Nessuno dimenticherà il 2020. Mai prima d’ora tanti auguri per il nuovo
anno hanno riguardato la fine, il lasciarsi alle spalle, l’uscire da questo anno
come dalla peste, letteralmente. Fanno eccezione molte delle più grandi
aziende farmaceutiche, i titani della tecnologia e alcune altre multinazionali
che hanno approfittato del disastro per raccogliere profitti in volumi che la
maggior parte delle persone non può nemmeno immaginare. Profitti
che sono basati anche su enormi sovvenzioni pubbliche e sul non pagare le
tasse, in particolare da parte delle piattaforme digitali.
Secondo il rapporto Il virus della disuguaglianza (Oxfam, 2021), i miliardari le cui fortune
sono state colpite hanno riconquistato il livello pre-pandemia in soli nove
mesi, mentre la povertà nel mondo è notevolmente aumentata e continua ad
aggravarsi. Per i miliardi di persone della popolazione del mondo in
condizioni di povertà, riconquistare lo scarso potere d’acquisto che avevano
prima della pandemia richiederà più di un decennio. E non è detto che ci
riusciranno.
Dall’inizio della pandemia, i 10 uomini più ricchi del pianeta (sette dei
quali proprietari di piattaforme e imprese digitali) hanno aggiunto più di 500
miliardi di dollari alle loro casse stracolme. Oxfam fa l’esempio di Jeff
Bezos, attualmente il secondo individuo più ricco del mondo, fondatore della
piattaforma digitale Amazon. Con la fortuna personale che ha accumulato tra
marzo e agosto 2020, avrebbe potuto pagare a ciascuno dei suoi 876.000
dipendenti un bonus di 105.000 dollari e continuerebbe ad essere ricco come
all’inizio della pandemia.
È venuta palesemente alla luce la distruzione o la mancanza di sistemi
sanitari accessibili alla maggioranza in molti paesi. L’istruzione formale è
stata gestita con grandi limitazioni e in modalità virtuale a tutti i livelli,
facendo crescere il divario tra poveri e ricchi anche in questi settori. Il
carico di lavoro per le donne è aumentato molto più che per gli uomini, come
pure la violenza di genere.
Al brutale aumento della disuguaglianza già esistente, si è aggiunto il
fatto che le misure restrittive per contenere il contagio hanno lasciato un
importante segno negativo sulle relazioni sociali e un’ondata di
riduzione delle lotte sociali, poiché le persone non potevano partecipare
direttamente a proteste, riunioni, ecc. In modo analogo, le
discussioni in seno alle Nazioni Unite sull’alimentazione, il cambiamento
climatico e la biodiversità sono rallentate e divenute più ingiuste (a causa
della lingua, dei fusi orari, dell’accesso a Internet), e le possibilità di
partecipazione della società civile in questi settori sono state seriamente
limitate. La tendenza dei governi del G7 nei confronti degli altri paesi è
quella di rendere permanenti queste discriminazioni.
Per le grandi piattaforme digitali e le società tecnologiche, i profitti
sono stati indescrivibili, non solo in denaro, ma anche a livello di potere e
controllo. Sono già presenti in tutti i settori industriali (compresi quelli
dell’agricoltura e dell’alimentazione), nel lavoro, l’istruzione, la sanità, la
comunicazione, i sistemi di governo, i social network, i sistemi finanziari.
Tutti e tutte siamo loro prede, e il commercio dei nostri dati personali è
la loro principale fonte di profitto. In pratica non sono regolamentate in
alcun luogo, e si è appena iniziato timidamente a cercare di monitorarle in
alcuni paesi, solo per aspetti parziali. Il peso e il potere economico e di
lobbying di queste imprese nei confronti dei governi nazionali e internazionali
sono senza precedenti, oltre al fatto che hanno il controllo dei loro dati e
dei loro strumenti.
Alle misure di Twitter di chiudere gli account di chiunque, decidendo
secondo i propri criteri e convenienze, si aggiunge il recente annuncio di
Facebook e Instagram sulla chiusura degli account che commentano che i vaccini
potrebbero non essere efficaci o che il virus potrebbe essere stato il
risultato di manipolazioni di laboratorio. Oltre al fatto che c’è molta
spazzatura su Internet (che le piattaforme incoraggiano), che siamo contenti
che vengano cancellati i messaggi di Trump, o che siamo d’accordo o meno con
posizioni critiche sui vaccini, il fenomeno della censura esercitato
dai giganti della tecnologia apre una serie di preoccupazioni.
Mentre Facebook – il cui fondatore Mark Zuckerberg è uno di quei 10
uomini più ricchi del mondo – sostiene che i vaccini sono la soluzione alla
pandemia e si arroga il diritto di decidere che cosa si può dire e chi può
parlarne, Oxfam spiega nel suo rapporto che nove persone su 10 nei paesi
poveri quest’anno non avranno accesso ai vaccini, anche se molti dei paesi più
ricchi hanno acquistato dosi per inoculare l’intera popolazione tre volte. Il
dibattito sui molti e diversi impatti di questo settore è urgente e non
rinviabile.
Nonostante il disastro globale causato dalla pandemia, praticamente nulla è
stato fatto sulle sue cause, il che significa creare le basi perché continuino
a prepararsi le prossime pandemie. Ad esempio, non si è fatto nulla per fermare
la distruzione della biodiversità, che aumenta con i megaprogetti
minerari, i trasporti, l’energia, l’espansione della frontiera agricola (si
veda il mio articolo dello scorso aprile: «Gestando la próxima pandemia»).
Il quadro è certamente desolante. Il fatto che molti aspetti del
capitalismo siano venuti allo scoperto aiuta tuttavia a combatterlo. C’è
una crescente rete di dibattiti e azioni tra comunità, organizzazioni e
movimenti popolari che continuano ad operare con solidarietà, pensando, contestando
e costruendo.
Fonte: «El legado de la pandemia», in La
Jornada, 13/02/2021
Traduzione a cura di Camminardomandando.
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