Rilevante interesse economico e sociale. Espressione che compare
costantemente in progetti, leggi, disegni di legge e delibere che prevedono
interventi, spesso pesanti, sull’esistente. Questa estate Sardegna Soprattutto
ed altri luoghi hanno animato una discussione civile ed ordinata sugli ultimi
provvedimenti della Giunta Regionale in materia urbanistica e degli usi civici.
Molte personalità con competenza hanno mostrato i limiti e le
contraddizioni di quei disegni di legge e delibere sia sulla loro coerenza
costituzionale e statutaria, che su quella prettamente tecnica.
Non è il caso di ripeterle. Chi è interessato le troverà tutte su questa
rivista. Rilevante interesse economico e sociale, per chi? È
la prima domanda che bisognerebbe porsi. Quella espressione non a caso antepone
l’interesse economico- la vera rilevanza- a quello sociale, specie quando
l’investimento è ad opera di grandi gruppi finanziari o di fondi sovrani come
il Qatar.
L’interesse sociale, se vi è, è limitato ai posti di lavoro. In una regione
come la nostra con tassi di disoccupazione stellari e la continua emigrazione
di personale qualificato, il lavoro è la scusa per le peggiori aggressioni al
nostro territorio. È stato così con le miniere, la grande industria, l’edilizia
sulle coste, le stesse basi militari. Il risultato è davanti ai nostri occhi
tutti i giorni.
Una privatizzazione del valore ed una esternalizzazione dei costi in
termini di terra sottratta, impermeabilizzazione dei suoli, inquinamento,
mutamento in peggio di paesaggio e qualità della vita per i residenti. L’unico
controvalore pochi stipendi in balia dei cicli economici ed usati per
giustificare, in caso di crisi, ulteriori finanziamenti pubblici per essere
ancora erogati.
Il dizionario Treccani così definisce i beni comuni: Commons. Si
tratta di beni di interesse comune, fruibili senza restrizioni – aspetto che ne
muterebbe automaticamente lo status – dai membri di una comunità, che li
gestisce, facendo in modo che il ‘consumo’ da parte di uno dei soggetti non
renda meno accessibile il bene stesso agli altri soggetti interessati.
La privatizzazione di queste risorse è ormai un fenomeno mondiale. Si va
dalle terre fertili da cui viene scacciata la piccola economia contadina per
essere date alle grandi multinazionali del cibo, ai semi che sono diventati, in
maggioranza, proprietà di poche industrie sementiere. Beni materiali e
immateriali che vengono sottratti al godimento di tutti. Una caso emblematico è
la medicina.
Sabin quando sintetizzò il vaccino per la poliomelite non lo sottopose a
brevetto perché voleva che tutta l’umanità ne potesse godere. Oggi si assiste
al paradosso di una ricerca medica realizzata con fondi pubblici, brevettata e
divenuta proprietà dell’industria farmaceutica.
Il risultato sono medicine che costano migliaia di dollari a confezione e
che spesso non possono permettersi neanche i servizi sanitari pubblici. Se sei
ricco puoi curarti, se non lo sei no.La privatizzazione dei beni comuni ha come
conseguenza una ineguaglianza senza pari tra cittadini; sancisce la legge del
più forte, agisce da disgregatore delle comunità e dell’ordine sociale.
I rigurgiti fascisti e xenofobi di questa estate trovano spiegazione, in
parte, nel disagio percepito da una maggioranza di popolazione che sempre più
sente di essere esclusa, messa ai margini.
La xenofobia, a questo punto, è il moto dell’animo che identifica nel
migrante la causa del proprio impoverimento, ne fa il capro espiatorio.Tutto
questo ai privatizzatori va più che bene, non si sentono
oggetto di conflitto ma agiscono per spostare la rabbia sui più deboli.
Atteggiamento che rientra perfettamente nella loro teorizzazione: non
esiste società ma un insieme di individui concorrenti e di conseguenza nessun
bene comune, ma uno spazio materiale e immateriale che aspetta solo di
essere valorizzato a vantaggio del più forte. Può reggere una
società o una comunità concepita in questo modo?
Certo che può e non a caso agli spazi di democrazia che si riducono,
consegue un aumento delle forza di polizia e la sicurezza diventa
il valore dominante ed universalmente accettato; finché dura però. La Sardegna
non fa eccezione. Eppure la protezione del bene comune nella nostra isola
comincia con Eleonora D’Arborea e la Carta de Logu, dove spazi
pubblici ed interesse privato sono rigidamente regolati.
Oggi assistiamo al paradosso di una Giunta Regionale che si racconta sovranista che
critica lo Stato italiano perché gli impedisce di vendere beni
indisponibili ai fondi sovrani, ovvero ad uno stato straniero come il Qatar.
Eppure il PPR è legge voluta dai sardi.
Misteri teologali della permanenza al potere.
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