Come già si poteva intuire fin dal febbraio scorso, le forti limitazioni
delle attività produttive e dei trasporti inerenti il contrasto della pandemia
di coronavirus COVID 19 hanno avuto anche
indiretti effetti positivi.
D’altra parte, com’è intuitivo, anche un orologio rotto (il coronavirus)
segna l’ora giusta due volte al giorno.
L’Agenzia
spaziale europea (E.S.A.) ha potuto verificare – attraverso il
satellite Copernicus Sentinel-5P – il sostanziale
crollo dei livelli di biossido di azoto in Europa nel periodo 13 marzo – 13
aprile 2020.
L’A.R.P.A.Toscana, poi, ci fornisce informazioni di grande interesse sui
rapporti fra pandemia di coronavirus COVID 19 e inquinamento.
Da leggere con attenzione.
Gruppo d’Intervento
Giuridico onlus
A.N.S.A., 16 aprile 2020
Dal 13 marzo al 13 aprile rispetto a un anno prima.
Le restrizioni attuate in diverse città in tutta Europa per arginare la
pandemia di coronavirus ha portato un calo notevole dell’inquinamento. Lo
annuncia l’Agenzia spaziale europea precisando che in alcune città i livelli di
biossido di azoto si sono dimezzati. Il miglioramento della qualità dell’aria è
particolarmente evidente in Italia, Spagna e Francia dove il lockdown è ormai
in vigore da diverse settimane. A Parigi dal 13 marzo al 13 aprile c’è stato un
calo del 54% dei livelli di biossido di azoto rispetto allo stesso periodo
dell’anno scorso. A Milano, Roma e Madrid del 45% circa.
La rilevazione dei nuovi dati arriva dal satellite Copernicus Sentinel-5P nell’ambito del programma Copernicus dell’Unione europea, ricorda l’Esa precisando che il biossido di azoto è prodotto da centrali elettriche, veicoli e altre strutture industriali e può avere un impatto significativo sulla salute umana, aumentando la probabilità di sviluppare problemi respiratori. Le concentrazioni di biossido di azoto nella nostra atmosfera variano ampiamente di giorno in giorno a causa delle fluttuazioni delle emissioni, nonché delle variazioni delle condizioni meteorologiche, si legge sul sito dell’Esa.
Gli scienziati del Royal Netherlands Meteorological Institute (Knmi) hanno monitorato l’inquinamento atmosferico in Europa negli ultimi mesi e le mappe che mostrano le concentrazioni di biossido di azoto nell’arco di un mese hanno un’incertezza del 15% che riflette la variabilità meteorologica nei vari Paesi non rilevata nelle medie mensili utilizzate, spiega HenkEskes, del Royal Netherlands Meteorological Institute che continuerà a lavorare su un’analisi più dettagliata di altri paesi del nord Europa, dove si osserva una maggiore variabilità dei dati dovuta alle mutevoli condizioni meteorologiche.
La rilevazione dei nuovi dati arriva dal satellite Copernicus Sentinel-5P nell’ambito del programma Copernicus dell’Unione europea, ricorda l’Esa precisando che il biossido di azoto è prodotto da centrali elettriche, veicoli e altre strutture industriali e può avere un impatto significativo sulla salute umana, aumentando la probabilità di sviluppare problemi respiratori. Le concentrazioni di biossido di azoto nella nostra atmosfera variano ampiamente di giorno in giorno a causa delle fluttuazioni delle emissioni, nonché delle variazioni delle condizioni meteorologiche, si legge sul sito dell’Esa.
Gli scienziati del Royal Netherlands Meteorological Institute (Knmi) hanno monitorato l’inquinamento atmosferico in Europa negli ultimi mesi e le mappe che mostrano le concentrazioni di biossido di azoto nell’arco di un mese hanno un’incertezza del 15% che riflette la variabilità meteorologica nei vari Paesi non rilevata nelle medie mensili utilizzate, spiega HenkEskes, del Royal Netherlands Meteorological Institute che continuerà a lavorare su un’analisi più dettagliata di altri paesi del nord Europa, dove si osserva una maggiore variabilità dei dati dovuta alle mutevoli condizioni meteorologiche.
A.R.P.A.T., 17 aprile 2020
Gli effetti sull’inquinamento del blocco per il Coronavirus e gli studi
sulle connessioni far questo e l’inquinamento
Il prolungato blocco che sta interessando il nostro Paese, così come tutto
il Mondo, con la fortissima riduzione degli spostamenti ed il fermo di molte
attività produttive, sta incidendo sulle emissioni inquinanti sia in atmosfera
che sul rumore. Sono già disponibili molte informazioni sull’argomento.
D’altra parte incominciano ad essere disponibili vari contributi
scientifici che analizzano le possibili correlazioni fra la diffusione del
CoViD-19 e l’inquinamento atmosferico.
Gli effetti
sull’inquinamento del blocco per l’emergenza Coronavirus.
Già a metà marzo le rilevazioni fatte dal sistema di
rilevazione satellitare del progetto europeo Copernicus hanno
segnalato una riduzione delle emissioni inquinanti in atmosfera nella Pianura
padana, a seguito delle limitazioni agli spostamenti motorizzati in Lombardia e
nelle altre regioni del nord Italia più interessate dall’epidemia.
Ispra ed alcune ARPA hanno poi analizzato i dati satellitari incrociandoli
con quelli delle reti di monitoraggio della qualità dell’aria, proponendo un’analisi della situazione nel bacino
padano e poi in dettaglio per le diverse regioni: Campania, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria, Veneto, Valle d’Aosta.
Considerato che le fonti emissive dei principali inquinanti monitorati
(particolato PM10 e PM2,5 e biossido di azoto NO2) sono il frutto
della combustione dei motori dei veicoli, degli impianti di riscaldamento e
delle attività industriali, i primi segnali sono stati parziali, ma
progressivamente più marcati con l’estendersi delle misure che hanno
drasticamente ridotto la mobilità e le attività produttive. Ormai, con
l’inoltrarsi nella stagione primaverile, anche quelle derivanti dagli impianti
di riscaldamento stanno diminuendo e quindi nelle prossime settimane è
presumibile che questa complessiva riduzione di inquinamento atmosferico sia
ancora più marcata.
Per ora, riguardo invece alla riduzione dell’inquinamento acustico, è
disponibile solo un’analisi effettuata da Arpa Piemonte nell’area torinese.
Grazie all’Agenzia europea per l’ambiente che ha tempestivamente messo a
disposizione un apposito visualizzatore dei dati relativi agli inquinanti sopra
citati, monitorati dalle agenzie ambientali in tutto il Continente, con le
informazioni relative a tutte le città europee (comprese quelle italiane) sarà
facilmente possibile continuare a verificare l’andamento
della qualità dell’aria nei prossimi periodi.
Connessioni fra la
diffusione del Coronavirus e l’inquinamento atmosferico.
Un aspetto più complesso e controverso, che certamente necessita di
approfondimenti scientifici che richiederanno tempo, è quello che mette in
relazione la diffusione del Coronavirus con livelli elevati di inquinamento
atmosferico.
In generale, va comunque premesso che è ampiamente accertato che vi è
una incidenza importante di livelli
elevati di inquinamento atmosferico sulla salute umana, come indica
anche l’ultimo report disponibile sul tema
dell’Agenzia europea per l’ambiente, che solo a causa dei livelli
elevati di PM2,5 stima un numero di circa 374.000 morti premature nell’Unione
Europea nel 2016. Fra l’altro segnaliamo uno studio recente di alcuni studiosi,
verificato dal Forum of International Respiratory Societies’
Environmental Committee, secondo il quale, appunto, l’esposizione
prolungata all’inquinamento atmosferico produce danni a vari organi umani.
Sono già disponibili contributi ed articoli scientifici sull’argomento
specifico del rapporto fra inquinamento e diffusione del CoViD-19, affrontato
da vari punti di vista, sui quali cerchiamo di proporre un panorama il più
possibile completo allo stato dell’arte.
Per quanto riguarda l’Italia una presa di posizione di
alcuni ricercatori, che fanno riferimento alla Società
italiana di medicina ambientale, ha inizialmente avuto una larga eco
sui media. Nel documento si ricorda che “il particolato atmosferico funziona
da carrier, ovvero da vettore di trasporto, per molti
contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus”, ipotizzando quindi che ci
possa essere una correlazione fra la più ampia diffusione del Coronavirus e
l’esistenza di livelli di particolato elevati, come quelli registrati nel
bacino padano.
Su questo aspetto si è espressa anche un’altra associazione di ricercatori
e studiosi del settore, la Società Italiana di Aereosol,
che ha diffuso un documento sull’argomento,
nel quale si sottolinea come al momento sulla interazione tra livelli di
inquinamento da PM e la diffusione del COVID-19 le conoscenze sono ancora molto
limitate e ciò impone di utilizzare la massima cautela nell’interpretazione dei
dati disponibili. “Il periodo di monitoraggio disponibile per l’indagine
epidemiologica è ancora troppo limitato per trarre conclusioni scientificamente
solide in relazione ai moltissimi fattori che influenzano il tasso di crescita
del contagio.”
Su questi stessi aspetti è poi uscito un importante documento della Rete
Italiana Ambiente e Salute, della quale fanno parte esperti del
Sistema Sanitario Nazionale e del Sistema nazionale per la protezione
dell’ambiente, che fa il punto sulle conoscenze attualmente disponibili.
Secondo questo documento, “Gli studi fino ad oggi suggeriscono che il virus che
causa COVID-19 viene trasmesso principalmente attraverso le goccioline
respiratorie (droplets) di persona infetta a distanza ravvicinata a seguito di
un colpo di tosse o di uno starnuto o la semplice parola; più raro il contagio
attraverso le superfici infette. Vi sono anche alcune indicazioni che
suggeriscono che il virus nell’aerosol di un ambiente chiuso possa essere
ancora infettivo. Si è infine ipotizzato che il particolato atmosferico possa essere
un supporto (carrier) per la diffusione del virus per via aerea, ma questa
ultima ipotesi non sembra avere alcuna plausibilità biologica. Infatti, pur
riconoscendo al PM la capacità di veicolare particelle biologiche (batteri,
spore, pollini, virus, funghi, alghe, frammenti vegetali), appare implausibile
che i Coronavirus possano mantenere intatte le loro caratteristiche
morfologiche e le loro proprietà infettive anche dopo una permanenza più o meno
prolungata nell’ambiente outdoor. Temperatura, essiccamento e UV danneggiano
infatti l’involucro del virus e quindi la sua capacità di infettare.”
Su questi aspetti sono intervenuti anche i ricercatori dell’Istituto di
Scienze dell’Atmosfera e del Clima, ISAC-CNR sulla rivista scientifica
Atmosphere.
Il tema è affrontato, da un altro punto di vista, anche da alcuni ricercatori italiani
dell’Università di Siena e di quella di Aarhus in Danimarca, secondo
i quali le persone che vivono in un’area con alti livelli di inquinanti
sono più inclini a sviluppare problemi respiratori cronici e adatti a recepire
qualsiasi agente infettivo. Inoltre, un’esposizione prolungata all’inquinamento
atmosferico – secondo il loro lavoro – porta a uno stimolo infiammatorio
cronico, anche in soggetti giovani e sani. Concludono, quindi, che l’elevato
livello di inquinamento nell’Italia settentrionale dovrebbe essere considerato
un ulteriore cofattore dell’alto livello di mortalità registrato in quella zona
per il Coronavirus.
Osservazioni sostanzialmente convergenti con quelle che emergono da
una ricerca della Università di Catania su
dati Istat, Istituto superiore della Sanità e altre agenzie europee. Secondo la
ricerca ‘Strategies to mitigate the Covid-19 pandemic risk’, le regioni più
colpite dal virus sono anche le stesse regioni che solitamente subiscono il
maggiore impatto (in termini di casi gravi e decessi) anche per le influenze
stagionali.
Infine, per l’Italia, uno studio di ricercatori del dipartimento
di Scienze e Politiche ambientali dell’Università Statale di Milano,analizza
a scala globale le relazioni tra incremento dei casi di COVID-19 e condizioni
climatiche.
Sul tema dell’influenza della situazione meteorologica e dell’inquinamento
atmosferico segnaliamo anche uno studio di ricercatori cinesi effettuato
nel loro Paese all’epoca della diffusione della SARS.
Uscendo dal nostro Paese, alcuni ricercatori dell’università
americana di Harvard, fra cui anche una italiana, ha effettuato una
approfondita analisi statistica riguardo alla possibile correlazione fra
esposizione all’inquinamento atmosferico e mortalità per il CoViD-19 negli
Stati Uniti, concludendo che vi sarebbe una correlazione significativa fra
eposizione prolungata nel tempo a livelli elevati di PM2,5 e mortalità causata
dal Coronavirus.
Sicuramente questa sintetica rassegna non esaurisce tutti gli studi che la
comunità scientifica sta mettendo a disposizione sul CoViD-19 in generale e su
questi aspetti in particolare. Si tratta di una situazione in continuo
divenire.
Un modo per tenersi aggiornati è consultare la piattaforma che OpenAIRE –
l’infrastruttura della Commissione Europea per l’Open Access di cui il Cnr è
coordinatore tecnologico – sta realizzando, uno Scientific Gateway dove raccogliere in
modo automatico tutti i prodotti della ricerca relativi a Covid-19 e
Sars-CoV-2.
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