/toh-chi-si-rivede-il-nucleare-incivile/
Nota Su Dario Paccino e le
sue battaglie può raccontarci molto il tenutario di questo Blog, che lo ha
conosciuto quando ha fatto parte del gruppo, dentro Lotta Continua, che si
occupava di scienza. E che, mentre sempre a Roma c’era chi “mangiava
tristemente pane e cicoria… lui, appassionato di Jazz, cresceva a “pane e Chick
Corea” e a “pane e no-scoria”.
In Bottega, di Dario Paccino, se n’è
parlato qui:
http://www.labottegadelbarbieri.org/dario-paccino-un-ecologo-inquieto/
http://www.labottegadelbarbieri.org/un-ricordo-di-dario-paccino/
http://www.labottegadelbarbieri.org/ricordando-dario-paccino-2/
http://www.labottegadelbarbieri.org/ricordando-dario-paccino-3/
Su quanto accennato a proposito di
Decimomannu:
e di Portoscuso/Portovesme: https://www.cagliaripad.it/517003/giganti-banca-sos-alimentare-e-culturale-contro-fabbrica-portovesme-tumori-in-aumento-a-causa-dei-fumi-nocivi/
Ancora su Paccino:
https://lautoradio.net/www/la-nicchia-ecologica-2×01-dario-paccino-pt-2/
http://www.poliscritture.it/2020/10/27/inseguimenti-di-realta/#more-11339
da qui
Nessun commento:
Posta un commento