Lettera a un amico rapito - Mauro Armanino
Caro Gigi,
quando abbiamo avuto l’incidente d’auto in quel di Padova, siamo stati per
per qualche giorno nello stesso ospedale. Mi avevi fatto pervenire un biglietto
scritto a mano, nella fonetica del ‘nostro’ kulango della
Costa d’Avorio, chiedendo scusa per l’accaduto. Quel camion che ha tagliato la
strada all’auto, l’asfalto bagnato e la macchina schizzata nell’altra corsia,
dove sopraggiungeva un furgone e lo scontro quasi frontale. Eri stato salvato
per un gioco del destino perché guidavi tu e mi stavi accompagnando alla
stazione ferroviaria, con la consueta disponibilità.
Chissà perché mi è tornato in mente questo particolare, a pochi passi dal
secondo anniversario dal tuo sequestro ad opera di sconosciuti, nella notte del
17 settembre. Sarà forse a causa di quel miracolo chirurgico che ha
ricostruito le parti lese del tuo corpo, i ferri nelle ossa e la forzata
immobilità che ti aveva stranamente preparato all’attuale prigionia. Ora i
ferri sono altri e somigliano a chiodi infitti nei polsi e nei piedi, il
costato già era ferito dagli anni passati assieme nella stessa missione a
Bondoukou. Quel giorno mi avei prestato la macchina, una Fiat Panda,
che con malcelata fierezza mantenevi pulita e funzionale. Al ritorno dalla
comunità dove in seguito saresti stato il responsabile, ebbi un incidente che
ti sottrasse l’auto per sempre. Alla vista della rovina dell’auto a cui tenevi
tanto, il tuo unico commento fu nei confronti della mia salute con un ‘se
non mi ero fatto male’.
Chissà perché penso a quest’altro particolare quando ti sono venuto a
cercare all’aeroporto, un atipico sabato pomeriggio di inizio settembre.
Tornavano in contemporanea centinaia di pellegrini dalla Mecca ed è a loro che
si dava la priorità al momento di uscire dall’aeroporto Diori Hamani di Niamey.
Nell’attesa del tuo aereo ripensavo che al mio primo arrivo nel paese, nel mese
di aprile del 2011, eri tu ad accogliermi ed accompagnarmi nella casa dove
abito da allora. La tua camera, i confratelli sorridendo ti prendevano a volte
in giro, era la numero due.
Lì lasciavi le tue cose nell’armadio metallico per le visite quindicinali,
destinate all’acquisto di quanto necessario per vivere con dignità a Bomoanga,
a oltre 130 kilometri da Niamey, in zona semidesertica. Portavi sempre
notizie dal profondo, dai poveri contadini e delle piccole e fragili speranze
che cercaci di condividere attraverso progetti di attento umanesimo integrale.
Avevi dormito in quella camera per l’ultima sera prima di partire per la tua
zona e, assieme ad alcuni amici, avevamo cenato nel ristorante italiano di
Niamey, il noto ‘Pilier’. L’ambasciatore ci aveva offerto quella che,
commentando con con lui ed altri, sarebbe stata l’ultima nostra cena prima del
dramma.
In quella cena c’erano tutti. I poveri, i bambini dei quali ti occupavi, la
piccola deceduta al ‘Bambin Gesù’ di Roma in un disperato tentativo di
salvarla, gli animatori, le famiglie, i giovani che aiutavi, assieme ad altri,
per continuare gli studi o la formazione professionale. Forse c’era tra loro
anche un Giuda. C’è sempre da qualche parte qualcuno che tradisce gli amici,
che avrebbe informato, coscientemente o meno, i rapitori sul tuo ritorno e le
tue abitudini serali. Era notte e coloro che ti avrebbero poi rapito
sapevano che non fermavi subito la porta della camera. Veniva gente per cercare
medicine per le urgenze che, in un villaggio sperduto e senza servizi sociali,
non mancano mai. Sapevano che c’era una luce e una porta che si apriva con il
sorriso di una speranza ormai a portata di mano.
L’ultima notte a Bomoanga, che neppure si trova nelle mappe più sofisticate
di Google, ultimo o quasi di piccoli borghi senza futuro se non quello che lui
e la comunità cristiana cercavano di offrire. Una scuola media, un possibile
convitto e soprattutto la necessità di offrire ragioni di rimanere sul posto
con dignità. Era notte quando ti hanno portato via e da allora sono
passati due anni di tenebre solo interrotte da un breve messaggio video il 24
marzo scorso, primo e per ora unico segno di vita. Ci sono state testimonianze,
racconti, ipotesi, ricerche e forse trattative, sappiamo poco di tutto questo.
Caro Gigi,
sai bene che continuo a mandare le mie lettere settimanali al tuo indirizzo
mail e che in camera si trovano alcune camicie che ti sono state regalate per
la festa della comunità. Sull’altare dove anche tu celebravi c’è da allora il
tipo di stoffa che avevi creato per l’inaugurazione della Basilica dei poveri.
La tua macchina si trova nello stesso garage, pronta per continuare il viaggio.
Niamey 13 settembre 2020
La sabbia e la libertà di Pierluigi - Mauro
Armanino
La sabbia la sa lunga. Ha i suoi tempi che non quadrano con le comuni
attese dei mortali, legati come sono allo scorrere dei giorni e delle
ore. Lei sa quando è il momento di muovere la storia. Un
cambio di governo, i militari al comando, trattative in atto probabilmente in
segreto, un ruolo probabile di regia francese ed ecco che accade lo scambio.
Prigionieri di sabbia per prigionieri di sabbia.
Una libertà che arriva di notte, come il suo rapimento e d’improvviso si
apre un futuro rimasto imbavagliato per anni. Persi, trovati,
abbandonati, arrestati, deportati, coltivati e rimasti sospesi per anni, gli
anni. In cambio di altri prigionieri, innocenti o assassini di altri
per la loro libertà.
C’è sempre un prezzo da pagare. Pierluigi tornerà libero col tempo
e con la sabbia che in questi due anni l’ha fedelmente accompagnato come non
mai nella sua vita. Potrà muoversi, pensare, ‘sguardare’ la sua vita
come non mai prima. Fragile e immensa e vulnerabile come un grembo che si
lascia attraversare da uno sconosciuto. Una vita da imparare di nuovo, come un
alfabeto scritto sulla sabbia le cui lettere il vento sposta danzando.
Scrivere la parola libertà è pur sempre l’avventura più grande che possa
accadere nella storia di un uomo. Poi, in silenzio, le lettere di
questa parola si cancelleranno perché sono anch’esse di sabbia. E allora
Pierluigi, ostinato come sempre, aprirà la sua bocca e gli occhi, ad un
sorriso.
Niamey, 8 ottobre 2020
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