A 13
anni ha vissuto la sua prima acrobazia. La guerra in Liberia del ’92 l’ha fatto
fuggire con la famiglia in Costa d’Avorio e poi in Ghana. Durante il soggiorno nel campo profughi di
Accra nel Ghana ha scoperto la sua vocazione di artista funambolo che avrebbe
poi perfezionato col tempo nelle vicende della sua vita. Lui,
pendolare tra la Libia, l’Algeria, la Nigeria, il Ghana, il Togo, il Benin, la
Costa d’Avorio e il Niger come terra di transito permanente. Jackson si trova a Niamey da quasi due mesi e
non ha ancora trovato lavoro.
Vivere nel Sahel è un’esperienza di quotidiana
acrobazia tra le precarietà. Il raccolto dei contadini dipende dalla costanza
e dalla fedeltà delle piogge. La scuola per i bambini e l’università per gli
studenti è in funzione del pagamento degli stipendi dei docenti. Il traffico
sulle strade della capitale si regola sull’ora dei ritorni dei numerosi viaggi
all’estero del presidente. Il
lavoro, poi, è l’improbabile lotteria che pochi fortunati hanno l’opportunità
di vincere ma, quanto al salario, quello, è un’acrobazia unica per ottenerlo.
Tra un’acrobazia e l’altra Jackson ha incontrato in
Nigeria la madre dei suoi quattro figli. Col
passaporto in Costa d’Avorio e gli altri documenti sequestrati dalla polizia in
Algeria non ha un’identità da esibire all’improbabile datore di lavoro.
E’ giusto tornato dallo stadio dove ha proposto i suoi servizi di preparatore
atletico all’allenatore di una squadra di ginnastica inesistente. In Libia e in Algeria lavorava nelle piazze
senza dare troppo nell’occhio e lì camminava sulla fune tesa tra due pali di
legno a poca altezza dal suolo.
I migranti pure sono acrobati che si esercitano a
camminare sui fili spinati e i muri di cinta delle politiche europee di
esclusione. Sono
funamboli tra permessi di soggiorno temporaneo, documenti di espulsione e
passaporti scaduti. I diritti umani fanno acrobazie fra i tribunali, le
dichiarazioni universali scritte sulla carta e i poteri costituiti sulla
sabbia. I politici, infine, sono funamboli e passano da un partito all’altro e
da una coalizione all’altra secondo le convenienza pecuniarie. Fare politica in
queste condizioni è temerario.
La vita di Jackson è la storia di un’acrobazia senza
fine. Dappertutto dove andava costituiva un piccolo gruppo di artisti che lo
accompagnavano negli spettacoli all’aperto. La fune si trovava anche alle frontiere e lui,
Jackson, come un funambolo, le traversava passando da un Paese all’altro senza
sosta. A quarant’anni cerca un lavoro per mantenere la famiglia nel frattempo
cresciuta. Janet, nome ebreo che significa che Dio fa grazia, è la madre che lo
ha graziato con quattro figli i cui nomi sono come una commedia dell’arte.
Nel
Sahel più che altrove le preghiere fanno acrobazie tra i minareti delle moschee
e i campanili assenti delle chiese. Le moto dei cortei dei matrimoni fanno
acrobazie tra le auto, i cammelli in sosta e gli asini, i re della strada, che
tirano carretti di legna da ardere o fieno per gli ovini di città. Trovare un documento negli uffici è un gioco
acrobatico che può occupare giorni o settimane. Attraversare le
strade della capitale in assenza di passaggi pedonali è un esercizio che solo i
funamboli possono eseguire a loro rischio e pericolo.
Il più
grande dei suoi figli, undicenne, si chiama Wisdom, Saggezza. Il secondo è una
bimba che la madre ha chiamato Blessing, Benedizione. Il terzo è un’altra bimba
che lui stesso, con una certa conoscenza della vita, ha battezzato Patience,
Pazienza. L’ultimo arrivato, con appena un lustro di vita, è stato chiamato
David, Davide. Nessuno di loro
possiede la garanzia di essere nato davvero perché i loro documenti, come
quelli dei genitori, sono stati sequestrati dalla sabbia del deserto. Anche
possedere la cittadinanza è un’acrobazia.
Jackson
aveva 13 anni quando la guerra in Liberia lo ha trasformato in acrobata e lui,
da quel momento, danza sulla fune della dignità che nessuno gli ha ancora
rubato.
Nessun commento:
Posta un commento