Il mondo d’oggi è già un mondo privo di uccelli, anche se ancora se ne vedono, o se ne immaginano, fuori dalle gabbie e dalle voliere, perché abbiamo rotto con loro quei rapporti che il mito, l’analogia e il simbolo rendevano possibili. Il deicidio dei deicidii è l’uccisione di Cibele; c’è dappertutto il suo sangue. Se agli uccelli occorreva per sopravvivere al fiato umano una piramide di occhi divini dove nidificare, non più trovarla li ha uccisi. Ora il piccolo allarme suona in un cielo svaligiato, le leghe internazionali per proteggere gli uccelli non risusciteranno il linguaggio perduto che li teneva su.
Da molto tempo il cielo si spopola di gente alata:
la coincidenza con quel che chiamiamo Progresso della Ragione è interessante.
Il pensiero è più forte dei veleni e degli spari, e nel pensiero che si
accanisce a distruggere le verità oscure e paradossali, le sapienze rivelate e
le realtà immaginate, privando la conoscenza delle cose che non possono esser
conosciute (la sua bevanda dell’immortalità) tutti gli abitanti del cielo,
visibili e invisibili, sono tacitamente condannati a una morte piena. Il cielo
umano si svuota di vita e si riempie di morte: metalli di Seth, motori
distruttori, fumi d’inferno, concerti spaventosi, funghi di Abaddon, offese a tutto,
senza fine, finché non sarà chiusa questa officina di morte, uomo.
Si direbbe che uno spazio dove hanno cessato di
muoversi i piedi dei morti, di risiedere gli archetipi, i grandi Adami e
Purusha, le parole e le anime sacre prima d’incarnarsi, ai nidi, ai voli, ai
piumaggi, alle ali, ai migratori, ai rapaci ripugni. Come abbia fatto la fionda
umana a raggiungere questi enti strani, che parevano fuori di qualunque tiro,
resta misterioso; certo la cosa è cominciata molto tempo fa, forse ne rimane
traccia soltanto in qualche mito, come in quello della torre che cerca
disperatamente di essere bab-ili, porta di Dio. Ogni tentativo di costruire una
torre di Babele riceve dall’alto una risposta violenta. Siamo noi a colpire gli
uccelli a morte per costruire l’ultima torre, o la loro morte è già una
risposta ai lavori in corso per costruirla?
Se un cacciatore tira a un’ombra che vola e il
cane gli porta, vergognoso, l’aureola di un cherubino bruciacchiata o un
sandalo alato sforacchiato dai suoi colpi, forse getterà il fucile. Ma succede
qualcosa di molto più strano: ai nostri piedi di cacciatori di metafisiche, di
miticidi feroci, di spremitori dell’Universo, di lordatori del Sacro, di
costruttori di torri maledette, il cielo sta buttando, straziati da varie agonie,
tutti i portatori di ali classificati nei repertori ornitologici. «Volevamo
colpire a morte l’Irrazionale, non loro!». Eppure, invece di fantasmi, cadono
piumaggi autentici, a una morte indiretta data con la mente corrisponde una
strage vera. Esistono, in cielo e in terra, più simpatie, da cui dipendono la
vita e la morte, di quante ne possiamo immaginare. Dovrebbe essere la mente
miticida, la mente che non comprende le simpatie cosmiche, a gettare spaventata
il fucile.
Libri, stile di scrittura e di vita,
conversazioni, viaggi, politica, sono già mondi completamente privi di uccelli.
E così l’arte, il lavoro, le città, le religioni… Anche nei sogni si sono fatti
rari. Scomparso l’ultimo uccello non impagliato, non ingabbiato, non
impaginato, avremo il mondo illimitatamente razionale verso il quale ci spinge
la nostra impazienza di vivere privi di qualsiasi ragione di vivere.
Un mondo clinicamente morto. Ma in questo
insuperabile deserto un superstite occhio invisibile – ai nostri cacciatori
potrebbe esserne sfuggito qualcuno – si divertirebbe a ripescare, tra le
esalazioni delle pattumiere razionaliste, i giornali dove i trionfi della vita
sulla morte e della luce sulle tenebre erano dedotti dalle percentuali della
Produzione e del Reddito, e la felicità pubblica, il bene privato e il Bene
assoluto fatti dipendere dallo sviluppo del sistema industriale e dall’aumento
di potenza tecnologica.
«Dobbiamo proteggere gli uccelli perché ci sono
utili». Li perderete, perché il riconoscimento della loro utilità non è che uno
dei raggi del terribile sole mentale che li stermina. Anche il candido
ornitofilo utilitario ha un alito che li fa cascare giù morti. L’utilità è
Medusa o Megera. Giustamente i mostri ridono delle dimostrazioni scientifiche
di utilità.
Bisognerebbe saper vedere, ancora, nell’usignolo
Filomela, nella rondine Procne, nel pettirosso Iti, nell’upupa Tereo, e le
falangi angeliche dai vetri degli squallori urbani; sentire le potenze
inferiori che brucano, come i morti i loro lenzuoli, i tappeti di luce sopra le
notti di spavento delle città. Avremmo bisogno ancora di un cuore arcaico, di
un cuore comunicante, di un cuore analfabeta; ce l’hanno agghiacciato.
Le campagne si fanno silenziose; ma il loro
silenzio, che comincia ad angosciare anche i meno sensibili, non è che la
fulminea risposta, il riflesso drammatico del silenzio che si è fatto nella
mente, non più portatrice e rinnovatrice dei miti che ci scampavano da una vita
simile alla morte. Forse gli uccelli sanno che il filosofo ormai incapace di trovare
la verità negli enigmi e nelle figure, il letterato privo dei quattro elementi,
il tecnocrate e il politico che non dovrebbero essere mai nati, sono la faccia
profonda della distruzione che li ha raggiunti. Eccoli tutti neri di scuola,
nessuno più capace di capire. Vale infinite tonnellate di veleni sparsi, questa
prigione mentale dove sono persi come verità viventi i grandi apologhi degli
animali parlanti, la storia del falco e della colomba del Mahabharata, e
perfino il chiaro e sottile, veramente razionale, discorso anticartesiano di La
Fontaine a Madame de la Sablière.
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