C’è un invitato di pietra alla favolosa riunione della Cop 21, la
ventunesima riunione della Conferenza delle parti interessate alla limitazione
dei mutamenti climatici: le merci. A Parigi per due settimane ministri,
sottosegretari, scienziati, lobbysti, industriali, cercheranno di inventare strumenti
fiscali, economici, incentivi e commerci per diminuire le modificazioni della
composizione chimica dell’atmosfera dovute alle emissioni di “gas serra”, come anidride
carbonica, metano, ossidi di azoto, composti organici alogenati, eccetera e ai
cambiamenti dei terreni agricoli e delle foreste. Si parla di oltre 40 miliardi
di tonnellate all’anno di gas serra: una parte viene eliminata dall’atmosfera
trascinata dalle piogge nei mari; una parte contribuisce alla fotosintesi; una
parte, circa 20 miliardi di tonnellate all’anno, va ad aggiungersi ai circa
3.000 miliardi di tonnellate di gas serra che già sono presenti nei 5 milioni
di miliardi di tonnellate di gas dell’atmosfera. Tenendo conto del peso
specifico dei vari gas, il volume dei gas serra nell’atmosfera aumenta ogni
anno di circa due unità ogni milione di volumi di gas totali (ppm).
Tutti parlano di pi-pi-emme, di aumento della
temperatura terrestre, del pericolo di avanzata dei deserti, di tempeste
tropicali, di fusione dei ghiacciai, di aumento del livello dei mari, ma nessuno dice
esplicitamente che tutti questi guai sono dovuti alla crescente domanda di
energia la quale, a sua volta, dipende, direttamente o indirettamente dai
combustibili fossili. E che l’energia non è una cosa astratta, ma “serve” per produrre
merci (cemento o acciaio, grano o plastica, navi o telefoni mobili, eccetera) o
servizi (mobilità o sanità, o istruzione; c’è energia anche “dentro” i libri o
i banchi di scuola, eccetera). Per rallentare i cambiamenti climatici
non è possibile diminuire i gas serra che già sono nell’atmosfera; si può solo
aggiungerne di meno ogni anno e per fare questo ogni anno bisogna usare meno
energia fossile.
Molti governanti cominciano a essere spaventati dal fatto che i cambiamenti climatici comportano dei costi, necessari per
risarcire i proprietari della case allagate, dei campi alluvionati, delle
strade franate, e fanno arrabbiare gli elettori, e da anni si
incontrano, senza successo, per arzigogolare qualche strumento fiscale o
monetario o per incentivare qualche forma di energia che emetta meno gas serra:
solare, eolico, o anche (chi si vede ?) nucleare. Senza contare che anche le
macchine che producono elettricità o calore rinnovabili o con la fissione
nucleare, proposti come soluzioni “decarbonizzate”, l’orribile neologismo, sono anche loro
merci che, andando a ritroso nel ciclo produttivo che le ha fabbricate, hanno
richiesto fonti energetiche fossili. Dall’albero della conoscenza non pendeva
una mela ma pendevano barili di petrolio, sacchi di carbone, serbatoi di
metano.
Alcuni paesi, e anche il nostro, stanno timidamente
facendo qualche passo per cambiare le attuali tecnologie e gli attuali prodotti, per ottenere automobili, frigoriferi, plastica, dissalatori,
centrali, abitazioni, che hanno richiesto o richiedono meno
energia nella fabbricazione o nel funzionamento, che consumano un po’ meno
energia per tonnellata di grano o per chilometro percorso o per chilo di cibo
conservato al freddo o per metro quadrato di spazio abitabile; macchine o beni
o servizi talvolta baldanzosamente pubblicizzati come “energia zero”. Niente è
possibile ottenere senza energia; la natura non da niente gratis. Altri passi avanti
potranno essere fatti, soprattutto se progrediranno i metodi, ancora
balbettanti, di corretta misurazione del “costo energetico”, cioè della
quantità di energia richiesta per unità di peso o di servizio, una operazione
che richiede il contributo della Merceologia, la scienza capace di descrivere i
flussi di materia e di energia e la qualità delle merci.
L’auspicabile diminuzione del costo energetico delle
merci è però neutralizzata dall’aumento della loro quantità, imposto dalle
regole della società dei consumi e del profitto. Se i governanti
avessero una sincera intenzione di rallentare gli effetti disastrosi, e
costosi, dei cambiamenti climatici dovrebbero avere il coraggio di incoraggiare la
diminuzione dei consumi di merci — e quindi di energia — anche a
costo di disturbare gli interessi della maggior parte degli elettori, venditori di
combustibili, fabbricanti di merci, padroni e lavoratori e commercianti e gli
stessi “consumatori” intossicati dalla pubblicità, complici e vittime. Se i potenti della
Terra non hanno voglia di mettere in discussione il mondo dei soldi e degli
affari, si tengano le città allagate e i campi inariditi.
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