«A hard rain is gonna fall» (1)
cantava Bob Dylan nel 1962 riferendosi al fall-out atomico: poi è successo,
anche se in dimensioni non del tutto apocalittiche, sia a Chernobyl – nel 1986,
quando sotto i portici di Verona il contatore geiger strillava come un ossesso
(2) – sia a Fukushima fra l’11 e il 16 marzo 2011 (3).
Oggi però dal cielo sta cadendo, invisibile come allora, un’altra pioggia:
quella delle microplastiche. Perciò ci siamo decisi: abbiamo provato a
sostituire la spugnetta abrasiva che usiamo (e che tutti usano da qualche
decennio) in cucina con un pezzo di “luffa” (4): è una spugna vegetale che si
ricava dall’essicazione della Luffa cylindrica, una pianta che
appartiene alle Cucurbitacee che produce frutti simili ad una grande zucchina,
dalla polpa solida, elastica e spugnosa (5). Un piccolo gesto per evitare che
ulteriori residui di fibre plastiche scivolino via, giorno dopo giorno, dal
lavandino della nostra cucina. Vedremo cosa potremo fare per le microfibre
rilasciate dagli indumenti nell’acqua reflua della lavatrice.
Intanto, ho tradotto – e un po’
sintetizzato – l’articolo recensito da “Nature” (6) e da “Wired”
(7) e pubblicato su PNAS – Proceeding of the National Academy of Sciences of
the United States of America (8) – una rivista scientifica altrettanto
affermata e affidabile a livello internazionale.
La plastica sta cadendo dal cielo. Ma da
dove arriva?
Oltre 1.100 tonnellate di microplastica stanno galleggiando nell’aria degli
Stati Uniti occidentali. (7)
Se vi trovaste in qualche sito isolato
degli USA occidentali (a Yellowstone, oppure nei deserti dello Utah o nelle
foreste dell’Oregon) facendo un respiro profondo inalereste un po’ d’aria
fresca insieme a un po’ di microplastica: secondo un nuovo studio 1.100
tonnellate di microplastiche “veleggiano” sopra gli Stati Uniti occidentali,
contaminando gli angoli più remoti non solo del Nord America ma anche il resto
del mondo. La microplastica è la nuova pioggia acida. Da dove viene tutto
questo? Si potrebbe pensare che derivasse da inquinanti delle città vicine,
come Denver e Salt Lake City. Ma i nuovi modelli pubblicati ieri negli “Atti
della National Academy of Sciences” (1) indicano che l’84% delle microplastiche
aero-disperse nell’aria proviene effettivamente dalle strade ma non da quelle
urbane.
Un altro 11% invece sembra che arrivi dall’oceano: le particelle microplastiche
infatti rimangano sospese nell’aria per quasi una settimana, un tempo più che
sufficiente per loro per attraversare continenti e oceani. Le microplastiche,
più piccole di 5 millimetri, provengono da numerose fonti: i sacchetti e le
bottiglie di plastica rilasciati nell’ambiente si scompongono in pezzi sempre
più piccoli.
Un’altra fonte importante sono …le lavatrici: quando laviamo indumenti fatti
con tessuti sintetici, minuscole microfibre si staccano e vengono scaricate
nelle acque reflue: i depuratori fognari urbani producono fanghi residui,
intrisi di microfibre e spesso riciclati come fertilizzanti usati nei terreni
agricoli. Però, anche le acque depurate, poi immesse nei fiumi, pare contengano
ancora una frazione più sottile delle micro-fibre plastiche. Quindi, ormai da
decenni, la plastica che non si dissolve mai del tutto si sta accumulando
nell’acqua dei mari e degli oceani in modo esponenziale.
E il ciclo prosegue perché «la quantità di plastica che si trova nel
nostro oceano è maggiore di quella che produciamo in un dato anno nell’ambiente
terrestre» (J. Brahney, Utah State University, coautrice della nuova
ricerca pubblicata su PNAS).
Queste microplastiche non si limitano ad accumularsi sulle spiagge: quando le
onde si infrangono sulle coste, i venti trasportano anche le goccioline di
acqua marina, che contiene non solo sale ma anche materia organica e
microplastiche. Quando poi quell’acqua evapora rimangono solo gli aerosol o
minuscoli frammenti galleggianti di particolato.
Dunque anche le microplastiche viaggiano con le brezze marine per poi
disperdersi nell’aria.
Gli autori di questo studio hanno anche esaminato altre fonti di emissioni di
microplastiche: ad esempio quanta polvere viene generata dai campi coltivati,
per valutare quanta microplastica potrebbe esservi contenuta. Applicando questi
dati a modelli di condizioni atmosferiche e climatiche, hanno poi tracciato da
dove le particelle erano probabilmente arrivate: si è così scoperto che le
polveri originate dai terreni coltivati (specie dalle grandi superfici arate
meccanicamente) forniscono solo il 5% delle microplastiche contenute
nell’circolazione atmosferica, le polveri urbane ne originano appena lo 0,4%.
La componente principale di quest’ultime deriva dalla normale usura di
pneumatici, che non sono fatti di pura gomma: contengono gomme sintetiche oltre
a una sfilza di altre sostanze chimiche. Le particelle di pneumatici quindi
sono tecnicamente microplastiche: uno studio del 2019 ha calcolato che ogni
anno 7 trilioni di micro-plastiche si riversano nella baia di San Francisco, la
maggior parte da pneumatici. In realtà le microplastiche da traffico stradale e
dalla frantumazione di rifiuti urbani non si diffondono del tutto
nell’atmosfera: gli edifici limitano la capacità del vento di sollevare polveri
e microplastiche. Inoltre la velocità del traffico urbano è minore, quindi le
particelle di pneumatici restano, almeno in parte, sulle carreggiate e sui
marciapiedi. Diversamente ai lati delle autostrade e delle strade provinciali
ci sono più spazi aperti, dove i venti possono sollevare polveri detritiche. Se
poi la velocità media degli automezzi è superiore ai 70-100 km all’ora, le
polveri sono trasportate con maggior energia e quindi entrano nell’atmosfera
più facilmente.
Dunque diventa difficile determinare l’origine delle microplastiche: hanno
ormai saturato così completamente l’ambiente che, in un certo senso, si sono
“omogeneizzate”.
Sia le fibre di indumenti sintetici che i micro-frammenti di imballaggi
degradanti sembrano muoversi tra l’aria, la terra e il mare con una tale
regolarità da rendere difficile l’individuazione delle fonti di specifici
polimeri. Per tutta questa complessità è fondamentale comprendere meglio come
le microplastiche si muovono fra gli ambienti. Purtroppo questo tipo di
ricerche è ancora agli inizi: questo nuovo studio si è concentrato sull’Ovest
degli USA, territori piuttosto aridi e polverosi, una condizione ambientale che
facilita la diffusione area delle microplastiche generate dal traffico
automobilistico.
Un altro aspetto di questa complessità è che spesso, in Europa, i rifiuti di
plastica sono incorporati nel fondo stradale come materiale da costruzione: un
buon modo di riciclare le componenti più tenaci ma che può portare all’aumento
delle micro-plastiche da usura, che si sommano a quelle derivate da pneumatici.
Studio dopo studio, l’importanza del trasporto atmosferico sta diventando sempre
più evidente: «Viviamo su una palla dentro una bolla» ha affermato
Steve Allen, (specialista in microplastiche dell’Università di
Strathclyde): «Non ci sono confini» per questo fenomeno e le
microplastiche stanno «andando in mare e poi fuori dal mare. Sta piovendo
sulla terraferma e poi vengono sospinte in aria, per spostarsi da qualche altra
parte».
Un processo insomma che – valutandolo su scala almeno decennale – sta
producendo una “plastificazione diffusa” di ambienti e di organismi, con
prospettive involutive imprevedibili. Unica soluzione, per quanto parziale:
fermare la produzione di materiali plastici, prima che questa pandemia chimica
diventi irreversibile.
LINKS
1.
https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?lang=it&id=3
2.
https://www.youtube.com/watch?v=3vggtuWEp-U
3.
https://www.youtube.com/watch?v=NkKY8AOIFqo
4.
https://it.wikipedia.org/wiki/Luffa
5.
https://www.greenme.it/consumare/detergenza/luffa-spugna-naturale/
6.
briefing@nature.com
14.4.2021 – L’atmosfera è carica di minuscoli frammenti di plastica. Uno studio
recente ha concluso che l’aria sopra gli U.S.A. contiene quasi 1.000 tonnellate
di microplastica: l’84% proviene dalle strade, prodotto in gran parte dal
consumo dei pneumatici delle auto. E l’11% viene portato dai venti che soffiano
sull’oceano, nella cui acqua sono in sospensione quantità esponenziali di
microplastiche derivate dai processi di frammentazione dei rifiuti di plastica.
A tal punto che la maggior parte dei continenti ormai riceve dagli ambienti
marini, tramite il vento, più di quanta ne immettano.
7.
https://www.wired.com/story/plastic-is-falling-from-the-sky
8.
https://www.pnas.org/content/118/16/e2020719118
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