martedì 19 marzo 2019

Solo un paese asfittico e rancoroso può discutere di Greta e non del cambiamento climatico - Antonio Scalari



Certe osservazioni accigliate attorno al "fenomeno Greta Thunberg" e al movimento che ha ispirato potrebbero costituire, credo, il caso più clamoroso nella storia di contemplazione del dito invece della Luna (dove la Luna, in questo caso, è grande come la Terra). Per la prima volta da quando è chiaro (fattualmente certo) che sono in atto cambiamenti climatici causati da diverse attività umane, un diffuso movimento di protesta globale chiede di agire per contrastarli. A chi lo chiede? Ai "grandi della Terra", ai capi di Stato e di governo, ai parlamenti. La cosa è in sé ovviamente sensata, quantomeno non è per nulla inedita dal punto di vista storico se si considera che sempre i movimenti di protesta sono partiti dal basso per rivolgersi e colpire verso l'alto. Ma per qualche ragione oggi questo appare ad alcuni bizzarro, illusorio, sbagliato, scomposto. Non solo, è visto come un effetto del "vento populista" che soffia in Occidente. La critica in sintesi è questa: siccome siamo tutti responsabili dei cambiamenti climatici, allora il "fate presto" Greta e i suoi "seguaci" lo dovrebbero urlare davanti a tutti. Davanti a tutto il popolo. Insomma Greta non sarebbe dovuta andare a rompere le scatole solo ai "grandi" riuniti alla conferenza sul clima, ma anche ai salumieri, ai panettieri, agli operai, agli impiegati etc. Perché tutti noi (ed è vero) contribuiamo tutti i giorni ad emettere gas climalteranti in atmosfera (e sostanze inquinanti - problema, ricordiamolo, che va distinto dal clima). Anzi, dicono alcuni, se i parlamenti e i governi non fanno abbastanza per il clima è proprio perché il popolo non sopporterebbe le conseguenze che avrebbero, sulla vita quotidiana di tutti, interventi draconiani per arrestare le emissioni. "Questi scendono in piazza ma poi comprano gli iPhone", insomma. In verità quello (poco, insufficiente) che è stato fatto finora per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni non ha suscitato proteste di massa, ma non è questo il punto. Il punto è che non stiamo parlando di "cosa posso fare io", di rinunce individuali, di azioni isolate. Qui parliamo di decisioni collettive. Siamo avvitati in una discussione totalmente sterile attorno a contrapposizioni tra "popolo" ed "élites", perché abbiamo perso di vista cos'è la politica. Cioè la dimensione del discutere e del decidere collettivi. In un mondo in cui i partiti sono scomparsi o sono stati distrutti o sono stati svuotati dal loro interno della loro funzione civile, culturale e sociale, non siamo più nemmeno capaci di concepire il significato politico e l'utilità pratica di un'azione collettiva, di massa, che parta dal basso, dai subalterni. Per non parlare del fatto che, ormai, qualsiasi messa in discussione dello status quo viene additata come una minaccia alla stabilità, al sistema, etc.
Non si tratta di evitare di buttare le cartacce per terra. Sì si possono anche fare scelte individuali (Greta per esempio ha scelto di non mangiare carne per non contribuire all'impatto ambientale del settore zootecnico e di non viaggiare in aereo), ma sono insufficienti. Servono politiche energetiche, industriali, tecnologiche, economiche, infrastrutturali, per contrastare i cambiamenti climatici. Pensare che di questo siano responsabili soprattutto parlamenti e governi è "populismo"? Semmai è il contrario, è riconoscere la legittimità e responsabilità delle istituzioni e del potere legislativo ed esecutivo. Greta manifesta davanti al parlamento svedese e lo fa perché forse crede nella democrazia rappresentativa e nel suo potere di cambiamento (sì, anche nella sua sovranità) molto più di tanti suoi difensori. 

Alcuni storcono il naso di fronte all'esposizione mediatica e all'aura di celebrità che si è creata attorno a Greta Thunberg, che qualcuno ha già proposto per l'assegnazione del Nobel per la Pace. Ma Greta non è il capo di un movimento. Greta è un'ispirazione. È un simbolo. O, se vogliamo, un esempio. Per evitare comunque che la narrazione mediatica si concentri sulla sua figura, per non cadere in personalizzazioni e inopportune celebrazioni personali, allora non parliamo di lei, ma di ciò che il suo esempio ha ispirato. Parliamo del movimento contro i cambiamenti climatici. Le ragioni e gli obiettivi di questo movimento vanno ben al di là delle iniziative di una singola persona, per quanto carismatica. La questione climatica è importante e urgente perché si basa su una scienza solida e condivisa, non sulla biografia, sulla simpatia, sulle idee di questo o quell'attivista. Stiamo assistendo a una straordinaria opportunità di mobilitazione collettiva, che potrebbe portare a compiere azioni decisive per il clima. Anche un aumento della temperatura globale di mezzo grado centigrado in più può essere rilevante per gli effetti ambientali che può causare. In una lettera pubblicata sul sito della rivista Scientific American, 240 scienziati esperti di clima hanno dato il loro sostegno al movimento globale degli studenti. Questo passaggio della lettera è eloquente: Gli studenti di oggi delle scuole elementari e delle superiori hanno vissuto le loro brevi vite su un pianeta sensibilmente diverso da quello in cui ha vissuto qualsiasi altra generazione nella storia della civiltà umana. Ogni anno della loro vita è stato uno dei 20 anni più caldi da quando si è iniziato a registrare le temperature e hanno anche assistito a eventi meteorologici estremi sempre più frequenti, eccezionali e costosi. La generazione che in queste settimane, in tutto il mondo, manifesta per il clima è nata ed è vissuta nel pieno dell'accelerazione del riscaldamento globale che si è verificata negli anni più recenti. È proprio per questo che la sua mobilitazione è particolarmente significativa. Ed è per la stessa ragione che dovrebbe costituire per tutti noi un monito: non abbiamo più tempo. Tra l'altro è una mobilitazione che non nasce dal nulla, ma da anni di attivismo e impegno di movimenti, associazioni e scienziati. Invece di considerare tutto questo, molti si rivolgono accuse reciproche («e tu che hai fatto?», «e voi che fate?» e «quello che fa»?). Ditemi, dunque: perché non siamo stati noi più grandi in questi anni a fare quello che hanno fatto gli studenti in questi giorni? Perché noi siamo stati noi, già anni fa, a iniziare un'azione di massa? Perché non abbiamo chiesto noi, per primi, che il clima e altri temi ambientali entrassero nell'agenda? Tanti di quelli che manifestano in queste settimane non hanno neanche l'età per votare ed erano bambini quando, anni fa, già non si faceva quello che si sarebbe dovuto fare, quando gli allarmi rimanevano inascoltati. I giovani di #FridaysForFuture sono cresciuti in un mondo in cui troppi adulti hanno rimandato, ignorato, sottovalutato, spesso perfino negato e boicottato. Ora chiedono il conto. Mi pare cristallino e ineccepibile. 
 Si sta formando un movimento democratico e popolare. Possiamo aderire anche noi. Magari per dare il nostro contributo, suggerire, informare, indirizzare, con le competenze che i ragazzi non hanno e non sono tenuti ancora ad avere. Oppure possiamo guardare il ditino. Nel frattempo le parti per milione di CO2 nell'atmosfera aumentano. Purtroppo lo fanno in modo "invisibile". E noi continuiamo a guardare il ditino.
da qui

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