Se lei
sapesse usare la posta elettronica o trafficare con What’s App, oggi scriverei
a mia madre quanto segue. Ma non sa, quindi proverò con una telefonata, anche se metà delle
volte, con quelle mani un po’ artritiche, al posto di rispondere mi mette in
attesa. Comunque…
Ciao Mamma,
questo fine
settimana sarebbe il mio turno ma non potrò venirti a trovare. Né potrebbe
farlo Piero, mio fratello. Con lui ci siamo parlati più volte. Siamo in buona
salute ma, vivendo a Milano, non vogliamo correre nemmeno un infinitesimale
rischio di portare ‘sto cavolo di virus nella tua bella casa di riposo
appollaiata lassù, sulle colline delle Langhe. Gli anziani sono fragili e il
contagio, qua in pianura, ha fatto vittime solo tra loro. Non ci vedremo,
quindi, e mi sa che dovrai avere pazienza ancora un po’, finché il pasticcio
non sarà risolto.
A
proposito di anziani. Sono contento che tu abbia smesso da tempo di leggere i
giornali. Prima ti sarebbe venuta l’ansia, con tutto il gran parlare di
epidemia, pandemia, contagi, ospedali, pazienti zero, scuole chiuse e
supermercati saccheggiati. Poi ti sarebbe venuta la depressione. Perché
quaggiù, finora, sono morte solo persone anziane o indebolite dalle malattie,
come sei tu e come sono quasi tutti i tuoi conoscenti. Pochi giorni fa è
mancata quella signora che frequentavi da tanti anni, prima vicina di casa e
poi vicina di stanza nella casa di risposo, e ho visto quanto ne hai sofferto.
Come se
non bastasse, molti ci stanno anche spiegando che questi anziani erano già
stanchi e malati, pieni di acciacchi magari pure gravi, e quindi tutto sommato
non contano. Non sono “vere” vittime del virus. Capisco che troppe reazioni
all’aumento dei contagi sono state esagerate e che dovremmo darci tutti una
calmata. E sono sicuro che gli scienziati e gli specialisti provvederanno nel
più breve tempo possibile. Ma intanto mi fa orrore veder circolare l’idea che
il morto vecchio sia un po’ meno importante degli altri. Come se fosse stato un
vivo per sbaglio.
Ho
sentito anche dire: “Sono morti con il coronavirus, non per il coronavirus”.
Col cavolo. Senza il virus tutte queste persone sarebbero vissute ancora. Una settimana? Sei mesi? Un
anno? Cinque anni? Non importa. Sarebbe stato un tempo di vita, pieno di
affetti, curiosità, memorie, scoperte. E forse anche dolori. Che però fanno
parte della vita quanto le gioie. Che vogliamo fare di questo tempo? Lo
buttiamo via, è inutile, è brutto? E ai malati gravi o terminali diciamo che il
loro tempo non vale nulla? Agli immunodepressi che è colpa loro, perché il
coronavirus è un’influenza come un’altra? Fin dove scendiamo, lungo questa
scala?
In
questo clima un po’ così mi è tornato in mente, pensa un po’, il nonno Ugolino,
tuo padre. Lui morì bene, a un’età più che veneranda, senza soffrire, mentre
guardava in Tv il Giro d’Italia. Ricordo che quando veniva a mancare qualcuno
della sua leva, lui, forse
per scaramanzia, diceva sempre con un po’ d’ironia: a l’è mancai il fià, gli è mancato il fiato. Perché
alla fine moriamo tutti così, smettendo di respirare. E non c’è gran bisogno di
scienziati per saperlo. Nel frattempo, vorrei che chi muore non venisse
trattato come un incidente statistico solo perché anziano e malato. Vorrei
rispetto. Per lui, per i suoi giorni e per chi gli vuol bene. Il coronavirus
sparirà, gli anziani no e i malati no. Emergenza o no, meglio non prendere cattive
abitudini. Ciao Mamma, adesso prendiamo a calci il virus e poi ci vediamo.
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