Leggo: “l’acqua, elemento fondamentale per il pianeta” e mi si accende l’interesse. Poi continuo: “…caratterizza la collezione Coincasa attraverso pesci, crostacei, alghe, coralli e leggiadre meduse, con onde e trasparenze che portano in casa la freschezza del mare e dei suoi colori”. E capisco che non si tratta del mare, ma di piatti di varie dimensioni, disegni e colori che hanno anche per oggetto cose marine, ma che dell’acqua non hanno particolare interesse. Certamente non di quell’acqua “dolce” che è una minima percentuale dell’immensa quantità di questa risorsa che copre i tre quarti della Terra.
La “minima percentuale” per l’umanità
Minima percentuale? Eh sì, perché quell’H2O che ci
serve per i nostri quotidiani bisogni casalinghi,
industriali, agricoli, zootecnici è appena il 3% di tutta quella che esiste sul
pianeta. Il resto sono mari e oceani, cioè quell’acqua nella quale all’H2O la
natura ha aggiunto un 35 per mille di NaCl, cioè cloruro di sodio, cioè sale
per cui, appunto, quelle acque sono salate e non ci servono per soddisfare
alcuno dei nostri quotidiani bisogni.
Ma, dicevo, è una minima percentuale. Fortunatamente i
conti non si fanno con le percentuali, ma in termini assoluti e così possiamo
dire che l’acqua che serve per i nostri usi è la bellezza di 4,5 milioni
di miliardi di metri cubi. Se
ci incuriosisce sapere di quanti litri si tratta moltiplichiamo questo numero
per mille e lo sappiamo. Se poi vogliamo sapere quanti litri ce ne toccano a
testa dividiamo quel risultato per otto miliardi, quanti ci accingiamo a
diventare sulla Terra, e abbiamo il risultato che più di ogni altro ci
interessa. Soprattutto se questo risultato lo dividiamo ancora per 365 potremo
sapere di quanta acqua al giorno possiamo disporre. Quanta? Tanta è la risposta
più corretta.
E rimane pressoché inalterata anno dopo anno (e da una
decina di migliaia di anni) grazie a quel fenomeno che si chiama ciclo
dell’acqua che comincia dall’evaporazione dell’acqua di mari ed oceani e ricade
al suolo con le precipitazioni atmosferiche rimpinguando
fiumi, laghi, sorgenti, acque sotterranee e in tal modo ricostituendo più o
meno il patrimonio consumato nel corso di un anno.
Allora l’acqua c’è? Sì e ce n’è pure dovunque anche se
non tutti se ne possono approvvigionare allo stesso modo nelle case tramite le
reti acquedottistiche. Reti che mancano dove la popolazione non se ne può
permettere il costo generalmente stabilito dalle multinazionali
dell’alimentazione che da tempo hanno messo le mani nell’acqua e ne
controllano la distribuzione a chi se la può pagare.
Tuttavia, cinicamente, numeri alla mano c’è e ce n’è
abbastanza per tutti e anche più di quanti siamo. Specialmente se si considera
che il fabbisogno quotidiano viene stimato intorno ai 400 litri a testa.
Allora qual è il problema? Il problema è il solito: il mutamento
climatico che può drasticamente interferire nel ciclo che
annualmente ci restituisce l’acqua che abbiamo consumato.
C’è chi compromette il ciclo naturale
Quindi l’umanità – la parte più ricca – non solo
spreca e inquina l’acqua di cui dispone, ma ne compromette anche il ciclo. Lo
sappiamo da almeno quindici anni con il rapporto delle
Nazioni Unite del 22 marzo 2006 (giornata dell’acqua) sul
progressivo assottigliamento della portata dei maggiori fiumi della Terra. In
esso, tra l’altro si diceva che “le carte degli atlanti non corrispondono più
alla realtà. Le vecchie lezioni di geografia, secondo cui i fiumi sgorgavano
dalle montagne, ricevevano acqua dagli affluenti e finalmente sfociavano gonfi
negli oceani sono ora una finzione”.
Di conseguenza anche se di acqua ce n’è dovunque,
dovunque ce n’è sempre meno perché su tutta la Terra è stato enormemente
modificato “l’ordine naturale dei fiumi” dal
momento che l’umanità, – si legge ancora nel rapporto dell’Onu – “ha intrapreso
un immenso progetto di ingegneria ecologica senza pensare alle conseguenze e al
momento senza conoscerle”. Evidentemente anche il ciclo dell’acqua ne risente
perché meno acqua evapora, meno ne ricade sulla Terra e aumenta la
desertificazione.
Dunque ce ne sarà di meno e per una popolazione che,
per quanto in crescita rallentata, aumenterà ancora di numero e ne domanderà
sempre di più. Di conseguenza, come sempre avviene per i beni di prima
necessità ancorché bene comune come l’acqua, ne aumenterà il prezzo e se ne
potranno dotare a sufficienza solo i Paesi ricchi. E se ne potranno
avvantaggiare le multinazionali; anche le “sette sorelle” che
non potendo più vendere petrolio venderanno acqua. Non solo l’acqua dei
rubinetti ma perfino quella dei ghiacciai opportunamente imbottigliata. Già.
Perché uno degli effetti dell’aumento delle temperature è lo scioglimento dei
ghiacciai polari dai quali si staccano gli iceberg.
Queste enormi montagne di ghiaccio sono immensi
“giacimenti” di acqua in forma solida che non può andare perduta. Nasce così il
nuovo mestiere dei cacciatori di iceberg che,
una volta ridotti in blocchi, sono in grado di offrire centinaia di migliaia di
litri di acqua da imbottigliare al prezzo di dieci dollari a bottiglia o 99,50
euro per un cartone di sei lussuose bottiglie da 750cc. Ed è così che la
purissima acqua degli iceberg è diventata un grosso affare. Perché purissima?
Perché è stata “naturalmente” congelata centinaia e migliaia di anni prima
della rivoluzione industriale e dell’inquinamento atmosferico.
Ormai è sempre più evidente che possedere e gestire
l’acqua è un grosso affare: economico, sociale e
politico. Possesso e gestione sono azioni in netto contrasto con la definizione
di acqua come bene comune. Invece la costruzione di dighe con lo sbarramento
dei fiumi a vantaggio di chi ne governa la parte superiore del corso; la
costruzione e gestione degli impianti di raccolta e distribuzione delle acque a
chi ne può pagare il consumo; la possibilità di dissalare l’acqua dei mari; la
produzione e gestione della vendita delle acque minerali, sono ulteriori motivi
di discriminazione tra chi può accedere a questa vitale risorsa e chi non ne ha
le possibilità economiche.
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