Immaginate di citare William Shakespeare a un laureato e scoprire che non
l’ha mai sentito nominare: sareste increduli. Eppure è normale non sapere cosa
siano gli artropodi o i vertebrati, o non conoscere la differenza tra un
insetto e un ragno. Nessuno s’imbarazza quando una persona “istruita” non
riesce a spiegare cosa siano l’effetto serra, il ciclo del carbonio o quello
dell’acqua, o come si forma il suolo. Sono tutte nozioni di base, come sapere
che Shakespeare era un drammaturgo. Eppure alcuni a volte ostentano la loro
ignoranza di cose così importanti come se fosse un segno di raffinatezza. Amo
Shakespeare e credo che il mondo senza di lui sarebbe più triste. Però senza di
lui sopravvivremmo, mentre altre informazioni sono questioni di vita o di
morte.
Non incolpo nessuno perché non sa. È un fallimento collettivo, una grave
lacuna nella nostra pedagogia, pensata per un mondo che non è più quello in cui
viviamo. Il modo in cui le cose ci vengono insegnate non ci mette sulla strada
giusta per capire chi siamo e dove ci troviamo. Nelle teorie economiche
convenzionali, per esempio, il genere umano è al centro dell’universo e le
limitazioni poste dalla natura o sono invisibili o sono marginali. Quindi
veniamo formati in vista di un successo individuale nella competizione con gli
altri, proprio in un’era in cui la collaborazione è una necessità sempre più
urgente. I governi ci raccontano che l’obiettivo dell’istruzione è superare gli
altri o, sul piano collettivo, gli altri paesi. Il metro di misura della
qualità delle università è, in parte, lo stipendio base dei laureati al primo
impiego. Ma questa gara non ha vincitori. Quello che consideriamo successo
economico è la rovina del pianeta.
Oggi molte persone respingono questo modo di pensare. Secondo un sondaggio
pubblicato un paio di settimane fa, sei cittadini del Regno Unito su dieci
vorrebbero che, superata la pandemia, il governo desse la priorità alla salute
e al benessere rispetto alla crescita economica. È un risultato che fa ben
sperare. L’istruzione dovrebbe partire dai nostri obiettivi principali. Questo
non significa che dobbiamo lasciar perdere Shakespeare, ma che bisogna dare il
peso giusto alle questioni essenziali per la nostra sopravvivenza.
Durante il lockdown ho fatto una cosa che
sognavo da tempo: ho sperimentato l’educazione ecologica. Non è stato facile, e
non penso di aver fatto tutto nel modo giusto. Ed è difficile convincere un
bambino a vederti ora come genitore, ora come insegnante. Però, lavorando con
una bambina di otto anni e una di nove (mia figlia piccola e la sua migliore
amica) sto scoprendo che quel sogno non è ridicolo. Non parlo di ecologia come
materia isolata, ma di una cosa ancor più sostanziale, cioè l’ecologia e le
scienze della Terra messe al cuore dell’istruzione, visto che sono al cuore
della vita.
Abbiamo cominciato costruendo un quadro gigantesco formato da quindici
pannelli formato A4. Ciascun pannello rappresenta un habitat, dalle montagne
all’oceano profondo, e su ognuno abbiamo attaccato immagini della flora e della
fauna che lo abitano. Il quadro diventa così la piattaforma da cui partiamo per
esplorare i processi di ogni ecosistema e della Terra nel suo complesso. Gli
ecosistemi a loro volta sono come chiavi per aprire altre porte. Un esempio: l’ecologia
della foresta pluviale ti spinge ad approfondire la fotosintesi, la chimica
organica, gli atomi e le molecole, e da qui il ciclo del carbonio, i
combustibili fossili, l’energia e l’elettricità.
Per quanto possibile, lascio che siano le bambine a guidare in questo
viaggio. Vista la circolarità dei sistemi della Terra, poco importa dove si
comincia, tanto si finisce per fare il giro completo. Come in molte occasioni
precedenti, mi ha di nuovo colpito l’affinità naturale dei bambini con il mondo
vivente: le storie che la Terra ha da raccontare sono affascinanti di per sé.
Oggi forse abbiamo la possibilità di ripensare la didattica da cima a
fondo. Le autorità scolastiche scozzesi hanno suggerito che il miglior modo per
far tornare i bambini a scuola potrebbe essere fare lezione all’aperto, perché
questo permette il distanziamento fisico. Una soluzione che si presta di per sé
a un’immersione nel mondo vivente. Eppure, anche se gli studiosi sottolineano
da anni i suoi molteplici vantaggi, i fondi per la didattica all’aperto sono
stati tagliati quasi del tutto.
Questo è il momento di ripartire da zero. Approfittiamone per cambiare il
modo di vedere noi stessi e il nostro posto sulla Terra. Come ha scritto
l’ecologo Aldo Leopold, “uno degli svantaggi dell’istruzione ecologica è che ti
fa vivere da solo in un mondo di ferite. I danni che abbiamo inflitto alla
Terra restano in gran parte invisibili al profano”. È vero, ma se tutti avranno
un’istruzione ecologica, non vivremo soli e il mondo non sarà fatto solo di
ferite.
(Traduzione di Marina Astrologo)
https://www.internazionale.it/opinione/george-monbiot/2020/05/31/ecologia-scuola
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