mercoledì 3 marzo 2021

La finanza non molla il carbone - Luca Manes

A cinque anni dall’Accordo di Parigi sul clima, il supporto della finanza globale al settore del carbone non è affatto diminuito e, ad oggi, ammonta a più di mille miliardi di dollari. È quanto emerge dalla ricerca pubblicata oggi da Urgewald, Re:Common e altre 27 Ong internazionali, la prima in assoluto che tenta di analizzare l’esposizione di banche commerciali e investitori nei confronti dell’industria del carbone (https://coalexit.org/finance-data).

La ricerca, aggiornata a gennaio 2021, esamina i flussi finanziari destinati alle 934 società del settore del carbone presenti sulla Global Coal Exit List.

Parzialmente in controtendenza i dati sulla finanza italiana: l’esposizione al carbone dei principali attori quali UniCredit, Assicurazioni Generali e Intesa Sanpaolo inizia a diminuire, dopo aver toccato il suo apice nel 2019. La posizione di avanguardia spetta a UniCredit che, di recente, ha deciso di adottare una politica che entro il 2028 dovrebbe progressivamente azzerare qualsiasi finanziamento a progetti e società coinvolte nel business del carbone.

 

Generali prosegue nel suo disinvestimento dall’industria carbonifera, sulla scia degli impegni presi nel 2018. Una fuoriuscita dal settore che procede tuttavia troppo a rilento, perché gli investimenti nel settore ammontano ancora a più di 200 milioni di dollari, di cui il 10% in ČEZ e PGE, società che stanno ostacolando la transizione energetica rispettivamente in Repubblica Ceca e Polonia.

Nonostante la ricerca si focalizzi solamente sugli investimenti, bisogna anche tenere in considerazione i contratti assicurativi ancora in essere stipulati dal Leone di Trieste con le due società, che aggravano ulteriormente la sua posizione.

Sorprendentemente, tra il 2019 e il 2020 Intesa Sanpaolo ha diminuito i prestiti al carbone di circa il 70%, nonostante una delle policy settoriali più deboli in Europa. Un risultato importante, ottenuto grazie alla pressione esercitata nell’ultimo anno da Greenpeace e Re:Common. «È ora che Intesa sostenga questi passi con l’adozione di una policy sul carbone robusta come quella di UniCredit», commenta Re:Common. «È l’unica maniera per evitare che il sostegno al carbone torni a crescere in futuro, e anzi diminuisca costantemente fino ad azzerarsi entro il 2030».

Se la Conferenza sul clima di Glasgow del 2020 si fosse tenuta regolarmente – è stata rinviata al 2021 per l’emergenza pandemica – avrebbe visto la finanza globale tra i principali imputati per la crisi climatica in corso.

Il 17% degli oltre mille miliardi investiti è imputabile ai colossi statunitensi Vanguard e BlackRock e, tra azioni e bond, gli Stati Uniti pesano per più della metà degli investimenti globali, circa 602 miliardi di dollari.

Anche le banche commerciali non hanno fatto certo di meglio e nel biennio successivo al report IPCC del 2018 hanno erogato 315 miliardi di dollari all’industria del carbone. In prima fila tre istituti di credito giapponesi: Mizuho (22 mld), Sumitomo Mitsui (21 mld), Mistubishi UFJ (18 mld).

 

È sperabile che quest’anno il settore si faccia trovare più preparato all’appuntamento con la CoP Clima di novembre che si terrà a Glasgow, ma di cui l’Italia – che ospiterà a Milano la CoP Giovani e una riunione intersessionale  a settembre/ottobre – ha la copresidenza.

Inoltre, appena una settimana prima della CoP, a Roma si terrà la riunione del G20 a presidenza italiana.

«Nell’anno della COP26, co-presieduta dall’Italia, e del G20 di Roma, la finanza italiana non può tirarsi indietro e deve dare un chiaro segnale. Gli occhi del mondo saranno puntati sul nostro Paese in materia di clima, ambiente e transizione ecologica», commenta Greenpeace Italia.

Articolo pubblicato grazie alla collaborazione con Re:Common

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