domenica 12 aprile 2020

LETTERA A MIA MADRE (ANZIANA) SUL CORONAVIRUS - Fulvio Scaglione



Se lei sapesse usare la posta elettronica o trafficare con What’s App, oggi scriverei a mia madre quanto segue. Ma non sa, quindi proverò con una telefonata, anche se metà delle volte, con quelle mani un po’ artritiche, al posto di rispondere mi mette in attesa. Comunque…

Ciao Mamma,
questo fine settimana sarebbe il mio turno ma non potrò venirti a trovare. Né potrebbe farlo Piero, mio fratello. Con lui ci siamo parlati più volte. Siamo in buona salute ma, vivendo a Milano, non vogliamo correre nemmeno un infinitesimale rischio di portare ‘sto cavolo di virus nella tua bella casa di riposo appollaiata lassù, sulle colline delle Langhe. Gli anziani sono fragili e il contagio, qua in pianura, ha fatto vittime solo tra loro. Non ci vedremo, quindi, e mi sa che dovrai avere pazienza ancora un po’, finché il pasticcio non sarà risolto.
A proposito di anziani. Sono contento che tu abbia smesso da tempo di leggere i giornali. Prima ti sarebbe venuta l’ansia, con tutto il gran parlare di epidemia, pandemia, contagi, ospedali, pazienti zero, scuole chiuse e supermercati saccheggiati. Poi ti sarebbe venuta la depressione. Perché quaggiù, finora, sono morte solo persone anziane o indebolite dalle malattie, come sei tu e come sono quasi tutti i tuoi conoscenti. Pochi giorni fa è mancata quella signora che frequentavi da tanti anni, prima vicina di casa e poi vicina di stanza nella casa di risposo, e ho visto quanto ne hai sofferto.
Come se non bastasse, molti ci stanno anche spiegando che questi anziani erano già stanchi e malati, pieni di acciacchi magari pure gravi, e quindi tutto sommato non contano. Non sono “vere” vittime del virus. Capisco che troppe reazioni all’aumento dei contagi sono state esagerate e che dovremmo darci tutti una calmata. E sono sicuro che gli scienziati e gli specialisti provvederanno nel più breve tempo possibile. Ma intanto mi fa orrore veder circolare l’idea che il morto vecchio sia un po’ meno importante degli altri. Come se fosse stato un vivo per sbaglio.
Ho sentito anche dire: “Sono morti con il coronavirus, non per il coronavirus”. Col cavolo. Senza il virus tutte queste persone sarebbero vissute ancora. Una settimana? Sei mesi? Un anno? Cinque anni? Non importa. Sarebbe stato un tempo di vita, pieno di affetti, curiosità, memorie, scoperte. E forse anche dolori. Che però fanno parte della vita quanto le gioie. Che vogliamo fare di questo tempo? Lo buttiamo via, è inutile, è brutto? E ai malati gravi o terminali diciamo che il loro tempo non vale nulla? Agli immunodepressi che è colpa loro, perché il coronavirus è un’influenza come un’altra? Fin dove scendiamo, lungo questa scala?
In questo clima un po’ così mi è tornato in mente, pensa un po’, il nonno Ugolino, tuo padre. Lui morì bene, a un’età più che veneranda, senza soffrire, mentre guardava in Tv il Giro d’Italia. Ricordo che quando veniva a mancare qualcuno della sua leva, lui, forse per scaramanzia, diceva sempre con un po’ d’ironia: a l’è mancai il fià, gli è mancato il fiato. Perché alla fine moriamo tutti così, smettendo di respirare. E non c’è gran bisogno di scienziati per saperlo. Nel frattempo, vorrei che chi muore non venisse trattato come un incidente statistico solo perché anziano e malato. Vorrei rispetto. Per lui, per i suoi giorni e per chi gli vuol bene. Il coronavirus sparirà, gli anziani no e i malati no. Emergenza o no, meglio non prendere cattive abitudini. Ciao Mamma, adesso prendiamo a calci il virus e poi ci vediamo.


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