“L’uomo che salverà il mondo” è il titolo dello spot web di
Altromercato per migliorare il pianeta cominciando con il semplice gesto di una
colazione equosolidale.
Nato nel 1988 sotto forma di Consorzio con sede legale a
Bolzano e operativa a Verona, Altromercato promuove e realizza pratiche di
sviluppo sostenibile ed economia solidale.
Aggrega più di 100 consorziati fra cooperative ed
associazioni non-profit che coinvolgono attivamente 30.000 persone e 5.000
volontari con la gestione di circa 260 botteghe sul territorio italiano per la
vendita di alimenti, abbigliamento, oggettistica, cosmesi, igiene domestica ed
altro.
Intrattiene rapporti di cooperazione e scambio equo con
oltre 150 organizzazioni di produttori del sud del mondo che comprendono decine
di migliaia di contadini e artigiani marginalizzati dal mercato. Al produttore
paga un giusto prezzo che valorizza i costi reali di lavorazione e consente una
retribuzione dignitosa del lavoro, nel pieno appoggio alle piccole realtà
locali, garantendogli trasparenza e continuità nella relazione commerciale, per
creare nel lungo periodo delle forme di auto-sviluppo economico e sociale.
Altromercato esorta i consumatori a chiedersi sempre da dove
provengono i beni di consumo e a usare il potere della scelta consapevole per
evitare lo sgradevole ingrediente dello sfruttamento delle popolazioni
mondiali.
Nella campagna pubblicitaria suggerisce 7 mosse per iniziare
la giornata da filantropo e una di queste è: “Cerca un biscotto che sia il
frutto della collaborazione tra diversi partner che lavorano per uno sviluppo
sostenibile”. Nelle botteghe lo troviamo alle gocce di cioccolato o al
cacao/arachidi nella linea Buona Colazione, ma chiediamoci: è un prodotto al
100% equosolidale?
È un SI’ per le materie prime che arrivano dagli agricoltori
svantaggiati dei paesi latinoamericani, africani e indiani, ma è un NO per la
produzione perché effettuata nello stabilimento Tonon a Verona.
Quest’ultimo è di proprietà dell’azienda piemontese di
prodotti da forno Monvisio, a sua volta controllata nell’ambito delle private
equity inserendosi nel secondo fondo di investimento italiano Pm&Partners,
di cui importante investitore è l’olandese Alpinvest, riconducibile alla
statunitense Carlyle Group.
Le private equity svolgono attività speculativa, disponendo
di capitali macroscopici (valutati complessivamente per 820 miliardi di dollari
nel 2016) con l’acquisizione di imprese ad alto potenziale di crescita, che
talvolta riorganizzano con profondi tagli dei costi, al fine di massimizzare i
profitti nel breve periodo e disinvestire in 3/4 anni con la vendita delle
azioni, ottenendo delle plusvalenze che ammontano quasi sempre al doppio
dell’investimento iniziale. I settori più gettonati per la speculazione sono
difesa, energia, sanità, infrastrutture, tecnologico, telecomunicazioni,
immobiliare, retail e largo consumo.
Tra gli investimenti fatti da Carlyle Group vi sono:
l’industria di armamenti TEXTRON, specializzata nella produzione delle
micidiali bombe a grappolo, che sganciate da velivoli ed elicotteri colpiscono
per il 98% i civili; l’agenzia di rating canadese DBRS che, insieme alle
statunitensi Fitch, Moody’s e Standard & Poor’s, rappresentano i demiurghi
delle crisi finanziarie che attraverso delle controverse valutazioni di
declassamento destabilizzano l’equilibrio finanziario di interi Paesi.
Primi azionisti di Carlyle Group sono le banche d’affari
newyorkesi Morgan Stanley e Goldman Sachs. Qui siamo al top della finanza
aggressiva! Parliamo di superspeculatori mondiali sulle commodity (materie
prime/derrate alimentari) nel doppio ruolo di investitori e di trader che gli
consente il reperimento e l’utilizzo di informazioni privilegiate per giocare
sui prezzi a rialzi inflazionistici o ribassi deflazionistici, assumendo
posizioni monopolistiche nella distribuzione di cibo, minerali e petrolio, con
l’unico obiettivo di conseguire profitti miliardari nel più breve tempo
possibile, a scapito dei Paesi più poveri in Africa, in India e nell’America
Latina.
Un’amara colazione per il consumatore etico che voleva
salvare il mondo e invece lo peggiora sostenendo un mercato tutt’altro che
equosolidale.
angelo maddalena
Il commercio equo e solidale è in una crisi irrisolta da
almeno vent’anni, da quando, nel 1997 anno più anno meno, Alex Zanotelli, che
aveva contribuito a lanciare in Italia il commercio equo e solidale, aveva
scritto su Avvenimenti di oscuri giochi di Altromercato che stipulava contratti
esclusivi con alcuni produttori per non farli collaborare con altre centrali di
importazione. Nel tempo si sono succeduti vari “scandalucci” e paciocchi dalla
Sicilia all’Umbria Solidale di cui sono stato tristemente testimone. In Francia
da anni già sono usciti libri di critica all’economia etica, in Italia c’è una
cappa per far evitare di esprimere critiche o far venir fuori lati poco
chiariti di realtà etiche e solidali. L’idea che mi sono fatto, da Milano
all'Umbria, alla Toscana alla Sicilia, sfiorando o frequentando amici e persone
conosciute di passaggio del circuito del commercio equo, è che c’è un tessuto
di cattocomunisti che frequenta come volontari e come lavoratori il circuito
del commercio equo. Le condizioni di lavoro delle cosiddette cooperative, al
limite tra volontariato, sfruttamento e cose del genere l’ho visto a Milano
come in Sicilia come in Umbria. Il tessuto psicologico, o sostrato che dir si
voglia, mi è apparso profondamente o tendenzialmente “repressivo”, o comunque
tipico di persone che se anche fanno riferimento a principi come il cattolicesimo
e il comunismo, lo fanno in modo poco approfondito, e quindi rimangono a un
livello di individui che non “escono” dalla comunità, dal collettivo o dalla
cooperativa, e così facendo rimangono “schiacciati” e schiaccianti nei
confronti di chi esprime un pensiero libero e individuale quindi critico nei
confronti della sacralità del collettivo o del circuito di commercio equo e
solidale. Una solidarietà molto superficiale però: ho visto più di una persona
militante del commercio equo e solidale duramente ostile nei confronti di
pratiche estremamente pacifiste ma di azione diretta e individuale, e poi una
confusione tra pubblico e comune, per cui la critica o l’azione diretta
meramente simbolica nei confronti dello Stato viene fraintesa come illegalità e
quindi condannata, tutto ciò porta all'immobilismo e alla depressione latente.
Detto questo, devo riconoscere di dovere ad amici del commercio equo e solidale
la solidarietà e l’avermi aperto negli anni ’90 possibilità di coscienza
politica internazionale, ho lavorato anche come venditore della Bottega Quetzal
di Modica e ho fatto progetti nelle scuole medie ed elementari di educazione
alla mondialità. Francesco Terreri in un Inforum di Altromercato a Paestum nel
2000 diceva che il commercio equo e solidale è comunque elitario perché si
rivolge a un target di 200 milioni di persone in tutto l’Occidente (Europa e
Stati Uniti credo), cioè una minoranza che può permettersi di comprare prodotti
con prezzi più alti della media, a volte poco più alti altre volte molto più
alti. Daniele Novara, nel libro Educare alla pace, cita il commercio equo e
solidale come esperienza importante ma cita alcuni punti critici, tra cui il
fatto che alimenta l’importazione di prodotti coloniali (caffé, thé, cacao..)
che comunque comportano un impatto ecologico non molto leggero per via dei
trasporti a lunga distanza (navi, aerei ecc.). C’è una canzone molto dura ma
molto bella dei Perturbazione che si chiama Io sono vivo voi siete morti,
dedicata proprio al commercio equo e solidale. Poi da almeno 15 anni a questa
parte, oltre a diventare una moda per ripulire la coscienza di benpensanti e
benestanti cattocomunisti al ribasso, il commercio equo (Altromercato in testa)
ha assunto manager e responsabili di marketing di alto livello, abbandonando
tra l’altro la, piccola distribuzione delle botteghe e approdando negli
scaffali dei supermercati, dalla Coop all’Esselunga (questa una delle critiche
di Zanotelli tra l’altro). Non vorremmo che diventi sempre di più marketing
commerciale travestito da equo e solidale
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