Qualche pomeriggio fa, nel tentativo di provare a non lavorare, ho preso in
mano Walden ovvero Vita nei boschi di Henry David
Thoreau. Si è rivelato una scelta azzeccata, perché Thoreau aveva qualcosa da
dire sullo sprecare il tempo. “Il costo di una cosa”, ha scritto in Walden, “è la quantità di quella che io chiamerò vita
che, subito o a lungo andare, bisogna dare in cambio per ottenere quella cosa
stessa”.
Il senso delle parole di Thoreau non è che dovremmo tutti lavorare senza
concederci svaghi: è stato anzi, storicamente, uno dei principali critici di
questo tipo di vita. In realtà, sosteneva che sprechiamo troppo del nostro
tempo per cose a cui non attribuiamo valore. Senza pensarci, stiamo commettendo
un errore cosmico di valutazione tra costi e benefici, se li misuriamo non in
base al denaro ma alla cosa più importante: il tempo.
È difficile confutare questo ragionamento. Molti dei passatempi ai quali
consacriamo enormi porzioni delle nostre vite ci procurano piacere sul momento,
ma generano poi ansia e dispiacere quando riusciamo a staccarcene. In media,
nel primo trimestre del 2020, un cittadino statunitense ha trascorso ogni
giorno tre ore e 43 minuti a guardare la televisione, secondo l’istituto
Nielsen. È un sacco di tempo, ma comunque meno delle tre ore e 46 minuti che le
persone passano a fissare i loro smartphone.
Una risorsa preziosa
Non dico che le attività non lavorative siano necessariamente una perdita di
tempo. Anzi: ci sono un sacco di prove che il tempo passato a sognare a occhi aperti o
a goderci attività fuori del lavoro possano portare non solo alla felicità, ma anche a risultati migliori e a una maggiore creatività. La realtà è
che il tempo può essere “sprecato” solo in due modi: quando ci si dedica a cose
che tolgono spazio ad attività più fruttuose o edificanti, e quando ci si
dedica consapevolmente a cose che, a conti fatti, neppure ci piacciono. Queste
situazioni possono essere una fonte di ansia e di rimpianto, ma in realtà
costituiscono una risorsa preziosa: allenandoci a non sprecare il nostro tempo,
ne costituiremo una riserva da usare in modi gioiosi e produttivi.
A tutti capita di sperperare del tempo in cose inutili a danno di altre più
preziose, e di prenderci a calci più tardi. Una volta sono rimasto sveglio fino
alle tre del mattino a guardare Howard e il destino del mondo – riconosciuto dalla critica come uno dei peggiori film della
storia – la notte prima di un importante colloquio di lavoro (ulteriore
aggravante, mi ricordo ancora la trama del film).
Ho sprecato quel tempo perché non ho ben calcolato il costo opportunità nel
guardare quel film: ovvero non ho soppesato il valore di tutte le altre cose
che avrei potuto fare in alternativa (per esempio dormire). Se gli esseri umani
fossero delle creature perfettamente razionali, saremmo in grado di calcolare i
costi e i benefici di ogni attività abbastanza bene da evitare simili errori, o
almeno da non ripeterli più e più volte. Ma la maggior parte delle persone sa
per esperienza diretta che le cose non funzionano così. Anche gli esperti
sbagliano: in un esperimento che coinvolgeva degli economisti professionisti, quasi l’80 per cento
di loro non è riuscito a valutare correttamente i costi opportunità.
Questi errori avvengono perché, in mancanza di una precedente pianificazione, i bambini impulsivi che
abbiamo nel cervello, e che sono sprovvisti di un’idea di domani, dominano le
nostre funzioni esecutive. Questo ci porta a sovrastimare il valore di un
piccolo piacere a breve termine e a sottostimare il valore del nostro benessere
a lungo termine. I risultati possono essere cose di poco conto, come giocare
a Angry birds per altri dieci minuti, o più seri,
come continuare a fumare per un altro giorno. Ogni giorno.
Al guinzaglio
Ho capito quanto non mi fosse piaciuto Howard e il destino del mondo solo
quando il film è finito. Ma, misteriosamente, noi esseri umani sprechiamo tanto
tempo anche facendo cose che già sappiamo di non voler fare. Prendete l’esempio
dello smartphone: uno strumento comodo e pratico. Eppure, nonostante i suoi
benefici, in uno studio del 2015 quasi un proprietario su tre lo riteneva più una
sorta di “guinzaglio” che una fonte di “libertà”. E questo guinzaglio comporta
gravi conseguenze: gli psicologi hanno stabilito un legame tra l’uso eccessivo
degli smartphone e la “dipendenza digitale”, che a sua volta può provocare
solitudine, ansia e depressione.
E allora perché milioni di persone decidono di farsi mettere al guinzaglio?
Come ogni altra dipendenza, l’uso eccessivo degli smartphone ci attrae
stimolando il sistema di ricompense del cervello: otteniamo una gratifica
immediata, ma di brevissima durata, che rapidamente svanisce e ci lascia in
preda al dispiacere e al desiderio di un’altra dose. Anche se non aumenta il
livello della dipendenza, un qualsiasi spreco di tempo compulsivo che non ci
rende più felici a lungo termine – che si tratti di partite a solitario o di
filmati di gattini – può ugualmente danneggiare il nostro benessere.
Per il bene della felicità e della produttività, il nostro obiettivo non
dovrebbe essere sfruttare ogni secondo possibile d’evasione e divertimento
delle nostre giornate. Dovrebbe essere, semmai, gestire le nostre giornate
conformemente alle nostre priorità, distinguendo tra le perdite di tempo che
amiamo e quelle che non amiamo, e rinunciando a queste ultime. Ecco due modi
per cominciare.
Programmiamo il nostro tempo libero
Il modo migliore per affrontare il problema del costo opportunità è di decidere
come gestire il tempo prima di cominciare qualunque attività, cioè prima che la
nostra capacità decisionale possa essere distorta dalla ricerca di un piacere a
breve termine (soprattutto se è l’una di notte e la tv probabilmente
trasmette Howard e il destino del mondo). Nel
suo libro “Deep work. Concentrati al massimo. Quattro regole per ritrovare il
focus sulle attività davvero importanti”, Cal Newport consiglia una strategia
chiamata time blocking: prendere decisioni in anticipo sull’uso
del tempo, rispettando poi il nostro programma.
La cosa non deve limitarsi al lavoro. Per molte persone che lavorano da
casa durante la pandemia, lavoro e vita privata hanno cominciato a intrecciarsi
in maniera fastidiosa, perché non esiste una struttura temporale evidente
imposta da un luogo di lavoro formale. La mia risposta consiste nel fissare un
programma per ogni cosa, compresi i passatempi, i divertimenti e perfino il
sognare a occhi aperti. Potremmo per esempio scrivere “perdita di tempo” sulla
nostra agenda dalle 13.30 alle 14 di domani. Dal momento che perdere tempo non
è più un intralcio ai nostri programmi, finisce per non scombinare il nostro
ritmo, e le possibilità di rimettersi al lavoro alle 14 aumentano moltissimo.
Diamo alle nostre cattive abitudini un valore
monetario
Nel 2012 due studiosi di gestione dell’università di Toronto hanno effettuato
una serie di esperimenti nei quali hanno chiesto ai
partecipanti di pensare al loro reddito in termini di salario orario, e di
assegnare un valore monetario al tempo che trascorrevano in attività
ricreative. I partecipanti, per esempio, dovevano pensare al tempo (non lavorativo)
trascorso su internet in termini di stipendio perso. Come risultato di questo
pensiero, era diminuita la felicità che le persone traevano dalle loro attività
ricreative.
I ricercatori hanno interpretato queste scoperte come una conseguenza
negativa della monetizzazione del tempo libero, ma questo metodo può essere di
grande valore nel dissuaderci dall’intraprendere passatempi che creano
dipendenza e che non ci piacciono. Per esempio, trascorrere molto tempo sui
social network è un’attività che – come ha dimostrato la ricerca – riduce la nostra felicità in caso
di eccesso, soprattutto tra i giovani. Se supponiamo di passare sui social
network la quantità media di tempo rilevata negli Stati Uniti (circa
142 minuti al giorno) e di guadagnare un salario orario medio (sempre negli
Stati Uniti e pari a circa 29,92 dollari) alla fine “spendiamo” in questa
attività un tempo equivalente a 71 dollari al giorno.
Ricordiamoci del nostro salario orario all’inizio di ogni giornata, e
abituiamoci a ricordarcene quando cominciamo un’attività che potrebbe portare
via parte del nostro tempo. Avremo più possibilità di prendere decisioni
efficienti nell’usare i social network, informandoci rapidamente su cosa accade
ai nostri amici e nel mondo, senza dover nutrire il sistema di ricompense del
nostro cervello tramite una costosa ora di navigazione ripetitiva.
In Walden c’è un passaggio particolarmente seducente,
nel quale Thoreau paragona il tempo a un ruscello. “Il tempo non è che il ruscello
dove io vado a pesca”, scrive. “Vi bevo; ma mentre bevo ne scorgo il fondo
sabbioso e vedo come sia poco profondo. La sua corrente sottile scorre via, ma
l’eternità resta”. Pescare nel fiume del tempo – anche senza prendere niente –
non è una perdita di tempo. Può essere una forma speciale di fantasticheria.
Il problema è se peschiamo quando dovremmo cacciare, o se ci dedichiamo
alla pesca volante pur preferendo quella con l’amo. E lo stesso vale per
qualsiasi passatempo: anche leggere Walden, mi sono
accorto. È un libro delizioso, pieno di spunti interessanti. Ma a un certo
punto è necessario chiuderlo e rimettersi al lavoro.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito sul sito del mensile statunitense The Atlantic.
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