Chiudete gli occhi, facciamolo insieme. Restate con me, in me, per
qualche istante. Vi va? Grazie di cuore.
Ora, immaginiamo che io sia nato qui e
che sia qualcuno che, come ciascuna creatura sulla terra, in ogni tempo e
luogo, sia venuto al mondo con
nessuna consapevolezza di cosa sia il razzismo. Di conseguenza, mettiamo
che, alla stregua di tutta l’umanità vissuta prima del sottoscritto o destinata
alla società del domani, non dia alcuna importanza al colore della pelle e al
paese di provenienza, alle tradizioni e alla cultura d’origine del prossimo.
Potremmo
anche estendere oltremodo tale quantità ingente di informazioni non essenziali,
preservando ciò che in tenera età risulta indispensabile. D’altra parte, in
quanto umano, sarei a mia volta
una creatura capace di riconoscere all’istante quel che conti davvero
nell’incontro con l’altro. Gli occhi degli altri nei miei, il sorriso come il
pianto, un abbraccio delicato quanto stretto, ma vero, senza alcuna fretta di
allontanarsi, e altre sottovalutate meraviglie.
Tuttavia, mettiamo il caso che il destino avesse
scelto per me una tonalità di carnagione, come dire, meno chiara del comune,
ecco. Non scura
quanto si possa temere, d’accordo, ma abbastanza marroncina da poter essere
sbrigativamente definibile nera. Aggiungiamoci pure un cognome esotico e
assai difficile da pronunciare, e il quadro è terminato. Sì, lo so, c’è ben
altro sotto quella tela, come per tutte le straordinarie creazioni di madre
natura, ma se tale verità fosse di dominio pubblico non mi troverei qui, ancora
una volta, a raccontare questa storia, non credete?
Adesso, che
abbiamo rammentato come tutto è iniziato, perché così è stato per tutti, immaginiamo che arrivi il giorno,
l’ora, il secondo preciso in
cui sia la stessa società in cui vivo a suggerire, sussurrare e urlare,
fino a che io per primo possa convincermene da solo, di essere ciò che non sono, ma solo quel
che sembro. E mettiamo che quest’ultimo dettaglio faccia tutta la
differenza del mondo.
Così, sarei sempre un essere umano
giovanissimo come miliardi prima, un bambino che adori ridere e che ami giocare,
che si lasci spesso cullare dai sogni e che vorrebbe viaggiare in tutto il
mondo. Tuttavia, per chi guarda e rapidamente trae le sue conclusioni da un
istante all’altro divengo anche un africano e un negro,
un mulatto e uno straniero.
Figuriamoci,
quindi, che nel tempo le cose non cambino di molto, tutt’altro, e che veda
aggiungersi alla distorta immagine riflessa nello specchio ingannevole del mio
paese altri aggettivi o caratteristiche fuorvianti.
Perciò mettiamo che agli occhi dei passanti
diventi perfino un immigrato e un extracomunitario, un clandestino e
un invasore, uno che viene qui per rubare e abusare delle
donne, per vendere droga e per vivere alle spalle della loro nazione. Che è pure la mia… Assurdo, non è così? Infatti,
da fuori di testa.
Immaginate
che trascorrano altri anni e che agli indizi necessari a rendere colpevole il
mio aspetto fino a prova contraria se ne uniscano altri di natura grottesca.
Come islamico e terrorista, maschilista e desideroso di cancellare la cultura tradizionale. Che è anche la mia… Folle, vero? Già, davvero
pazzesco.
Difatti, mettiamo abbia
superato i cinquanta ma che, malgrado il mio sforzo, tra storie e libri,
spettacoli e attivismo, nonché quello ben più significativo di tanti altri, il razzismo sia ancora ovunque.
Nondimeno, avevo consigliato di chiudere gli occhi e di starmi vicino, giusto?
Fatelo ancora per qualche attimo, per favore, datemi la mano e facciamo insieme
un salto in avanti, laggiù, oltre l’orizzonte che riusciamo appena a sfiorare
con i nostri cuori e e raggiungiamo la gente che è stata capace finalmente di
eliminare dallo sguardo il velenoso abbaglio.
Coraggio, restatemi accanto, perché adesso viene il
bello.
Avviciniamoci al primo umano a portata di carezza. Salutiamolo come cortesia
richiede e poi chiediamogli come hanno fatto a smettere di discriminare le
persone in base a un’inezia come la maggiore presenza di melanina nella cute. Il nostro comune pronipote
aggrotterà la fronte, ma poi, rammentando una delle tante stupidità che hanno
reso meno felice la nostra generazione, sorriderà. Quindi, solleverà il capo
verso il cielo azzurro e terso, e dirà: “È una bella giornata, vero?”. Noi non
potremmo far altro che concordare. “E se il tempo dovesse cambiare e dovesse
piovere, avreste paura?”. “No”, risponderemmo entrambi. “Esatto”, risponderebbe
l’umano che verrà. “Perché avete
imparato da piccoli che quando le nuvole ricoprono la volta celeste e le gocce
di pioggia cadono sulla terra non c’è niente da temere, perché è solo una della
cose che natura fa. Ecco come abbiamo iniziato a cancellare il razzismo dalle
nostre vite. Abbiamo smesso di insegnarlo. Noi del futuro facciamo così”.
Allora, quando iniziamo?
Nessun commento:
Posta un commento