Sull'ultima email che mi ha spedito Sbilanciamoci trovo un appello di Luciana Castellina a "connettere una rete di ong, associazioni, scienziati, professionisti di alto livello" per realizzare un "serio progetto ambientalista" per la riconversione ecologica dell'economia "indicando i tantissimi settori di nuova occupazione che dovranno svilupparsi come risultato del nuovo auspicabile modello di società per il quale ci battiamo".
L'obiettivo
di questo appello è quello di, scrive Luciana Castellina, "aiutare il
sindacato a sottrarsi dal terribile ricatto cui è sottoposto e sempre più lo
sarà: quello imposto dalla inevitabile riduzione di occupazione che ogni serio
progetto ambientalista è destinato a produrre". E sottolinea
giustamente che "è compito di tutti noi sostenere le vittime del mutamento
pur necessario a sottrarsi al ricatto e a passare da una perdente posizione
difensiva all’offensiva".
Tutto giusto, tutto condivisibile.
Tranne,
a mio parere, quando Luciana Castellina parla di "giustificata
resistenza dei lavoratori (il “meglio morti per cancro che di fame” degli
operai Italsider di Taranto) a chi – ambientalisti poco consapevoli –
insistono per drastiche chiusure di stabilimenti senza preoccuparsi per le
conseguenze sociali che possono derivarne”.
Giusto
per precisare: la chiusura è stata chiesta non da "ambientalisti poco
consapevoli" ma dalla magistratura sulla base di un'ordinanza di
sequestro penale senza facoltà d'uso del luglio 2012, basata su due
corpose perizie, una chimica e una epidemiologica, e in obbedienza alla legge e
alla tutela della salute pubblica. I reati più gravi contestati sono "disastro
ambientale", "avvelentamento delle sostanze alimentari"
oltre alla "omissione dolosa di cautele per la sicurezza sul lavoro".
Il processo ILVA è ancora in corso perché è un maxi-processo. Ha generato
un terremoto anche nella sinistra e per questo se ne parla poco e di
malavoglia.
Ho letto
più volte quella frase, incredulo: “Meglio morti per cancro che di
fame”. E' attribuita a "operai Italsider di Taranto" che non
esistono più. Mi permetto di osservare che nessuno di loro è morto di fame.
Tanti si sono invece ammalati di cancro.
Nelle 282
pagine della perizia epidemiologica depositata nel 2012 da Annibale
Biggeri, Maria Triassi e Francesco Forastiere presso il Tribunale di Taranto, i
numeri sono terribili. La perizia dedica una parte dell'analisi agli ex operai
dello stabilimento siderurgico. L’analisi “dei lavoratori che hanno prestato
servizio presso l’impianto siderurgico negli anni ’70-’90 – allora Italsider
acquisita Gruppo Riva nel 1995 e denominata Ilva, ndr – con la qualifica di
operaio ha mostrato un eccesso di mortalità per patologia tumorale (+11%), in
particolare per tumore dello stomaco (+107), della pleura (+71%), della
prostata (+50) e della vescica (+69%). Tra le malattie non tumorali sono
risultate in eccesso le malattie neurologiche (+64%) e le malattie
cardiache (+14%). I lavoratori con la qualifica di impiegato hanno
presentato eccessi di mortalità per tumore della pleura (+135%) e
dell’encefalo (+111%). Il quadro di compromissione dello stato di salute
degli operai della industria siderurgica è confermato dall’analisi dei ricoveri
ospedalieri con eccessi di ricoveri per cause tumorali, cardiovascolari
e respiratorie”. Tutte parole scritte dai periti.
Questo
stralcio della perizia che ho riportato dovrebbe far riflettere su quanta leggerezza, irresponsabilità e ignoranza c'è
in chi pronuncia e rilancia la rozza e insensata frase: “Meglio morti per cancro che di fame”. Che mi fa pensare a “meglio
schiavi che morti di fame”. Con questa logica Spartaco non
sarebbe esistito. E neanche Marx. Perché se manca il valore supremo
della difesa della propria dignità, cade qualunque senso della lotta per un
futuro migliore. Si vende la propria vita. Anzi, la si svende. E così dicendo
la classe operaia, invece di diventare il soggetto che, liberando se stessa,
libera la società intera, diventa una corporazione che non libera né se stessa
né la società intera. La fabbrica diventa la fabbrica lager di
Luigi Nono, in cui si barattano salari in cambio di una riduzione della
speranza di vita. Denaro in cambio di morte. La plastica raffigurazione
dell'alienazione operaia, descritta da Marx nei suoi Manoscritti
economico-filosofici.
Qualcuno
doveva dirle queste cose, e me ne assumo la responsabilità: la classe
operaia a Taranto non ha fatto in passato un solo sciopero per l'ambiente e la
salute. Questo è il dramma. E i bambini di Taranto ne hanno pagato in
qualche modo le conseguenze: +54% di tumori rispetto al dato regionale. Ne
hanno pagato le conseguenze anche con una riduzione del quoziente di
intelligenza: 10-15 punti di QI in meno per i bambini sotto i camini rispetto
ai meno esposti. E anche le loro mamme ne hanno pagato le conseguenze
ritrovandosi con la diossina nel latte materno e il naftalene nelle urine. Ne
hanno pagato le conseguenze economiche gli allevatori, con pecore e capre che bioaccumulavano
diossina, e i mitilicoltori, che hanno visto distrutte le loro cozze, zeppe di
diossina. Certo la colpa è sempre dei padroni, come si diceva una volta, e non
degli operai. Ma gli scioperi per tutelare la salute e l'ambiente li dovevano
fare gli operai, e non i padroni. E non sono stati fatti. Questa è la scomoda
verità.
E l'altra
scomoda verità è la scoperta della diossina a
Taranto e in Italia, finché non lo abbiamo fatto noi, i "poco
consapevoli". Eppure Taranto era la principale fonte di diossina in Italia
(90,3%) e nella civile Europa (8,8%). La cosa incredibile è che questo dato
l'abbiamo scoperto - mentre i pensatoi della sinistra e del mondo ambientalista
mainstream erano accupati a fare altro - sul database europeo Eper degli
inquinanti, che era pubblico. Che ci fosse una abnorne sorgente di diossina a
Taranto è un dato che fu pubblicato su PeaceLink nel 2005, mentre tutta la
sinistra e tutto il movimento ambientalista - da Legambiente a Greenpeace - lo
ignorava completamente. Mi sembra una cosa così assurda che è imbarazzante
perfino da raccontare.
E
allora parlare di "ambientalisti poco consapevoli", in un
appello lanciato per di più da una compagna intelligente e stimata come Luciana
Castellina, mi sembra veramente stonato. Anche perché quegli ambientalisti
"poco consapevoli" hanno prodotto sulla riconversione dell'ILVA più
ricerche e più proposte di quante non ne abbiano prodotte quelli
"consapevoli". Ma probabilmente chi lancia appelli non ha il tempo di
leggere tutto.
In
fabbrica a Taranto la consapevolezza è stata talmente limitata che non ricordo
- sarà un mio limite - nessuna lotta seria di applicazione nell'ILVA dei
diritti alla salute dei lavoratori sanciti dalla 626 del
1994, che
riservava una parte importante agli agenti cancerogeni. Si sono fatte invece le
lotte per i "benefici amianto" (un ossimoro sindacale che ho visto
campeggiare in comunicati, volantini e manifesti).
A
Taranto i lavoratori che morivano di cancro rendevano ricchi mogli e figli che
incassavano i risarcimenti, e rimanevano in silenzio pur di non ingaggiare
controversie legali con l'azienda.
E si è
andati avanti così senza esercitare i diritti, senza neppure conoscerli e
studiarli. Perché se quei diritti fossero stati esercitati appieno, con reale
conoscenza e consapevolezza, il disastro sanitario fra i lavoratori e i
cittadini non sarebbe arrivato al punto in cui è arrivato.
Un'altra scomoda verità è che è stata la magistratura e non
il sindacato o la sinistra a decretare la fine di Emilio Riva, che ha concluso i
suoi giorni agli arresti domiciliari.
Un
giorno portai i giornalisti di Report a intervistare un operaio ILVA, malato di
cancro. Era stato iscritto alla FIOM. Gli chiesi se nel consiglio di fabbrica
avessero letto la 626 nella parte sugli agenti cancerogeni. E lui mi rispose:
"Era troppo lunga e non arrivanno a quel punto".
Mi
stupisco che a leggerla fino a quel punto non siano stati coloro che - nel
sindacato, nella sinistra - aveva il dovere, anche morale, di farlo. Sono stati
lasciati soli questi operai.
Quell'operaio
ci disse alla fine dell'intervista: "Se avessi saputo tutto questo, avrei
preferito vendere le melanzane".
Il
cokeria, in otto ore di lavoro, gli operai negli anni Novanta hanno respirato
una quantità di benzo(a)pirene cancerogeno equivalente anche a 7.000 sigarette
per turno. E ad oggi nessuno - tranne gli ambientalisti "poco
consapevoli" - ha chiesto di fare un'indagine epidemiologica mirata sugli
operai della cokeria. Se siano a casa con i loro nipotini o nel cimitero San
Brunone non sembra interessare nessuno fra i "consapevoli". C'è un
buco terribile di conoscenza, eppure su dispone di tutte le cartelle sanitarie
dei lavoratori dagli anni Sessanta a oggi. Un patrimonio di dati incredibile.
Ma sono in uno scantinato a marcire.
E' un
passato che si preferisce tenere nell'ombra, fa paura, ci sono le
responsabilità di tutti, è una stanza buia degli orrori, che dever rimanere
chiusa.
I
"consapevoli" hanno dimenticato. Ma io ricordo Luigi Nono e il suo
grido di dolore nella sua opera "La
fabbrica illuminata". Riferita all'Italsider.
La
fabbrica a Taranto, come a Genova, è stata esattamente quella descritta
nell'opera di Luigi Nono, luogo della perdita dell'umanità.
Si è
consentito che la fabbrica fosse un luogo corporativo di scambio fra
stipendi e danno sanitario, un luogo della manipolazione psicologica in cui
veniva esercitato un ricatto esistenziale tale da far rinunciare ai valori più
alti che dovrebbero portare alla liberazione di tutti.
Dalla
fabbrica a Taranto non è mai partito alcun progetto di riscatto e di
trasformazione, men che meno di liberazione sociale. Chi scrive ha fatto parte
del movimento che doveva cambiare la società, con tanto di tessera alla sezione
Togliatti del PCI. In sezione c'erano operai e non ho mai sentito parlare di
salute in fabbrica e di tutela dell'ambiente. E noi, che dovevamo essere gli
intellettuali di una società nuova, eravamo infarciti di una cultura ideologica
che non sapeva riconoscere le sostanze cancerogene che invece stavano studiando
Giulio Maccacaro e Lorenzo Tomatis.
Queste
cose dobbiamo dircele perché pensano come un macigno sulla nostra coscienza.
Purtroppo
gli operai, che dovevano essere le sentinelle avanzate per proteggere la salute
dei bambini, sono stati i carnefici di se stessi. E li abbiamo lasciati soli,
senza la cosa più preziosa: la conoscenza. Loro - mentre noi discutevamo
appassionatamente se fra "marxismo" e "leninismo" ci dovesse
essere il trattino o no - hanno camminato sulle polveri rosa, pregne di
diossina, senza neppure saperlo. E adesso quelle polveri hanno contaminato
tutto il territorio. Ma la scoperta della diossina a Taranto l'hanno fatta
proprio i "poco consapevoli" mentre i "consapevoli" hanno
vissuto senza neppure saperlo. E senza mai parlarne nei giornali nazionali.
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