Oggi si inizia a parlare, finalmente, di ecosostenibilità; le riflessioni che seguono riprendono il problema con un taglio orientato ad avanzare alcune ipotesi esplicative su che cosa significherebbe se la si applicasse, l’ecosostenibilità, in specifico anche agli esseri umani.
“Un pianeta migliore è un sogno che
inizia a realizzarsi quando ognuno di noi decide di migliorare se stesso”.
Questa frase, attribuita a Gandhi, è ricca di suggestioni. Una di queste racconta
di un rapporto strettissimo tra noi e il pianeta. Come dire che noi non solo
viviamo in questo pianeta ma ne siamo parte e insieme agli altri esseri viventi
ne siamo costruiti e lo costruiamo. E ancora: se
il nostro diventare esseri migliori aiuta il pianeta allora,
non solo possiamo, ma dobbiamo diventare migliori perché dal nostro star bene
dipende anche il benessere del mondo in cui viviamo. Più terra terra: se io sto
male, stai male anche tu e viceversa. E se tu stai bene, sto bene anch’io e
viceversa.
Proviamo a pensare un attimo a una
persona a noi cara: se sta bene, in qualche modo ci sentiamo meglio anche noi.
A questo punto proviamo a vederci come di fatto siamo, persone che hanno – chi
più, chi meno – parenti, familiari, colleghi, amici, conoscenti e altro ancora.
E ora proviamo un esperimento mentale in cui ognuna di queste persone con cui
abbiamo alcuni dei rapporti accennati, ne abbia a sua volta altrettanti, di
rapporti. Il risultato sarà una rete, una rete quasi infinita di relazioni e
collegamenti.
Ma non c’è collegamento alcuno senza
il trasferimento dall’uno all’altro di un qualcosa in un
circolo di dare-avere e avere-dare: fosse anche solo un sorriso, uno sguardo,
una smorfia, una chiacchiera, un saluto, un pettegolezzo, una sensazione, un’intesa
e via di seguito. In pratica avremmo un numero enorme di persone che si trasferiscono l’un
l’altro lo star bene o lo star male nelle infinite gradazioni e sfumature che
una vita può rendere possibile. Dalla storia alla psicologia, dalla fisica alle
neuroscienze, dalla sociologia alla chimica, dall’antropologia all’archeologia,
dalla letteratura alla filosofia non esiste ormai settore del sapere che non
sottolinei l’inscindibile interrelazione che lega tra loro gli esseri viventi,
e non solo, che vivono e dimorano su questa Terra.
A questo punto viene spontaneo chiedersi
se esiste un qualcosa o un modus vivendi che potrebbe far sì che questo
reciproco trasferirsi qualcosa, ovvero il risultato di
qualsiasi interrelazione, aiuti tutti gli esseri viventi a stare meglio.
Detto questo, e tornando alla frase di
Gandhi, si aprono i due problemi su cui stiamo riflettendo: il primo riguarda
l’ambiente e l’ecosostenibilità, il secondo il lavoro.
Due ambiti apparentemente distanti, in realtà inscindibilmente connessi.
Vediamo.
Gli scienziati affermano che i
cambiamenti climatici hanno visto il susseguirsi di diverse fasi; sottolineano
anche che oggi questo cambiamento è fortemente accelerato dall’opera degli
esseri umani, dal modo aggressivo di intendere il rapporto con l’ambiente,
che viene visto come una entità non solo e non tanto da conoscere, ma
soprattutto da controllare, pianificare e dominare,
consumando senza criterio le sue risorse.
A monte di questo modo di rapportarsi
con l’ambiente, che tanti danni sta facendo e continua a fare, c’è un’idea, su
che cosa sia quel qualcosa che chiamiamo ambiente, decisamente
datata ed errata.
Per molto tempo con il termine
“ambiente” si è indicato il risultato di una serie di processi essenzialmente
legati ad una ipotetica idea di natura, pre-intervento umano,
considerata all’origine di tutto ciò che è, e che si trova attorno agli
esseri umani, come se noi potessimo esserne fuori. Anche l’origine etimologica
della parola indica questo “vizio” d’origine. Il termine “ambiente” deriva
infatti dal latino ambiens, che significa circondare.
Lo stesso prefisso amb (in greco amphi) indica
“intorno, da ambo i lati”. In questa prospettiva – che possiamo chiamare
dualistica – l’essere umano non è considerato parte integrante della biosfera
(o ecosfera), ma come entità che, pur ponendosi al centro del mondo, ne risulta
in realtà esterno in quanto l’ambiente è ciò che sta
intorno, mentre lui resta al centro.
Un passaggio importante, non solo perché
propulsore di atteggiamenti antropocentrici, ma anche in quanto
inserisce le basi di quel dualismo accennato che ha posto
l’essere umano come un qualcosa di qualitativamente differente
e, in quanto tale, concettualmente al centro di comando; di contro,
ha messo l’ambiente e/o la realtà esterna dall’altro, di
lato, ai margini si potrebbe dire, quindi come altro da sé.
Questa impostazione ha caratterizzato gran parte del pensiero occidentale…
Considerare l’ambiente altro da
sé ha contribuito a far ignorare che gli esseri umani sono essi stessi
un prodotto dell’ambiente, a pieno diritto e umilmente in tutto e per tutto
interni alla biosfera, ovvero a quella parte della terra in cui si
riscontrano le condizioni per la vita animale e vegetale; e che comprende la
parte bassa dell’atmosfera, tutta l’idrosfera e la parte superficiale della
litosfera fino a due chilometri di profondità.
In parallelo questa visione dualistica (proveniente
anche da Cartesio: res cogitans, gli esseri umani; e res extensa,
tutto il resto) ha spianato la strada alla trasformazione della conoscenza da
curiosità e necessità, per rapportarsi meglio con l’ambiente, a controllo
sempre più pianificante, sino a diventare dominio incondizionato.
Il che non significa affatto, sia chiaro, che le scienze abbiamo perso il loro
valore conoscitivo; tutt’altro, ma che alcuni suoi aspetti sono stati
strumentalizzati in alcune applicazioni pratiche. Un quadro che ha condotto,
pian piano, anche a uno sviluppo economico fuori controllo e spesso subordinato
agli interessi più rapaci del capitalismo contemporaneo, compreso quello più
recente, detto della sorveglianza, ovveroun sistema di potere
fondato sulla “schedatura dei movimenti” delle persone
all’interno della rete (Amazon, Facebook e Google per citare le corporation più
grandi).
Uno sviluppo fuori controllo, si è
detto, che ha determinato una rapina sconsiderata delle risorse naturali col
rischio reale di una catastrofe ecologica in quanto ha compromessol’equilibrio
di autoregolazione che interessa i vari attori del teatro della biosfera. Il
tutto, schematizzando, è stato implicitamente (e interessatamente) considerato
come un’evoluzione eticamente accettabile in quanto l’essere umano è pensante,
animato (dal latino animus, soffio vitale), mentre l’altro da sé,
l’ambiente, la res extensa, no, è non pensante, senza soffio
vitale; quindi senz’anima. In pratica è materia bruta, dominabile e
sfruttabile senza vincolo e limite alcuno. E i disastri ambientali,
di cui il riscaldamento globale è l’effetto più macroscopico, si cominciano a
vedere in qualunque parte del mondo.
Negli ultimi decenni, però, grazie alla
crescita della ricerca scientifica, alle parallele sollecitazioni dei movimenti
ambientalisti e alla spinta dei giovani stimolati da Greta Thunberg, si sta
sempre più consolidando la consapevolezza che la vita su questo pianeta, e
soprattutto quella degli esseri umani, è e sarà sempre più strettamente legata
alla salute dell’ambiente, ovvero all’ecosostenibilità delle nostre
azioni…
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