martedì 13 ottobre 2020

La truffa del TAV

 La truffa del TAV: anche l’Europa lo sa - Angelo Tartaglia

 

Nel giugno scorso la Corte dei Conti Europea (European Court of Auditors – ECA) pubblicò una propria valutazione critica su otto “grandi opere” cofinanziate dall’Unione. Ne abbiamo a suo tempo già parlato (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2020/06/23/conti-fatti-e-misfatti/). Ora è stato possibile ottenere in via ufficiale un compendio del rapporto redatto da uno dei consulenti della Corte, in riferimento specificamente alla Torino-Lione (http://www.presidioeuropa.net/blog/wp-content/uploads/2020/10/YCNote-CO2-it..1.pdf). Il rapporto è molto interessante perché presenta fatti e argomenti che hanno ispirato quanto poi ECA ha espresso nel suo documento. Di per sé le argomentazioni dell’autore (il prof. Yves Crozet dell’università di Lione) sono state precedentemente proposte, in una forma o nell’altra, da molti tecnici che si sono occupati della ormai lunga vicenda della nuova linea, ma ora esse sono inclusi in un documento redatto per un organismo ufficiale del complesso edificio istituzionale dell’Unione Europea.

Venendo al dunque e in estrema sintesi, risulta che dati e previsioni utilizzati dai proponenti la Torino-Lione per sostenere l’opera sono stati sistematicamente “gonfiati” (per usare un eufemismo gentile, per altro presente nel rapporto Crozet) al fine di convincere i vertici istituzionali (che forse in molti casi risultavano già inclini a lasciarsi convincere) e l’opinione pubblica dell’utilità, se non addirittura della necessità, di procedere al finanziamento dei lavori della nuova linea (in verità solo del tunnel di base).

Il fattore portante per giustificare un’infrastruttura di trasporto è ovviamente il traffico presente lungo la direttrice cui l’opera si riferisce insieme con le aspettative di futura evoluzione del medesimo. Nel caso della Torino-Lione, a suo tempo, i proponenti presentarono delle “previsioni” relative alla domanda di trasporto merci per ferrovia tra Italia e Francia lungo l’asse Torino-Lione che indicavano, per il 2035, un flusso, solo ferroviario, pari a più di 41 milioni di tonnellate all’anno. Quella cifra corrisponde grosso modo all’attuale traffico merci complessivo, strada più rotaia, che attraversa ogni anno l’intera frontiera italo-francese (da Ventimiglia al Bianco). Il modello previsionale dei proponenti partiva dal 2004 con 8,2 milioni di tonnellate sulla sola ferrovia Val Susa-Maurienne (la linea esistente, per intenderci). Essendo stato il modello pubblicato nel 2006 colpisce quel valore iniziale di 8,2 milioni, dal momento che il flusso effettivamente misurato nel 2004 (e che era noto nel 2006) fu di 6,4 milioni di tonnellate. Procedendo, il modello portava per il 2020 (senza comunque ancora la nuova infrastruttura) a una previsione di circa 13 milioni di tonnellate, ma il traffico attuale si aggira intorno ai 3 milioni di tonnellate: diciamo, più di quattro volte meno della “previsione”.
Proseguendo, secondo i proponenti, tra il 2020 e il 2035, il traffico avrebbe continuato ad aumentare al ritmo approssimativo del 7,6% all’anno, arrivando alle già citate 41,5 milioni di tonnellate quando ormai la linea (per la verità il solo tunnel di base) sarebbe stata in funzione. Il rapporto Crozet contestualmente osserva che però nell’arco di trent’anni, tra il 1984 e il 2014, l’intero traffico mercantile (strada più rotaia) attraverso tutto l’arco alpino ha presentato un tasso di crescita medio del 2,6% all’anno. E l’autore si chiede come sarebbe possibile fare tre volte meglio sulla nuova linea, considerato anche che dal 2008 si è manifestata esplicitamente una tendenza al disaccoppiamento tra andamento del PIL e quantità di merci trasportate. In altre parole, i proponenti avevano supposto che per ogni punto percentuale di incremento annuo del PIL europeo la quantità di merci in movimento (le tonnellate) sarebbe aumentata dell’1,6%, quindi più in fretta, mentre in Europa (e in precedenza negli Stati Uniti) si sta verificando che le tonnellate movimentate crescono più lentamente dell’economia, grazie ad una parziale smaterializzazione di quest’ultima.
Nella rappresentazione dei proponenti, poi, il flusso merci atteso che viaggerebbe sulla nuova linea si dividerebbe tra la modalità tradizionale (contenitori all’interno di carri) e l’autostrada ferroviaria (tutto il camion carico viaggia sul treno). La “previsione” al 2035 porterebbe a 28 milioni di tonnellate in modalità tradizionale e il resto (circa 13 milioni di tonnellate) sull’autostrada ferroviaria. Ora, 28 milioni di tonnellate sono dieci volte il traffico di oggi e il prof. Crozet si chiede testualmente «quale bacchetta magica potrebbe ottenere questo risultato» visto anche che tra il 2000 e il 2016 il traffico merci ferroviario in tutta la Francia è diminuito del 40%Se poi si guarda l’autostrada ferroviaria, lì la “previsione” è ben 65 volte maggiore del dato relativo al 2004: “previsione” che sembra «più che ottimista»…

L’altro aspetto fondamentale di tutta la vicenda è la valutazione delle emissioni (ed eventuali risparmi) di CO2 in atmosfera, tanto più che, vista l’aria che tira, la propaganda pro TAV ha cominciato a sbandierare una connotazione verde, anzi green, dell’opera. I proponenti hanno valutato le emissioni assumendo che a regime la nuova linea (in realtà il solo tunnel) sottrarrebbe mediamente 900.000 camion all’anno dalle strade. Stando all’essenziale e rifacendo i calcoli con le stesse ipotesi dei proponenti si scopre che il risparmio di CO2 che si otterrebbe a regime sarebbe in realtà tra sei e sette volte meno di quello ufficialmente dichiarato. Con questo ridimensionamento il momento in cui l’uso del nuovo tunnel inserito sull’esistente linea tra Torino e Lione porterebbe a compensare la CO2 emessa in più durante lo scavo del tunnel a doppia canna si sposterebbe oltre la metà del secolo. Tutto ciò, peraltro, in base alle “previsioni” di traffico gonfiate di cui ho già parlato. Se le cose andassero diversamente e, ad esempio, i camion in meno sulle strade fossero la metà (450.000) i tempi si allungherebbero ancora e la compensazione arriverebbe solo nell’ultimo quarto del secolo, ma a quella data, a meno di drastiche svolte da avviare subito, l’umanità avrebbe ben altre gatte da pelare.

Come se non bastasse, anche a prescindere dalla questione del volume di traffico in sé, i proponenti ipotizzano che l’apertura del tunnel transfrontaliero comporterebbe «magicamente» un massiccio spostamento delle merci dalla strada alla rotaia, mentre i dati indicano che in Francia negli ultimi vent’anni la quota percentuale del traffico mercantile in ferrovia è peggiorata passando da circa il 17% a circa il 9% e continua a scendere. Insomma sembra che il mondo reale sia molto diverso dalla descrizione che ne fanno i fautori della nuova linea.

Traendo le conclusioni, conclude il rapporto Crozet, «come un tunnel ferroviario, sia pure di 54 km, possa avere tali effetti sull’insieme dei traffici è un mistero che si può assimilare a un pio voto. Non si dice forse che l’adesione ai grandi progetti discende da un atto di fede?».

Nel frattempo, il 7 ottobre il Parlamento Europeo ha approvato una legge sul clima in cui si fissa l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 da parte dell’Unione del 60% entro il 2030. Come questo obiettivo possa essere compatibile con la nuova Torino-Lione (e anche con altre “grandi opere” che la stessa UE finanzia) rimane un insondabile mistero. Altrettanto dicasi riguardo allo «sviluppo sostenibile» di cui parla il presidente del consiglio con annesso «patto intergenerazionale». Le conseguenze di scelte come quella della TAV, a parte un ritorno immediato a vantaggio di pochi, si traducono in un pesante fardello di debiti sulle spalle di figli e nipoti, che per di più dovranno fronteggiare in maniera molto più pesante di quanto si intraveda oggi, l’impatto di un mutamento climatico che gli adepti della religione dell’economia tradizionale non si sognano minimamente di contrastare se non con la retorica.

da qui

 

 

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