domenica 17 marzo 2019

Investire nel Green New Deal come se fossimo in guerra - Brad Johnson



È tempo che l’America sia nuovamente ambiziosa. I sostenitori nel congresso di un “Green New Deal” stanno invocando una «mobilitazione nazionale, sociale, industriale ed economica di una portata che non si vede dai tempi della Seconda guerra mondiale e dell’Era del New Deal» al fine di de-carbonizzare l’economia statunitense entro il 2030. 
Prendere sul serio la crisi climatica significa portare gli Stati Uniti a inquinamento zero o negativo entro dieci anni, tentando nel frattempo di rimediare ai danni già fatti. Ciò implica non solo ripensare la nostra rete elettrica, ma anche la mobilità e i trasporti, il sistema agricolo, finanziario, sanitario, le infrastrutture già costruite, gli scambi e la produzione, l’uso della terra, le relazioni di genere e l’apparato militare: la nostra intera economia, le relazioni che intratteniamo l’uno con l’altro e con il resto del mondo.
Seppur tutto questo sembra impossibile a chi guadagna nel settore dei combustibili fossili, sarebbe comunque perseguibile se gli Stati Uniti si mobilitassero sul piano finanziario in modo paragonabile a quello avuto nella storia nazionale durante la Seconda guerra mondiale.
La mozione del Green New Deal prevede che gli Stati Uniti raggiungano «livello zero di emissioni gas a effetto serra […] attraverso una mobilitazione nazionale di dieci anni». L’obiettivo di una rapida e totale de-carbonizzazione è gli antipodi degli intenti dell’amministrazione Trump e delle proiezioni di giganti inquinanti come l’ExxonMobil; ed è anche considerevolmente più ambizioso rispetto ai recenti piani della leadership del Partito Democratico, che mirano a una riduzione dell’80% rispetto al livello del 2005 entro il 2050, mantenendo come riferimento la campagna Step It Up del 2007.
Una rapida e totale de-carbonizzazione è necessaria in questo periodo di emergenza climatica. Le conseguenze dell’estrazione e combustione di centinaia di miliardi di tonnellate di carbon fossile nei decenni recenti sono oggi visibili. Gli stati nazionali stanno vacillando a causa di un clima sempre più degradato: siccità catastrofiche, inondazioni, incendi, tempeste, aumento del livello dell’acqua, scioglimento dei ghiacciai e il collasso della biodiversità stanno mettendo in un pericolo colossale gli individui in tutti gli angolo del globo.
Se l’umanità non mette fine all’utilizzo dei combustibili fossili cercando di invertire il processo di deforestazione, la possibilità che condivida il destino della stragrande maggioranza delle specie esistite su questo pianeta – l’estinzione – è irragionevolmente troppo alto. Il prezzo di un’azione insufficiente, come ricorda l’economista di Harvard Martin Weitzman con  il “dismal theorem”, è potenzialmente infinito, «in quanto le catastrofi che causerebbero l’estinzione umana rimangono troppo plausibili per essere ignorate». 
Gli Stati Uniti, il più longevo governo ininterrotto sul pianeta e il più grande produttore e beneficiario dell’inquinamento di carbonio, affrontano questo pericolo come una qualunque altra nazione. Dopo aver perso case e mezzi di sussistenza, milioni di americani sono divenuti migranti climatici all’interno delle nostre frontiere. Le nostre istituzioni politiche e sociali stanno cadendo a pezzi, mentre c’è una gara tra i capitalisti esperti nei disastri per estrarre tutto il profitto che possono dalle nostre risorse naturali e sociali sempre più impoverite.
Le conseguenze del riscaldamento globale di 1°C sperimentate finora sono considerevolmente più gravi delle proiezioni scientifiche, e ciò ha portato le nazioni del mondo a raccomandare (senza impegno) di mantenere il riscaldamento globale se possibile sotto l’1.5°C, o al massimo 2°C. Gli impegni presi dall’amministrazione Obama (e rinnegati da Trump) di abbassare l’inquinamento prodotto dell’80% entro il 2050 sono insufficienti per mantenere il riscaldamento globale sotto i 2°C, figuriamoci sotto l’1.5°C. 
Il piano di non azione di Trump (nella migliore delle ipotesi) porterebbe il riscaldamento globale a 2°C entro dieci anni, e probabilmente ci potrebbe portare all’inimmaginabile e catastrofico 4°C, o addirittura più alto. A un certo punto, anche l’economia globale troverebbe necessaria una rapida de-carbonizzazione: attraverso una catastrofe globale che ridimensionerebbe la vastità della Grande Depressione o delle Guerre Mondiali. 
Abbiamo bisogno di sostenibilità. Prendere la crisi climatica seriamente implica portare gli Stati Uniti a inquinamento zero o negativo entro dieci anni. Per arrivarci, è necessaria una mobilitazione finanziaria come quella effettuata durante la Seconda guerra mondiale. Per eguagliare quel livello di mobilitazione, la spesa federale statunitense dovrebbe raggiungere una cifra tra i 30 e gli 80 miliardi di dollari l’anno. La mobilitazione nazionale per la Seconda guerra mondiale ha visto la spesa federale crescere dal 10% del Pil (che rappresentava già il doppio rispetto alla spesa precedente alla Grande Depressione) a oltre il 40% nel 1945, una cifra ampiamente superiore al livello delle spese federali fino a quel momento…

*Brad Johnson è autore di un libro di prossima pubblicazione sul movimento per la giustizia climatica. Questo articolo è uscito di Jacobinmag.com. La traduzione è di Matteo Boccacci.

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