Secondo la
Banca d’Italia il turismo genera oltre il 5 per cento del PIL e impegna oltre
il 6 per cento degli occupati.
Se
aggiungiamo i numeri dell’indotto abbiamo un pilastro dell’economia italiana.
Eppure l’emergenza Covid dimostra che il modello è rigido e pesantemente
ancorato alle destinazioni di massa.
Per troppo
tempo si è puntato solo sui grandi numeri pensando che con frotte di
viaggiatori conformisti e conformi si potessero impennare i fatturati senza
curare la qualità dell’accoglienza, intercettando ondate di russi spendaccioni
o cinesi a caccia di emozioni, propinando mete vistose e inducendoli a
consumare oltre i limiti della sostenibilità.
Mentre lo
sfruttamento di massa segava il ramo su cui posa, l’attrazione ambientale,
cresceva il pubblico che si rifiuta di consumare i luoghi, ma i dirigenti del
settore non vedevano l’enorme distanza che separa la fugace emozione turistica
dall’esperienza del viaggio, ignorando quanto sia diverso intruppare il cliente
su una spiaggia o una pista di sci, incolonnarlo davanti a un museo o una
discoteca, oppure accoglierlo in una casa, introdurlo in un luogo e
accompagnarlo alla conoscenza.
Il turismo
di massa consuma anonimi territori, l’altro turismo li svela.
Una spiaggia
di Ostia a Roma, foto Ap
Fosse
successo in estate avrebbe sloggiato i bagnanti, invece era inverno e il virus
ha colpito gli sciatori.
Evidenziando
le falle del sistema, ha innanzi tutto svuotato gli alberghi a quattro stelle
cancellando le prenotazioni dei ricchi turisti stranieri.
Poi ha
chiuso i ristoranti “rustici” che esponevano listini da mille e una notte,
infine ha attaccato gli impianti sciistici rivelando che l’aria di montagna era
contaminata come l’altra.
Il 7 marzo
2020 si sono propagati più contagi alle code delle funivie che nel centro di
Milano, e la stazione austriaca di Ischgl è stata denunciata alla magistratura
per aver occultato l’epidemia in nome del fatturato.
Infine si è
inscenato lo psicodramma delle seconde case, quando i turisti trasformati in
untori sono stati ricacciati nelle città.
Le cronache
dell’emergenza ci dicono a chiare lettere che il turismo rigido, elitario e
monocorde ha i piedi d’argilla, ma la crisi è appena cominciata e saranno i
prossimi mesi a mostrare chi si era preparato al futuro.
Con gli
aerei a terra e le navi da crociera in porto, reggeranno solo i luoghi e gli
operatori che sono rimasti sul territorio e non hanno snobbato il turismo di
prossimità, integrandolo con la buona agricoltura, l’innovazione culturale e la
difesa dell’ambiente.
Non si
tratta affatto di piccoli numeri, bensì di numeri spalmati su quello sconfinato
giardino di meraviglie che è il Bel Paese, nonostante i nostri ripetuti
tentativi di imbruttirlo. Amo i grandi alberghi storici, ma sono cattedrali nel
deserto.
Invece i
B&B e le locande a conduzione familiare e flessibile sono in grado di
riaccendere i territori, favorendo l’incontro tra abitante e forestiero e
aiutando le produzioni locali.
Matera è una
ma abbiamo migliaia di borghi nell’Italia profonda, lo scheletro del paese.
Adesso potrebbero diventare la nuova ricchezza.
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