I dinosauri
di sessanta milioni di anni fa sono stati vittime inconsapevoli di una
estinzione di massa. I dinosauri di oggi
sono invece responsabili consapevoli, se non dell’estinzione dei
loro simili e di molti dei viventi che abitano la Terra, sicuramente
della fine della convivenza così come l’homo sapiens l’ha conosciuta e
praticata da almeno diecimila anni. Per decenni gli ambientalisti sono stati
accusati – da affaristi, giornalisti, leader ignoranti
e arroganti – di
“voler tornare all’età della pietra”. Adesso è chiaro che a far tornare
all’età della pietra l’umanità intera sono invece loro: gli arroganti. Ma
di che cosa stiamo palando?
Se vent’anni
fa era ancora possibile che qualche leader ignorante non sapesse niente
dei mutamenti climatici in corso, o non fosse stato avvertito dei tempi
stretti che ci separano da una catastrofe irreversibile, oggi questo non è
più possibile. Sanno. Sanno benissimo quello che sta per succedere – gli allarmi degli scienziati sono
chiarissimi – ma sono immobilizzati dalla loro incapacità di
pensare e di fare. Di pensare un mondo diverso da quello che conoscono, e in
cui per ora sguazzano; e di fare quello che va fatto per sventare o
mitigare la catastrofe incombente, che non lascia molte scelte: si tratta
di invertire rotta di 180 gradi.
Per questi
loro giganteschi deficit, l’ultima cosa a cui pensano è mettere in guardia
i loro elettori o i loro concittadini della necessità di una svolta che non sanno nemmeno
concepire; in questo aiutati da un esercito di giornalisti e commentatori,
complici e asserviti, che parlano dei mutamenti climatici, quando lo
fanno, come di un romanzo di fantascienza. Ci sono
dinosauri negazionisti, grandi e pesanti come Trump o Bolsonaro; e ci
sono dinosauri piccoli e insignificanti, come Chiamparino o Fassino, che
non sanno nemmeno se riconoscere o negare i cambiamenti
climatici in corso. Pensano – sragionando – come se tutto fosse destinato a
continuare come oggi: un tunnel, o anche due, per portare in Francia merci e
passeggeri che oggi non ci sono, ma domani, chissà? (magari il Pil si rimette a
crescere…).
Un gasdotto,
anzi due, per portare in Europa, attraverso l’Italia, che ne riceve già troppo,
gas che entro breve tutti i governi saranno costretti
a non lasciare più usare. E grandi navi che continuano ad
attraversare il canale della Giudecca per la gioia di quattro pizzaioli di
una Venezia destinata ad affondare. E siccome l’appetito vien mangiando, ora
che stanno per averla vinta sugli ultimi baluardi di cartapesta eretti
dall’insipienza dei cinquestelle (la fatidica analisi costi-benefici, prodotta
da un tecnico, anzi, sei, che escludono i cambiamenti climatici dall’orizzonte
dei loro saperi), vogliono anche altre autostrade, altri
aeroporti, altre trivelle, altre armi (tanto le compra lo Stato; anzi
tanti Stati, per fari del male, con denaro sottratto agli investimenti
che servono); e poi, avanti con l’Ilva: tanto quando arriverà la
catastrofe gli abitanti di Taranto saranno già tutti morti di cancro.
Ricordiamoci del Mose: per anni gli ambientalisti che si opponevano a
questo progetto insensato sono stati irrisi dai “meglio” columnist
del giornalismo nostrano, che con grande sicumera si ergevano a paladini
di Venezia, mentre politici e affaristi provvedevano intanto a
mandare avanti un affare che si è poi rivelato (ma
si sapeva già) un furto epocale; ma che va avanti lo
stesso, anche se appena sarà finito, e forse anche prima, bisognerà
cominciare a smontarlo perché non funziona (e tutti lo
sanno); ma che in compenso sta devastando la laguna e non
proteggerà certo Venezia. Ma se Venezia è destinata a scomparire,
tanto vale sfruttarla al massimo fin che c’è, invece di usarla come
richiamo internazionale per far capire a tutto il resto
del mondo – che Venezia sa bene che cos’è – che è ora
di muoversi tutti insieme, e anche subito, per salvare insieme a lei tutte le
zone costiere del pianeta.
Così intorno al Tav Torino-Lione, che di tutte
le Grandi opere in programma è forse la più stupida, si è costituito un vero
e proprio superpartito “di lotta e di governo”, che riunisce
politici di destra, centro e sinistra (compreso Zingaretti, che però ha dato
la sua adesione alla marcia Friday for Future, segno evidente di
malafede o di confusione mentale); e poi, industriali grandi e
piccoli, giornalisti e pennivendoli di ogni
risma, madaminescalpitanti, storici del ‘900 ed economisti pronti a
contestare numeri e analisi costi benefici del povero prof. Ponti. Già,
perché quel danno di 7 miliardi che lui ha calcolato va diviso
per tre, e in parte andrà scaricarsi su Francia e Ue (e chi se ne
frega!), mentre all’Italia ne resterà da pagare solo un
pezzo; che se non si conta la perdita delle accise sul gasolio e si conta
quella di ipotetiche penali può diventare anche un vantaggio. A
questo si è ridotto il dibattito politico, scientifico e cultuale sul futuro
dello “sviluppo”, del benessere, del nostro paese, del
pianeta!
La scomparsa dei dinosauri, enormi bestioni dal
corpo immenso e dal cervello sproporzionatamente piccolo, aveva creato uno spazio ambientale vuoto entro cui
alcuni piccoli mammiferi solo un po’ diversi da
loro avrebbero approfittato per dare inizio a quella
catena evolutiva che attraverso molte metamorfosi sarebbe alla fine
approdata alla comparsa della specie umana. Ma i
dinosauri di oggi, con il loro tremendo impatto sull’ambiente, non
sono ancora scomparsi e non hanno nessuna intenzione di farlo, mentre
la nuova specie antropologica, composta dai loro figli e soprattutto
nipoti, ha appena cominciato a sollevare il capo, a scendere
in piazza, a far sentire la propria voce, a esigere il cambio di
rotta necessario per salvare se stessi e la Terra. Ma
non c’è tempo per aspettare che le cose evolvano da sole.
Affrettiamoci dunque
tutti a dare una mano, anzi tutte e due, a chi ha cominciato a battersi
per salvare vita e convivenza tra gli umani di oggi e domani: tutti a Friday for Future il 15
marzo; ma anche allo sciopero del l’otto Marzo delle donne domani; e alla
mobilitazione contro le grandi opere il prossimo 23. Tre eventi
apparentemente diversi, ma mai così legati tra loro.
(Articolo pubblicato anche su il Manifesto)
Nessun commento:
Posta un commento