Un nuovo crimine delle multinazionali! Di ritorno in questo bellissimo
Paese dopo oltre diciotto anni di assenza, mi rendo conto di un fatto purtroppo
incontrovertibile: la stazza media
dei cilenie, peggio ancora, delle cilene, è incontrovertibilmente
aumentata.
Secondo una tesi, cui mi sento di aderire, tale deplorevole fenomeno
sarebbe dovuto più che altro alla diffusione del junk food in stile yankee, qui
noto come comida chatarra, peraltro attestato dal profluvio di
McDonald’s & C. che spuntano come funghi ovunque arrecando anche un danno estetico ed olfattivo all’ambiente
circostante.
Tanto più deplorevole, tale fenomeno, se pensiamo che ci troviamo in
un Paese di grandi tradizioni gastronomiche, attestate fra l’altro dall’ottimo
padiglione allestito in sede Expo che ebbi occasione di
visitare in ottobre: dal leggendario curanto di Chiloé all’incantevole empanada de pino,
dal classico pastel de choclo agli strepitosi frutti di mare a
tanti altri piatti e specialità. Per non parlare della frutta e della verdura
di grande qualità e varietà che vengono esportate in tutto il mondo. Niente da
fare, pare che buona parte dei Cileni preferisca ingozzarsi di hamburger e
patatine fritte. Ed ecco i risultati: la stazza media aumenta incontrovertibilmente
e ciò non è affatto segno di buona
salute. Tanto più che, come avevo segnalato oltre tre anni fa, l’obesità sta diventando un problema globale.
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Visto da qui, dagli antipodi, in effetti, quello della diffusione
incontrastata del junk food appare certamente unfenomeno mondiale, che non
risparmia neanche gli Stati apparentemente più lontani dall’american way
of life. Ovviamente da quello dei poveracci visto che i ricchi, anche
e soprattutto negli Usa, sono oggi più che mai salutisti e al tempo stesso raffinati. Del resto se lo
possono permettere.
Non bisogna tuttavia ritenere che una dieta diversa, più ricca e meno nociva,
debba necessariamente costare molto. A condizione beninteso dell’esistenza di
politiche pubbliche volte a garantire insieme il diritto all’alimentazione sia
da un punto di vista qualitativo che quantitativo, la biodiversità, la
diversità culturale e la sovranità alimentare, tutti peraltro elementi fra loro
indissolubilmente legati.
Proprio quello che, ahinoi, manca un po’ dappertutto e in mancanza di tali
politiche si erge incontrastata la dittatura
del mercato, sub specie di grandi imprese multinazionali
operanti nel settore dell’alimentazione, quali per l’appunto McDonald’s e
simili, la gente ingrassa e si ammala, l’effetto serra indotto dai grandi
allevamenti aumenta e l’ambiente deperisce.
Non mancano analisi dettagliate del modo in cui tutto ciò avviene.
Quello che manca è la volontà politica di cambiare strada.Un po’ come
avviene per le famiglie assuefatte ai cibi pronti. Nel caso dell’industria
alimentare tuttavia non si tratta di mera pigrizia. C’è un dato culturale e
politico di cui tener conto: la malsana credenza secondo la quale il sistema economico va lasciato in
pace dato che ad ogni modo è l’unico possibile o comunque
il migliore e che ogni tentativo di percorrere una strada diversa
è destinato al fallimento e a provocare problemi ancora più gravi. Quello
che si potrebbe definire il “fatalismo neoliberale”.
E che risulta irrimediabilmente sbagliato specie in un settore strategico
come quello dell’alimentazione in cui si incrociano molteplici considerazioni
relative alla tutela della salute e a quella dell’ambiente, ma anche altri
fattori quali l’identità culturale e
la stessa autonomia politica (un
popolo che non possa disporre pienamente delle sue fonti di nutrimento è ben
più suscettibile di essere asservito o indotto a votare in un certo modo, basta
rallentare adeguatamente il flusso degli alimenti o magari quello del
dentifricio e della carta igienica, non mancano esempi anche molto recenti di
evenienze del genere, e a quanto pare funziona).
E’ quindi necessario ed urgente, in tutto il mondo, ripensare attentamente
e ricostruire dalle fondamenta le politiche pubbliche relative
all’alimentazione anche per renderle coerenti con i principi e le norme del
diritto internazionale relativi ai settori menzionati, i quali fra l’altro
richiedono che il cibo presenti determinati requisiti qualitativi oltre che
quantitativi.
Per cominciare, si potrebbero requisire i locali che ospitano i fast food
delle multinazionali, per destinarli a piccole e medie aziende autogestite che
pratichino agricoltura, allevamento
e gastronomia sostenibili. Ai prevedibili reclami opposti dai giganti
dell’alimentazione si potrebbe replicare sostenendo, a ragione, il valore
incomparabilmente superiore dei beni ed interessi che esse ledono
quotidianamente con la loro azione devastatrice.
Ma è solo uno di tanti possibili esempi. In attesa di possibili
articolazioni occorre confermare il seguente assunto di carattere generale: in
mancanza di nuovi soggetti pubblici in grado di praticare nuove politiche
pubbliche in grado di tutelare efficacemente valori e interessi globali, questa
umanità sarà inevitabilmente destinata
alla fame e/o alla sovralimentazione, due facce della stessa ormai
logora ma pur sempre dominante medaglia, peraltro in un medesimo contesto di
degrado ambientale ed umano.
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