L’emergenza climatica è molto più grave di quanto si rendano conto molti
esperti, autorità elette e attivisti. Le emissioni di gas serra dovute alle
attività umane hanno surriscaldato l’atmosfera terrestre, provocando oppressive
ondate di calore, uragani e altri fenomeni metereologici estremi. E, fin qui,
la situazione perlopiù è evidente. Il problema più grave è che l’atmosfera
surriscaldata a sua volta ha riscaldato gli oceani, garantendo in futuro un
innalzamento catastrofico del livello dei mari.
Quando gli oceani si riscaldano, il loro livello sale in parte perché
l’acqua più tiepida si espande, ma in parte anche perché essa provoca lo
scioglimento di ampie porzioni delle calotte polari. Di conseguenza, è ormai
pressoché sicuro che i livelli dei mari saliranno in media di almeno 6-9 metri.
Si tratta di un livello tale da mettere in serio pericolo molte città costiere,
abitate da centinaia di milioni di persone, che saranno sommerse dalle
acque.
Il problema principale adesso è capire tra quanto si verificherà questo
innalzamento del livello dei mari e se gli esseri umani riusciranno a
raffreddare l’atmosfera e gli oceani abbastanza rapidamente da scongiurare
questo cataclisma almeno in parte.
Se nei prossimi duemila anni i mari si dovessero alzare di 6 metri, i
nostri figli e i loro discendenti potrebbero trovare vari modi per adattarsi.
Se invece l’innalzamento di 6 metri o più dovesse verificarsi nei prossimi
cento-duecento anni – come sembra probabile, in base alle tendenze odierne – le
prospettive sono assai cupe. In quest’ultimo scenario, infatti, entro il 2040
potrebbe verificarsi un aumento medio del livello dei mari di 60 centimetri, di
91 entro il 2050 e di molti di più negli anni a venire.
Sessanta o novanta centimetri in più possono non sembrare tanti, ma
trasformeranno le società umane di tutto il mondo. In Florida del sud,
dove vivo, i residenti perderanno ogni accesso all’acqua dolce. Gli impianti di
trattamento delle acque nere soccomberanno. Vaste regioni saranno alluvionate
in permanenza e Miami Beach e altre isole della barriera verranno abbandonate.
In Cina, India, Egitto e altri Paesi caratterizzate da grandi delta di fiumi,
un aumento di 60-90 centimetri del livello dei mari costringerà a evacuare
dalle coste milioni di persone e comporterà la perdita di immensi terreni
destinati oggi a uso agricolo.
Contenere l’aumento del livello dei mari, pertanto, deve diventare una
priorità assoluta urgente, un obbligo per ognuno dei leader mondiali che il
presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha invitato al vertice sul
clima del 22 aprile, il Giorno della Terra. È indispensabile ricontestualizzare
una volta per tutte in che modo è percepita l’emergenza climatica e definire
che cosa voglia dire contrastarla. Di certo, è fondamentale rispettare
l’obiettivo degli Accordi di Parigi e limitare l’aumento della temperatura a
1,5-2 gradi Celsius. Tuttavia, potrebbe non essere sufficiente.
La soluzione al rapido innalzamento del livello dei mari è duplice: gli uomini
devono smetterla di rilasciare nell’atmosfera sempre più gas serra e anche
riuscire a smaltire buona parte di quanti ve ne sono già. Dalla Rivoluzione
Industriale di 250 anni fa, la quantità di CO2 nell’atmosfera è
aumentata a dismisura in conseguenza delle attività umane, perlopiù per l’uso
di combustibili fossili a base di carbonio. Per ridurre drasticamente l’aumento
in futuro del livello dei mari, dovremo fare in modo da abbassare quella
quantità dalle odierne 417 parti per milione a 280, come prima
dell’industrializzazione.
Per porre fine alle emissioni di gas serra che intrappolano il calore, è
indispensabile che l’economia prenda le distanze dai combustibili fossili e si
orienti verso le energie rinnovabili, fermando la deforestazione, passando a
tecniche agricole più rispettose del clima, piantando foreste che trattengano
il terreno, e altro ancora. Nel caso in cui riuscissimo in tutto questo –
finora, tuttavia, ne siamo ancora molto lontani – soltanto l’atmosfera
smetterebbe di surriscaldarsi.
Raffreddare gli oceani sarà molto più complicato: ci si potrà riuscire
soltanto eliminando quantità ingenti di CO2 sia dall’atmosfera
sia agli oceani ed immagazzinandola dove non potrà più fuoriuscire.
Esistono prototipi di queste tecnologie a “impronta di carbonio negativa”.
Alcuni metodi, come incorporare lava basaltica polverizzata nei fertilizzanti,
possono portare alla rimozione di CO2; è indispensabile però mettere
a punto altri metodi più incisivi ancora. È indispensabile, infatti, perseguire
entrambe queste strategie: porre fine alle emissioni di CO2e
rimuoverla dove è già stata emessa. Fare una cosa e non l’altra non può più
essere una scusa. In caso contrario, falliremo.
Mose, così entra in azione il gigante
d'acciaio che frena l'alta marea
Il dilemma che dobbiamo risolvere è radicato nella fisica di base. Una volta
emessa, la CO2 resta nell’atmosfera per millenni, intrappolando
il calore e riscaldando la Terra come una coperta fa con il corpo umano. Quello
che è difficile comprendere è che la maggior parte di questo calore – in
quantità superiori al 93 per cento – è trasferito agli oceani e ne riscalda in
maniera significativa i seicento metri più in superficie. Questo fenomeno sta
accelerando lo scioglimento delle calotte polari e l’innalzamento globale del
livello dei mari e continuerà a farlo per i secoli a venire.
L’innalzamento del livello del mare sta accelerando a ritmi
pericolosi. Nel 1900, i livelli globali dei mari si alzavano di circa 0,6
millimetri l’anno. Dopo il 1930, quando il riscaldamento degli oceani e
l’espansione dell’acqua sono aumentati, il ritmo di innalzamento del livello
del mare è raddoppiato due volte, raggiungendo nel 1990 i 3,1 millimetri
l’anno. Da allora, da quando oceani sempre più caldi hanno iniziato a provocare
lo scioglimento dei ghiacci polari, il ritmo si è accelerato ancor più. Oggi
gli oceani si innalzano di 6 millimetri l’anno (pari a circa 5 centimetri ogni
dieci anni), ma il ritmo continua ad accelerare in modo drammatico.
Cinque centimetri ogni dieci anni può sembrare un’inezia, ma ricordate: questo
è appena l’inizio dell’accelerazione. Nel 2017 l’US National Oceanic and
Atmospheric Administration ha calcolato che entro il 2100 l’innalzamento del
livello dei mari potrebbe arrivare a ben due metri e mezzo. A quattro anni di
distanza, è lecito immaginare che due metri e mezzo fosse una previsione
prudenziale. Oltre a ciò, le influenze regionali – come la subsidenza delle
coste, il cambiamento delle correnti oceaniche e la ridistribuzione della massa
terrestre mentre i ghiacciai si sciolgono – provocherà alcuni innalzamenti
locali dei livelli dei mari superiori del 20-70 per cento alle medie
globali.
Un innalzamento di due metri e mezzo del livello dei mari sarebbe catastrofico. In
mancanza di interventi e provvedimenti su vasta scala e molto costosi, questo
fenomeno provocherebbe l’affondamento per New York e Washington, Shanghai e
Bangkok, Lagos e Alessandria d’Egitto e innumerevoli altre città costiere. La
Florida del Sud sarebbe sommersa e costruirvi paratie oceaniche non servirebbe
a nulla: la terra, infatti, poggia su uno strato di pietra calcarea porosa, e
quindi l’acqua del mare penetrerebbe da sotto. Perfino i Paesi Bassi e New
Orleans, protette al momento da dighe e alti argini, sarebbero in una
situazione molto grave.
Ma c’è di peggio. Qualora i trend attuali proseguissero, saremmo fortunati se i livelli del mare salissero “soltanto” di due metri e mezzo da qui al 2100. Ciò è dovuto al fatto che i modelli matematici usati dal NOAA e altri non riflettono quello che sappiamo su come i mari si sono sollevati in passato. Questi modelli presumono che l’innalzamento del livello del mare si verifichi poco alla volta, mentre i registri geologici documentano che in verità possono accadere a scatti. Le temperature più miti subentrate alle precedenti ere glaciali provocarono la disintegrazione di un’area polare dopo l’altra, che determinò un innalzamento brusco del livello delle acque compreso tra un metro e nove metri per secolo. Oggi quasi certamente l’accelerazione dello scioglimento dei ghiacci in Groenlandia e in Antartide segnala l’inizio di un nuovo brusco innalzamento rapido del livello delle acque.
È improrogabile che il genere umano passi alle energie rinnovabili, smetta
di bruciare combustibili fossili e metta a punto e in uso tecnologie atte a
estrarre la CO2 dall’aria e dal mare. Dobbiamo anche essere più
realistici in tema di adattamento all’innalzamento del livello dei mari, che
non può più essere evitato. Invece di continuare a edificare in regioni e
terreni situati in basso e a spendere soldi pubblici per la difesa delle are
costiere destinate in ogni caso a essere sommerse, dovremmo prepararci a
coadiuvare l’eventuale ricollocazione dei popoli e delle infrastrutture dalle
aree maggiormente a rischio (e a ripulire i terreni prima che questi siano
sommersi dalle acque).
Senza questi provvedimenti, arriverà un momento – molto prima rispetto a
quanto molti ipotizzano – in cui la civiltà come la conosciamo sarà gravemente
indebolita o andrà del tutto in rovina. Potremo scongiurare questo scenario
soltanto iniziando a pianificare, finanziare e agire seriamente. I nostri
figli, e i loro figli, meritano molto più di quello che stiamo facendo al
momento.
Adapted from an article for the Florida Climate Reporting Network’s project
“The Invading Sea,” story is part of Covering
Climate Now from the Florida Climate Reporting Network’s
project, a global journalism collaboration strengthening coverage of the climate story.
Traduzione di Anna Bissanti
© 2021, THE NATION
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