Cap and Trade, il finanziamento e la compensazione delle emissioni inquinanti negli
ultimi anni ha rivelato tutta la sua dannosità ed è sicuramente uno dei meccanismi che rivelerà se si è veramente
deciso di cambiare strategia o se i poteri forti sono riusciti ancora una volta
a imporre la logica del profitto ad ogni costo.
Per ricostruire la storia di questo errore drammatico
seguiamo l’approfondita analisi contenuta nell’ultimo libro di Naomi Klein,
uscito in Italia a gennaio di quest’anno. Procediamo per punti, tralasciando
tutti gli esempi e i casi paese contenuti in questo testo, al quale però
rimandiamo per una ricostruzione approfondita e documentata, che sostiene tutta
l’analisi della nota ricercatrice.L’origine della scelta può essere fatta
risalire all’amministrazione Clinton, intervenuta nei negoziati per il
Trattato internazionale sul clima che sarebbe poi diventato il Protocollo di
Kyoto. L’idea iniziale, relativa alla ricostituzione della fascia dell’ozono,
pesantemente intaccata da clorofluorocarbonio, i gas liberati dalle bombolette
di aerosol e dai refrigeranti contenuti nei frigoriferi, era che i paesi
industrializzati avrebbero prima ridotto la produzione entro un tetto
prefissato e poi li avrebbero sistematicamente eliminati anno dopo anno. “Paesi
in via di sviluppo” e Unione Europea presumevano che i vari governi dei paesi
industriali avrebbero varato severe normative nazionali per ridurre le
emissioni, tassando il carbonio e incentivando il passaggio all’energia da
fonti rinnovabili. Ma la nuova amministrazione propose una strategia
alternativa, cioè di creare un sistema del commercio internazionale del
carbonio che imitava il mercato del cap and trade che era stato
utilizzato in passato contro le piogge acide. Ciò comportava che venissero
concessi dei permessi per continuare ad inquinare, che potevano
essere utilizzati o venduti, o addirittura comprati in modo da poter inquinare
di più. Tutti i progetti finalizzati a tenere il carbonio lontano
dall’atmosfera, magari piantando alberi che lo assorbissero o producendo
energie a bassa emissione di carbonio, oppure modernizzando una fabbrica per
ridurne le emissioni, potevano ottenere dei “crediti di carbonio” .
Il governo statunitense si mostrò entusiasta da tale
approccio, mentre l’ex ministro dell’ambiente francese, Voynet, lo descriveva
come un “conflitto radicalmente antagonistico” tra Usa ed Europa, che dal canto
suo considerava la creazione di un mercato globale del carbonio equivalente ad abbandonare
la crisi climatica alla “legge della giungla”, e la Merkel, all’epoca
ministro dell’ambiente tedesco, insisteva nel dire che “lo scopo delle nazioni
industrializzate non può essere quello di rispettare i propri obblighi solo
tramite il profitto e il mercato delle emissioni”.
In una seconda fase, tuttavia, gli Stati Uniti non
ratificarono l’accordo di Kyoto, mentre l’Europa divenne il più importante
mercato delle emissioni, adottando nel 2005 il Sistema europeo di scambio quote
di emissioni.
All’inizio i mercati parvero
decollare: tra il 2005 e il 2010 la banca Mondiale stimo che i
vari mercati del carbonio creassero oltre 500 miliardi di dollari di fatturato,
mentre i progetti per generare crediti di carbonio nel 2014 erano oltre 7000.
Poi cominciarono ad emergere gli effetti negativi del sistema. In primo luogo,
qualunque progetto industriale, anche strampalato, poteva generare crediti
lucrativi, e qui la Klein ricorda che le imprese petrolifere della
Nigeria hanno chiesto di essere ricompensate per aver interrotto la pratica di
incendiare il gas naturale che accompagnava la fuoriuscita del petrolio, pur
essendo questa pratica illegale nel paese dal 1984. Ricorda anche le fabbriche
cinesi di refrigeranti, che emettono come sottoprodotto il trifluorometano,
potentissimo gas serra. In pratica il sistema è talmente lucrativo che ha dato
luogo a degli incentivi perversi, cioè diventava più profittevole distruggere
un sottoprodotto che continuare a fabbricate il prodotto principale, peraltro
fortemente inquinante! In sostanza, la possibilità di ricevere soldi
presentando progetti che regolano la quantità di una sostanza invisibile tende
ad essere una sorta di calamita per truffe.
D’altro canto, molti paesi agricoli sono
rimasti vittime di rapine e truffe, spesso giocando sull’isolamento degli
indigeni, i cui territori, specie se coperti di foreste, possono essere
classificati come “opere di compensazione”, purché li cedano a imprese
(talvolta inesistenti) che li fanno riconoscere come oggetti di “crediti di
carbonio”. Purtroppo gli esempi riportati dalla Klein sono molto numerosi,
e comprendono anche esempi di organizzazioni che si presentano come
ambientaliste e che invece talvolta arrivano perfino ad espropriare o a
sfruttare le popolazioni locali e quindi il meccanismo ha di fatto creato una
nuova categoria di violazioni dei diritti umani. Scrive Naomi Klein:
“È molto più facile strappare una zona di foresta a
gente politicamente debole in un paese povero, che fermare i potenti
inquinatori dei paesi ricchi”.
E aggiunge:
“Un’ulteriore ironia è rappresentata dal fatto che
molte delle persone sacrificate in nome del mercato del carbonio conducono le
esistenze più sostenibili del pianeta. Hanno un legame forte e reciproco con la
natura, attingono agli ecosistemi locali su scala ridotta, e curano e
rigenerano la terra, in modo che continui a fornire sostentamento a loro e ai
loro discendenti”.
E conclude:
“Il problema è che, adottando questo modello di
finanziamento, anche i progetti verdi migliori sono resi inefficaci in risposta
al problema del clima, perché per ogni tonnellata di anidride carbonica che
viene tenuta lontana dall’atmosfera, un’azienda del mondo industrializzato è
libera di pomparvene un’altra tonnellata, utilizzando una di queste aree di
compensazione come pretesto per affermare di aver neutralizzato l’inquinamento.Un passo avanti, uno indietro. Nel migliore dei casi si finisce per correre
sul posto. E, come vedremo, ci sono altri modi, molto più
efficaci del mercato del carbonio, per finanziare lo sviluppo ambientale”.
Del resto secondo Oscar Reyes, esperto di finanza del
clima dell’Institute for Policy Studies, “Le deboli regolazioni delle emissioni
e la regressione economica delle nazioni ricche hanno causato il crollo del 99
per cento dei crediti di carbonio tra il 2008 e il 2013”. Il testo della Klein
si spinge ancora più avanti:
“Ma se il cambiamento climatico comporta rischi pari a
quelli di una guerra nucleare, allora perché non reagiamo con la serietà che un
tale paragone implicherebbe? Perché non ordiniamo alle
aziende di smetterla di mettere a rischio il nostro futuro, invece di
corromperle e cercare di convincerle?”.
Nel 2013, una rete di 130 gruppi di giustizia
ambientale ed economica hanno affermato che il sistema europeo, l’Ets,“non ha ridotto le emissioni di gas serra…I peggiori
inquinatori non hanno dovuto sottostare a quasi nessun obbligo di ridurre
l’inquinamento. Anzi, le opere di compensazione sono sfociate in
un aumento delle emissioni in tutto il mondo: perfino le fonti più conservative
stimano che tra un terzo e due terzi dei crediti di carbonio acquistati
nell’ambito dell’Ets non rappresentino reali riduzioni delle emissioni di
carbonio”.
Dopo questa rapida sintesi dell’analisi della Klein,
che merita di essere studiata nella sua interezza, possiamo richiamare le
valutazioni di altri esperti…
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