Se c’è un attore protagonista di questo tempo, quello è senza dubbio il consumatore: siamo noi, con le nostre scelte, a plasmare l’offerta del mercato. E uno dei settori su cui possiamo incidere di più è senza dubbio quello alimentare. La filiera della produzione del cibo è oggi tra i settori economici meno sostenibili, responsabile di circa un quarto delle emissioni di gas serra del mondo. Ma consumare rispettando il Pianeta è un miraggio? Nient’affatto: secondo un gruppo di ricercatori dell’Università di Copenaghen, la chiave sarà proprio responsabilizzare l’utente finale attraverso precise informazioni sugli impatti esercitati dai prodotti sull’ambiente. Come? Con il climate labeling, l’etichettatura climatica (o carbonica, ndr): dati che stimano l’impatto dell’intero ciclo vita di un alimento. Secondo gli esperti questo meccanismo sarebbe in grado, agendo sulla sola coscienza personale, di far virare gli acquisti su articoli con score 'ambientali' migliori, e quindi più sostenibili.
L’analisi e il ciclo
vita alimentare
Informazione e conoscenza: per riformare il consumismo, renderlo
sostenibile e dare finalmente concretezza all’idea ancora forse troppo astratta
di transizione ecologica, dobbiamo partire proprio da questi concetti. E
allora, per fare 1 kg di manzo si liberano 60 kg di anidride carbonica in
atmosfera; 24 kg di CO2 emessa per 1 kg di agnello; 5 kg per 1
kg di pesce allevato, mentre solo 3 kg di CO2 per 1 kg di pesce
pescato. E poi gli alimenti di origine vegetale: 1.4 kg di anidride carbonica
per ogni kg di grano e pomodori, poco meno di 1 per i piselli, e addirittura
solo 4 etti di CO2 per kg di mele e 3 etti per i limoni.
Informazioni semplici che, se messe a disposizione di tutti, scatenerebbero una
vera e propria reazione psicologica che ci porterebbe a fare scelte più
virtuose, rivoluzionando il mercato.
È questa la tesi del gruppo coordinato da Jonas Nordström, professore
di economia agraria all’Università di Copenaghen che ha dimostrato quanto basti
la sola coscienza del 'fardello ambientale' degli alimenti a convincere il
consumatore ad acquistare quelli meno impattanti. “Prendiamo ad esempio la
carne rossa – spiega l’esperto –: se informiamo correttamente sulla quantità di
CO2 necessaria a produrla, ciò potrebbe far vacillare anche la
persona più ghiotta spingendola a comprarne di meno".
L’obiettivo? Allentare la pressione su una filiera di produzione e
trasformazione del cibo che rischia il collasso, su un pianeta che tra pochi
anni ospiterà oltre 10 miliardi di esseri umani. I dati a supporto dall’analisi di Nordström e
colleghi, pubblicata sulle pagine di Food Policy, dimostrano una
tendenza: "Anche chi si dice poco interessato a conoscere l’impronta
carbonica del cibo che mangia – si legge nella pubblicazione – se messo davanti
a prodotti analoghi con etichetta climatica, sceglie sempre quello che ha
emesso meno CO2 prima di arrivare sullo scaffale".
Il prezzo
dell’informazione
Sono pochi gli esempi di etichettatura carbonica già in vigore oggi.
Nonostante alcuni supermercati in Danimarca e Svezia abbiano aperto la pista,
cominciando a informare i clienti sugli effetti climatici delle loro scelte,
quasi nessun alimento mostra la sua impronta ecologica in termini precisi: la
CO2 emessa per produrlo, i rifiuti, i km percorsi, la quantità
e la fonte di energia impiegata. Il marchio svedese Felix è stato il primo al
mondo a farlo, arrivando a dare prezzi più alti alle merci meno sostenibili.
Altri grandi brand del cibo americani e canadesi si stanno muovendo nella
stessa direzione. E vista la risposta positiva del mercato, scrivono gli
studiosi danesi, l’etichetta climatica potrebbe diventare anche un motivo di
rinnovamento del settore alimentare. "Ma per essere davvero efficace –
sostiene Nordström – dovremmo renderla obbligatoria, dal momento che
i produttori dei cibi più impattanti non riferirebbero mai queste informazioni
volontariamente".
Una recente indagine della
no-profit Carbon Trust certificava che oltre due terzi dei
consumatori in Francia, Germania, Spagna, Italia, Regno Unito e Usa sarebbero a
favore dell’introduzione dell’etichettatura carbonica, che potrebbe migliorare
la loro esperienza di acquisto. La maggiore consapevolezza porta a scelte più
informate e (quasi) sempre migliori. Ma sono pronti i grandi produttori ad
aggiornare i loro modelli di business?
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