La truffa del TAV: anche l’Europa lo sa - Angelo Tartaglia
Nel giugno scorso la Corte dei Conti
Europea (European Court of Auditors – ECA) pubblicò una propria
valutazione critica su otto “grandi opere” cofinanziate dall’Unione. Ne abbiamo
a suo tempo già parlato (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2020/06/23/conti-fatti-e-misfatti/). Ora è stato
possibile ottenere in via ufficiale un compendio del rapporto redatto da uno
dei consulenti della Corte, in riferimento specificamente alla Torino-Lione (http://www.presidioeuropa.net/blog/wp-content/uploads/2020/10/YCNote-CO2-it..1.pdf). Il rapporto è molto
interessante perché presenta fatti e argomenti che hanno ispirato quanto poi
ECA ha espresso nel suo documento. Di per sé le argomentazioni dell’autore (il
prof. Yves Crozet dell’università di Lione) sono state precedentemente
proposte, in una forma o nell’altra, da molti tecnici che si sono occupati
della ormai lunga vicenda della nuova linea, ma ora esse sono inclusi in un
documento redatto per un organismo ufficiale del complesso edificio
istituzionale dell’Unione Europea.
Venendo al dunque e in estrema sintesi,
risulta che dati e previsioni utilizzati dai proponenti la Torino-Lione
per sostenere l’opera sono stati sistematicamente “gonfiati” (per
usare un eufemismo gentile, per altro presente nel rapporto Crozet) al fine di
convincere i vertici istituzionali (che forse in molti casi risultavano già
inclini a lasciarsi convincere) e l’opinione pubblica dell’utilità, se non
addirittura della necessità, di procedere al finanziamento dei lavori della
nuova linea (in verità solo del tunnel di base).
Il fattore portante per giustificare
un’infrastruttura di trasporto è ovviamente il traffico presente lungo la
direttrice cui l’opera si riferisce insieme con le aspettative di futura
evoluzione del medesimo. Nel caso della Torino-Lione, a suo tempo, i proponenti
presentarono delle “previsioni” relative alla domanda di trasporto merci per
ferrovia tra Italia e Francia lungo l’asse Torino-Lione che indicavano, per il
2035, un flusso, solo ferroviario, pari a più di 41 milioni di tonnellate
all’anno. Quella cifra corrisponde grosso modo all’attuale traffico merci
complessivo, strada più rotaia, che attraversa ogni anno l’intera frontiera
italo-francese (da Ventimiglia al Bianco). Il modello previsionale dei
proponenti partiva dal 2004 con 8,2 milioni di tonnellate sulla sola ferrovia
Val Susa-Maurienne (la linea esistente, per intenderci). Essendo stato il
modello pubblicato nel 2006 colpisce quel valore iniziale di 8,2 milioni, dal
momento che il flusso effettivamente misurato nel 2004 (e che era noto nel
2006) fu di 6,4 milioni di tonnellate. Procedendo, il modello portava per il
2020 (senza comunque ancora la nuova infrastruttura) a una previsione di circa
13 milioni di tonnellate, ma il traffico attuale si aggira intorno ai 3
milioni di tonnellate: diciamo, più di quattro volte meno della “previsione”.
Proseguendo, secondo i proponenti, tra il 2020 e il 2035, il traffico
avrebbe continuato ad aumentare al ritmo approssimativo del 7,6% all’anno,
arrivando alle già citate 41,5 milioni di tonnellate quando ormai la linea (per
la verità il solo tunnel di base) sarebbe stata in funzione. Il rapporto Crozet
contestualmente osserva che però nell’arco di trent’anni, tra il 1984 e il
2014, l’intero traffico mercantile (strada più rotaia) attraverso tutto l’arco
alpino ha presentato un tasso di crescita medio del 2,6% all’anno. E l’autore
si chiede come sarebbe possibile fare tre volte meglio sulla nuova linea,
considerato anche che dal 2008 si è manifestata esplicitamente una tendenza
al disaccoppiamento tra andamento del PIL e quantità di merci
trasportate. In altre parole, i proponenti avevano supposto che per ogni punto
percentuale di incremento annuo del PIL europeo la quantità di merci in
movimento (le tonnellate) sarebbe aumentata dell’1,6%, quindi più in fretta,
mentre in Europa (e in precedenza negli Stati Uniti) si sta verificando che le
tonnellate movimentate crescono più lentamente dell’economia, grazie ad una
parziale smaterializzazione di quest’ultima.
Nella rappresentazione dei proponenti, poi, il flusso merci atteso che
viaggerebbe sulla nuova linea si dividerebbe tra la modalità tradizionale
(contenitori all’interno di carri) e l’autostrada ferroviaria (tutto il camion
carico viaggia sul treno). La “previsione” al 2035 porterebbe a 28 milioni di
tonnellate in modalità tradizionale e il resto (circa 13 milioni di tonnellate)
sull’autostrada ferroviaria. Ora, 28 milioni di tonnellate sono dieci
volte il traffico di oggi e il prof. Crozet si chiede testualmente «quale
bacchetta magica potrebbe ottenere questo risultato» visto anche che tra il
2000 e il 2016 il traffico merci ferroviario in tutta la Francia è diminuito del
40%. Se poi si guarda l’autostrada ferroviaria, lì la “previsione”
è ben 65 volte maggiore del dato relativo al 2004: “previsione” che sembra «più
che ottimista»…
L’altro aspetto fondamentale di tutta la
vicenda è la valutazione delle emissioni (ed eventuali risparmi) di CO2 in
atmosfera, tanto più che, vista l’aria che tira, la propaganda pro TAV ha
cominciato a sbandierare una connotazione verde, anzi green, dell’opera. I
proponenti hanno valutato le emissioni assumendo che a regime la nuova linea
(in realtà il solo tunnel) sottrarrebbe mediamente 900.000 camion all’anno
dalle strade. Stando all’essenziale e rifacendo i calcoli con le stesse
ipotesi dei proponenti si scopre che il risparmio di CO2 che
si otterrebbe a regime sarebbe in realtà tra sei e sette volte meno di
quello ufficialmente dichiarato. Con questo ridimensionamento il momento in cui
l’uso del nuovo tunnel inserito sull’esistente linea tra Torino e Lione
porterebbe a compensare la CO2 emessa in più durante
lo scavo del tunnel a doppia canna si sposterebbe oltre la metà del secolo.
Tutto ciò, peraltro, in base alle “previsioni” di traffico gonfiate di cui ho
già parlato. Se le cose andassero diversamente e, ad esempio, i camion in meno
sulle strade fossero la metà (450.000) i tempi si allungherebbero ancora
e la compensazione arriverebbe solo nell’ultimo quarto del secolo,
ma a quella data, a meno di drastiche svolte da avviare subito, l’umanità
avrebbe ben altre gatte da pelare.
Come se non bastasse, anche a
prescindere dalla questione del volume di traffico in sé, i proponenti
ipotizzano che l’apertura del tunnel transfrontaliero comporterebbe
«magicamente» un massiccio spostamento delle merci dalla strada alla rotaia,
mentre i dati indicano che in Francia negli ultimi vent’anni la quota
percentuale del traffico mercantile in ferrovia è peggiorata passando da circa
il 17% a circa il 9% e continua a scendere. Insomma sembra che il mondo
reale sia molto diverso dalla descrizione che ne fanno i fautori della nuova
linea.
Traendo le conclusioni, conclude il
rapporto Crozet, «come un tunnel ferroviario, sia pure di 54 km, possa
avere tali effetti sull’insieme dei traffici è un mistero che si può assimilare
a un pio voto. Non si dice forse che l’adesione ai grandi progetti discende da
un atto di fede?».
Nel frattempo, il 7 ottobre il
Parlamento Europeo ha approvato una legge sul clima in cui si fissa l’obiettivo
di ridurre le emissioni di CO2 da parte
dell’Unione del 60% entro il 2030. Come questo obiettivo possa essere
compatibile con la nuova Torino-Lione (e anche con altre “grandi opere” che la
stessa UE finanzia) rimane un insondabile mistero. Altrettanto dicasi riguardo
allo «sviluppo sostenibile» di cui parla il presidente del consiglio con annesso
«patto intergenerazionale». Le conseguenze di scelte come quella della
TAV, a parte un ritorno immediato a vantaggio di pochi, si traducono in un
pesante fardello di debiti sulle spalle di figli e nipoti, che per di più
dovranno fronteggiare in maniera molto più pesante di quanto si intraveda oggi,
l’impatto di un mutamento climatico che gli adepti della religione
dell’economia tradizionale non si sognano minimamente di contrastare se non con
la retorica.
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